VERSO LA MEMORIA CONDIVISA
Da uno studio approfondito dell’archivio informatizzato ANSA, disponibile dal 1981, si evince come fino alla metà degli anni ’90 le notizie riguardanti le foibe siano carenti.
Nel 1981 non c’è stato alcun lancio di agenzia su questo argomento.
Nell’82 e nell’83 sono stati 2, 7 nell’84, 6 nell”85, 3 nell’86, 6 nell’87, 3 nell’88, 5 nell’89, 16 nel ’90, 20 nel ’91, 18 nel ’92, 17 nel ’93, 20 nel ’94, 17 nel ’95, 155 nel ’96, 132 nel ’97, 89 nel ’98, 39 nel ’99, 121 nel 2000 , 71 nel 2001, 80 nel 2002, 204 nel 2003 e nel 2004, da gennaio a marzo, sono già stati ben 205.
È evidente la crescita esponenziale di notizie che si verifica a partire dagli anni novanta, un segnale evidente che l’interesse e le iniziative hanno cominciato ad avere un risalto sempre maggiore sulla stampa, non solo locale, ma anche nazionale.
Le dichiarazioni ed i comunicati stampa dei partiti, di amministratori locali o parlamentari nazionali si sono susseguiti, uno dopo l’altro, facendo sì che quel muro di silenzio iniziasse a rompersi.
Come si è visto precedentemente le prime aperture politiche a livello nazionale si ebbero nel 1996, con le dichiarazioni rilasciate dall’allora presidente della Camera dei Deputati, Luciano Violante
Nella storia scritta dai vincitori e nelle convenienze che segnarono la guerra fredda e che comportavano una particolare condiscendenza per Tito, le foibe dovevano ‘scomparire’ dalla memoria nazionale.(67)
Violante auspicò che ci si potesse battere affinché emergesse
(…) tutta la storia del nostro Paese, quella della risiera di San Sabba, quella delle foibe, quella dei processi non fatti per i responsabili degli eccidi nazifascismi in Italia, quella delle stragi degli anni ’70 e ’80, tutta la storia della guerra civile calda e fredda, di una parte e dell’altra, di modo che poi l’Italia possa camminare avanti.
Alcune aperture, il dibattito sulla faziosità dei libri di testo, vari processi svoltisi negli anni più recenti, la realizzazione di un film molto dibattuto sulla strage di Porzus hanno portato a maturare una maggiore presa di coscienza degli avvenimenti ed indotto alcuni schieramenti politici a rivedere la loro posizione sulle vicende.
Fausto Bertinotti, in occasione del convegno di Rifondazione Comunista, tenutosi a Venezia alla fine del 2003, dopo aver ribadito l’attualità dell’antifascismo inteso come unica religione civile del paese, l’unica capace di costruire una convivenza civile, riconobbe però anche che sulla resistenza abbiamo preferito fare un’operazione di “angelizzazione” della nostra parte.
E parlando delle foibe, Bertinotti sottolineò anche come
francamente accanto a questo furore popolare io non riesco a non vedere anche una volontà politica organizzata, legata ad una storica idea di conquista del potere, di costruzione dello Stato attraverso l’annientamento dei nemici (…) faccio notare che gran parte della storia delle costruzioni statuali del movimento operaio nel ‘900 è passata attraverso l’idea di distruzione fisica del nemico (…) Io penso che noi dobbiamo trovare il coraggio non solo di dire la verità, ma (su questo punto insisto) di non trovare alcun elemento di giustificazione nell’orrore che gli oppressori avevano realizzato precedentemente per giustificare l’orrore che vi fu dopo. (…) Lo dico e lo chiedo non in nome di una tensione verso la verità, ma in nome di qualcosa di ugualmente se non più importante: una diversa idea della politica e della lotta di liberazione. (…) Quando parliamo di gulag parliamo di 20 milioni di persone sterminate, di cui la metà comunisti. Vorrei che qualche brivido ci attraversasse. (…) Il gulag non è il paradigma del comunismo, il gulag è la manifestazione estrema di una contraddizione che il comunismo si è portata nella pancia e che è determinata da un’idea del potere e da un’idea di violenza.(68)
Il 6 febbraio 2004 a Trieste, il segretario dei DS Pietro Fassino rese pubblica una lettera aperta inviata al presidente della Federazione degli esuli, Guido Brazzoduro, con la quale auspicava una ”assunzione collettiva di responsabilità” su quanto accaduto in quei territori dopo la firma del Trattato di Parigi.
