Noi Esuli, vittime dei trattati, della politica e dei nostri rappresentanti “politici”

di Massimiliano Lacota, Presidente dell’Unione degli Istriani

In tutti i Paesi dell’Unione Europea si sono da poco concluse importanti manifestazioni, celebrazioni, e talvolta grandi feste di piazza per commemorare il 60° anniversario della fine della seconda guerra mondiale, e più precisamente la sconfitta del nazismo e del fascismo e la vittoria degli eserciti alleati e quelli di liberazione. Una “liberazione” che per milioni di persone, dal Baltico all’Adriatico, ha però significato violenze, massacri, deportazioni, infoibamenti, espulsioni di massa ed esodi. Anche gli esuli istriani, fiumani e dalmati, costretti ad andarsene dalle proprie città e dalle proprie campagne, rientrano nel “club” di questi sfortunati che meno di altri hanno sentito la necessità di partecipare alle iniziative rievocative di una lacerante ferita, ancora sanguinante, e che difficilmente si potrà rimarginare con semplici parole di conforto.

Sessant’anni sono dunque trascorsi da quando la nostra gente, abbandonando tutto per amor di Patria e per continuare a rimanere innanzitutto italiani, pur avendo riconosciuto il diritto alla conservazione della proprietà nei territori ceduti dallo stesso Trattato di pace del 1947, si vide costretta, per effetto di una serie di accordi bilaterali sottoscritti con la Jugoslavia e delle successive leggi emanate dall’Italia, ad affidare a quest’ultima i propri beni. Infatti, a soli due anni dal Trattato di Parigi, contravvenendo alle clausole stabilite dallo stesso, nel 1949 l’Italia sottoscrisse l’Accordo di Belgrado – il primo di una lunga serie – e conseguentemente accettò di barattare le proprietà degli esuli optanti, compensandone il valore (incredibilmente svalutato) con il pesante debito derivante dai danni di riparazione per l’aggressione subita dalla Jugoslavia e contemporaneamente facendosi carico di risarcire gli aventi diritto in un non meglio definito periodo di tempo. Nel giro di pochi mesi, dunque, gli esuli vennero declassati, trasformandosi da proprietari in creditori. E, vergognosamente, chi di loro ancora vive, lo è ancora.

Anche gli esuli provenienti dalla Zona B hanno avuto la loro bella fregatura. Dopo che il Memorandum di Londra aveva assegnato nel 1954 alla Jugoslavia in amministrazione civile e militare provvisoria l’ultima parte dell’Istria, l’Italia sottoscrisse il Trattato di Osimo, rinunciando definitivamente alla Zona B senza riserva alcuna: il più grande tradimento di una nazione verso il proprio popolo, consumato con la complicità del partito dell’allora governo, la Democrazia cristiana, tanto osannata da alcuni quanto odiata da altri.

Il Governo italiano cedette infatti con l’art.4 del “Trattato di Osimo” del 1975 tutti i beni italiani della Zona B, abusivamente espropriati in 30 anni dalla Jugoslavia, in cambio di “un indennizzo equo ed accettabile dalle due parti”. Fino al 1974 il Ministero degli Esteri aveva sistematicamente contestato sempre tali disposizioni, che erano arbitrarie, particolarmente fino al 1954, quando la Zona, sotto occupazione militare, doveva essere amministrata senza sovvertire l’ordine preesistente, rispettato anche dagli occupatori nazisti (1943-45).

Dopo il Memorandum del 1954 detti espropri violavano esplicitamente l’impegno jugoslavo di amministrare la Zona B secondo i Diritti Umani (Dichiarazione ONU, 10.12.1948), assunto con lo “Statuto Speciale” per le minoranze.

Con l’Accordo di Roma del 1983, l’Italia ha invece svenduto i beni degli esuli, verso l’impegno di un indennizzo veramente iniquo ed inaccettabile pari a 21 centesimi di dollaro al mq. (110 milioni di dollari per 527 kmq – edifici in pianta). L’Accordo prevedeva inoltre, molto benevolmente, che i pagamenti fossero ripartiti su 13 rate annuali uguali ritardate, dal gennaio 1990 al gennaio 2002. Per capire le attuali offerte slovena e croata di compensazione dei beni espropriati facciamo alcuni conti.

