COMITATO PER TRIESTE E ZONA B
Lettera aperta ai Parlamentari italiani
Onorevole,
è passato un anno dalla firma al castello di Osimo degli accordi italo-jugoslavi e ancora non sono chiarite le ragioni vere che hanno indotto il Governo italiano a rinnegare una linea politica sostenuta per un trentennio.
La lunga relazione del ministro degli esteri on. Forlani che accompagna il disegno di legge di ratifica degli accordi, ripete le motivazioni del presidente del consiglio on. Moro e del ministro Rumor, comprese inesattezze e ambiguità. Per cui non ci incanta il riconoscimento che "questa decisione ha indubbiamente toccato nel vivo la passione civile e la memoria patriottica di tutti gli italiani" e siamo tutt'altro che convinti della effettiva ed efficace tutela a salvaguardia "degli interessi dell'Italia e della regione giuliana che possiede nella sua storia un patrimonio di sacrificio e di abnegazione esemplari".
La nostra opposizione oggi è condivisa non soltanto da singoli esponenti politici democristiani, socialisti, repubblicani, liberali ma anche dagli organismi responsabili del Partito Radicale e del Partito Liberale Italiano che hanno dichiarato in questi giorni la loro motivata contrarietà, che sarà espressa in Parlamento a tutta la parte economica. E il successo che sta incontrando la raccolta delle firme alla proposta di legge d'iniziativa popolare per la zona franca integrale a Trieste dimostra quanto ampia e diffusa è in tutta la cittadinanza la "non fiducia" sugli accordi economici.
Trascuriamo e lasciamo perdere le fantasiose previsioni ( anche se solo di studi, da finanziare) per il canale navigabile Monfalcone – Gorizia – Lubiana e "per regolarizzare le acque della Rosandra al fine di utilizzarle per l'economia della città di Trieste" (si tratta di un torrentello di breve corso e di portata molto limitata che serviva la Trieste romana) ma soffermiamoci solo sulla zona franca industriale a cavallo del confine che dovrebbe "contribuire allo sviluppo della città di Trieste e delle regioni di frontiera dei due paesi e incrementare l'occupazione delle popolazioni di queste regioni".
Ecco i fatti:
– la zona prescelta dista in linea d'aria una decina di chilometri dal porto ma è a 380 metri sul livello del mare e presenta 227 cavità, grotte, doline, abissi solo nella parte italiana. La dottrina anche più recente insegna che condizione ottimale è che le zone franche diano direttamente sul mare o su fiumi navigabili. La conformazione tipicamente carsica comporta possibilità d'inquinamento di tutte le acque , fino alle falde più profonde e non solo del Timavo che l'attraversa nel suo corso ipogeo, oltre riflessi ecologici della atmosfera per i venti dominanti.
– Nel territorio italiano e sloveno direttamente interessato non esiste disoccupazione per cui tutta la manodopera dovrà essere importata dal sud jugoslavo, approfittando del minor costo di questa rispetto all'italiana anche per le norme previste dall'accordo sull'applicabilità dei contratti di lavoro. Del resto uno dei principali artefici del trattato, il dott. Eugenio Carbone, in una riunione indetta dalla D.C. di Trieste ha affermato che la zona franca si basa proprio sullo sfruttamento di questo lavoro nero o giallo, secondo una mentalità tipicamente colonialistica.
– Di fronte ai pericoli evidenti d'inquinamento e della distruzione di una cospicua fetta di Carso triestino, polmone verde della città, protetto da una apposita legge, nella stessa riunione si è riposto minimizzando tutto: anziché 12,8 chilometri quadrati ne saranno utilizzati solo poco più di 5. Con ciò si ritiene superabile anche l'aspetto tecnico del problema del terreno.
– Sul possibile grave turbamento degli equilibri etnici per la presenza d'una massa estranea, anche per religione, si è risposto ancora minimizzando il numero dei lavoratori (20-30.000 in confronto ai 70-100.000 previsti da altre fonti) e che tutto avverrà nel giro di decenni…
Non sono pettegolezzi ma affermazioni di personaggi qualificati e responsabili in un riunione pubblica organizzata da partito di maggioranza relativa per illustrare posizioni ed impegni della Democrazia Cristiana (e smentire le posizioni di dissenso esistenti nel suo seno anche a Trieste).
Trattare vuol dire "discorrere, discutere, dissertare, esporre, ragionare" secondo lo Zingarelli mentre il Petrocchi sintetizza "discutere, ragionare".
Questo trattato non è frutto di discussione perché non presenta alcuna contropartita per l'Italia, come riconobbe subito lo stesso presidente del consiglio on. Moro nella sua presentazione al Parlamento:
"…il governo ha lungamente ed attentamente esaminato la situazione soppesando vantaggi e svantaggi, acquisizioni e concessioni… la decisione è stata presa…guardando insieme agli interessi nazionali ed alle esigenze della vita internazionale. Sotto il primo profilo è certo che vi è una rinuncia italiana".
La zona di terreno prescelta per il punto franco industriale a cavallo del confine è talmente illogica da confermare che non vi è stato alcun ragionamento.
Con il realizzarsi della zona franca industriale e con lo sfruttamento colonialistico della mano d'opera jugoslava del sud potrà crearsi una situazione di fatto di preminenti interessi etnici ed economici jugoslavi che, grazie al precedente da noi accettato, sarà da mutarsi in situazione di diritto. Ricordiamo che il Trattato di Osimo, che la Jugoslavia ha dimostrato di avere idee chiare e precise, volontà e tenacia. La sua aspirazione ai confini che furono dell'Austria fino al 1915, denunciata dal presidente on. moro non è mai stata revocata.Prendiamone atto in questo momento in cui si aggrava sempre di più il rischio per il destino stesso di Trieste i cui interessi sembrano (o sono?) negletti forse per consentire o facilitare la deprecata futura cessione.
IL COMITATO PER TRIESTE E ZONA B