Il Trattato – secondo Fassino non fu una ‘assoluzione’ per l’Italia vinta, ma un atto doloroso che costò non solo la perdita di territori, ma soprattutto sofferenze umane.
Poi, l’oblio generalizzato, dettato da ragioni internazionali e dall’intento di molti di rimuovere la sconfitta e le responsabilità che essa sottendeva. Oggi nessuno può dire più di non sapere e ognuno ha il dovere, morale prima ancora che politico, di assumersi le proprie responsabilità.
Anche la sinistra deve assumersi le proprie e dire con chiarezza e definitivamente che il Pci, in quegli anni, sul confine italiano sbagliò: sbagliò perché pesarono sui suoi orientamenti e sulle sue decisioni il condizionamento dell’Urss e della Jugoslavia di Tito, in particolare negli anni della guerra fredda. Sbagliò perché non avvertì le tragiche conseguenze dell’ espansionismo slavo, che nel vivo della lotta antifascista si era manifestato in comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e nazionalistiche, presenti da decenni in quelle aree. Lo schema della lotta tra fascismo e antifascismo si mostrò inadeguato per comprendere la radice e la pericolosità dei conflitti in quella regione, perché non coglieva la natura dello scontro tra nazionalità, che il regime comunista esasperò ulteriormente. Proprio in nome degli ideali dell’antifascismo avrebbero dovuto essere denunciati tutti i nazionalismi e ogni politica di negazione dei diritti inalienabili di ogni persona e di ogni comunità.(69)
Una rottura con il passato che non mancò di suscitare numerosissime polemiche all’interno della sinistra italiana e da parte dei nuovi stati di Croazia e Slovenia.
Per Cossutta:
Tra i massimi dirigenti dei Ds siamo non solo di fronte ad un inaccettabile revisionismo storico, ma ad una forma vera e propria di abiura.
Un revisionismo ed una abiura che contribuiranno a disorientare il grande popolo comunista che sempre meno vede nei Ds una forza di sinistra.(70)
In merito alla approvazione della legge sulla giornata della memoria, nel sito del Partito Marxista Leninista Italiano si legge:
Sulla questione dei cosiddetti “martiri delle foibe” e dell’esodo degli italiani dalle terre restituite alla Jugoslavia siamo intervenuti diverse volte, (…), è da questo tragico retroterra che scaturiscono episodi – peraltro più circoscritti di quanto la propaganda fascista e revisionistica tende a far credere – come quello delle “foibe” e degli “esuli” istriani e dalmati. Nelle “foibe”, nel settembre 1943, furono gettati dalla popolazione insorta e dai partigiani jugoslavi alcune centinaia (e non migliaia come sostengono i fascisti) di fascisti, nazisti, slavi collaborazionisti, ustascia e cetnici, colpevoli di gravi crimini di guerra contro la popolazione, processati, passati per le armi e quindi infoibati.
I riconoscimenti istituzionali
Il 9 febbraio 2004, il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in un messaggio indirizzato al Presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, in occasione della “Giornata dei Valori Nazionali” ha scritto:
La tragedia delle Foibe fa parte della memoria di tutti gli italiani. La Repubblica, consapevole dei valori universali di libertà e democrazia che le istituzioni nazionali ed europee hanno saputo costruire, ricorda quegli eventi con dolore e rispetto (…) La Giornata dei Valori Nazionali, istituita dalla Regione Lazio, ricorda oggi la firma del trattato di Parigi con cui l’Italia, risalendo dall’abisso della guerra, pose le premesse per rientrare nel consesso dei popoli governati dai principi della democrazia e della pacifica convivenza. La ricostruzione e la rinascita della nuova Italia costarono sacrifici grandissimi in particolare, gli italiani delle terre d’Istria e di Dalmazia furono colpiti da una violenza cieca ed esecranda e dalla sventura di dover abbandonare case e luoghi familiari.(71)