Secondo l’Accordo di Roma 1983 la Jugoslavia si era impegnata a pagare 110.000.000 dollari in 13 rate annuali uguali.

La Jugoslavia si è disintegrata nel 1991, dopo aver pagato due rate (1990 e 91) pari ai 2/13.

Valore del debito saldato: 110 x 2 / 13 = 16.923.076 dollari.

L’interruzione del pagamento costituisce una indubbia violazione dell’Accordo di Roma, ma anche dell’art. 4 del Trattato di Osimo, che condiziona al pagamento l’avallo degli espropri! Lo scoperto del debito ammonta dal lontano 1991 a: 110 x 11 / 13 = 93.076.923 dollari, arrotondabili a 93.000.000 dollari.

Negli anni 1989-91 sono caduti il Muro di Berlino, l’URSS, la RSFJ e le vicine Repubbliche secessioniste hanno riconosciuto la proprietà privata, la Croazia limitatamente agli ex-jugoslavi. In tale nuova situazione geopolitica anche l’art. 62 della “Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati” del 23 maggio 1969 autorizza l’Italia a chiedere la revisione degli Accordi capestro, azione già proponibile a motivo della sospensione dei pagamenti: “violazione” prevista dall’art. 60 della stessa Convenzione. Lo confermano le conclusioni della “Commissione Maresca di esperti di Diritto Internazionale”, che indica al Governo anche le procedure da seguire.

La stessa Slovenia ha tardivamente preso atto che il mancato pagamento metteva in forse il suo possesso dei beni rapinati e che le conveniva assicurarsi la proprietà di tutti i beni della sua parte della Zona B a 0,21 dollari al mq ed ha chiesto a Roma un numero di conto corrente di una banca italiana per continuare i versamenti delle rate mancanti. Roma non ha mai comunicato il numero di conto, rifiutando implicitamente così di avallare l’iniziativa slovena.

Allora Lubiana ha concordato con Zagabria (senza accordarsi con Roma) di dividersi il residuo debito nel rapporto di 6 a 4. Analiticamente, a carico di: – Lubiana 93.076.923 x 6 / 10 = 55.846.153 $ arrotondabili a 56 milioni di dollari; – Zagabria 93.076.923 x 4 / 10 = 37,230,769 $ arrotondabili a 37 milioni di dollari; che, sommati, danno i 93 milioni di dollari.

Conseguentemente la Slovenia ha versato a rate su un suo conto aperto presso la filiale del Lussemburgo della Dresdner Bank, salvo errori, detti 56 milioni di dollari. Ed ha terminato tale versamento entro il 31 gennaio 2002, data limite fissata con l’Accordo di Roma del 1983, benevolmente stabilito quando erano previsti pagamenti regolari lungo i 13 anni. Non risulta che sia stato contabilizzato alcun interesse per il ritardo nei pagamenti, omissione sistematica nel mancato rispetto internazionale dei “beni, diritti ed interessi degli esuli”, termini beffardi sempre presenti in ogni Accordo stipulato a loro danno.

In successivi incontri bi o trilaterali, la Slovenia ha ripetutamente proposto a dei diplomatici italiani ed allo stesso on. Berlusconi di ritirare i 56 milioni di dollari dalla Dresdner Bank.

Da parte sua la Croazia propone all’Italia di pagare, ben oltre il termine 2002, fissato nel 1983, con ulteriore imprecisata dilazione e senza offrire interessi, i suoi 37 milioni di dollari.

L’Italia finora non ha toccato i “dollari lussemburghesi” di Lubiana e non ha ufficialmente accettato la proposta di Zagabria, probabilmente per merito di qualche esperto della Farnesina. Infatti atti così palesemente autolesionisti costituirebbero, in una situazione geopolitica fondamentalmente mutata ed in relazioni con Paesi che ora riconoscono la proprietà privata, la rinegoziazione surrettizia del Trattato di Osimo e dell’Accordo di Roma del 1983.

Siamo di fronte alla solita perseveranza slovena e croata ed all’inefficienza italiana, che lascia ai primi di pilotare il contenzioso, informando del suo punto di vista l’opinione pubblica mondiale. Paradossalmente si tenta di suggerire ai Governi italiani che con i 93 milioni di dollari avrebbero potuto pagare agli esuli il loro indennizzo. Il 19 ottobre 2001 alcuni esuli hanno diffidato personalmente, per via giudiziaria, il Presidente Berlusconi, il Vicepresidente Fini, l’ex Ministro degli Esteri Ruggiero e l’ex Ministro del Tesoro Tremonti a non rendersi responsabili di tale danno economico contro gli esuli. Ora l’on. Fini risulta doppiamente diffidato, come Ministro degli Esteri e come Vicepresidente del Consiglio.

Va anche ricordato che i 93 milioni di dollari, di cui 56 stanziati da Lubiana e 37 solo promessi da Zagabria, aiuterebbero in misura molto ridotta il pagamento del debito italiano verso gli esuli che è stato contabilmente valutato in cinquemila miliardi di Lire (proposta di legge per un “indennizzo equo e definitivo” dei Senatori Camerini e Bratina del 1996).

Facciamo ancora un conto per valutare quale frazione del credito degli esuli si salderebbe con i dollari accantonati da Lubiana e promessi da Zagabria.

Per stabilire il rapporto lira/dollaro partiamo dall’attuale cambio Dollaro/Euro che ruota intorno al valore 1,30 e ricordiamo il valore 1936,27 fissato come rapporto Lira/Euro.

Allora: Lira/Dollaro = (Lira/Euro) /(Dollaro/Euro). In cifre: Lira/Dollaro = 1936,27 / 1,3 = 1489,44.

Al cambio attuale il credito degli esuli sarebbe 5000 miliardi di lire / 1489,44, cioè: 5 x 1012 / 1,490 x 103 = 3,357 x 109 = 3,357 miliardi di dollari.

Pertanto i dollari offerti salderebbero solo la frazione (in dollari): 93.000.000 / 3.335.700.000 = 1/36 del doveroso indennizzo degli esuli.

Ma giustizia contabile implicherebbe pure la valutazione degli interessi maturati dopo il 1996 (anno della valutazione Camerini-Bratina) e dell’inflazione.

Di fronte a questa situazione, puntualmente redatta da Italo Gabrielli, è doveroso analizzare quali risultati siano stati raggiunti in questi ultimi anni dalla nostra Federazione, attraverso i vari personaggi che si sono susseguiti alla presidenza. Molto pochi, francamente, rispetto alle aspettative degli esuli che la compongono e che le hanno affidato il compito, l’unico compito, di tutelare senza vincolo politico alcuno i propri sacrosanti diritti ed interessi.

Da pochi mesi sono stato chiamato a guidare l’Unione degli Istriani, ed ho avuto modo non solo di partecipare alle riunioni della Federazione quale membro del massimo organo sociale, l’Esecutivo, ma anche di leggere e documentarmi sulla attività finora svolta della stessa attraverso l’analisi dei documenti e dei verbali delle varie riunioni.

E’una cosa da mal di stomaco, ve lo assicuro. Proposte, controproposte, contraddizioni, rinunce, allineamento su posizioni spesso sfavorevoli, comunicati emanati e dopo due giorni ritirati perché troppo fastidiosi per qualcuno.

Tutto questo è a disposizione, per chi volesse averne copia, nel mio ufficio. Ho preso infatti la decisione di rendere pubblici i verbali approvati delle riunioni del Consiglio esecutivo e del Consiglio federale perché chi vuole sapere possa essere messo in condizione di farlo, rendendosi conto, di persona, di come la Federazione abbia operato e trattato le nostre questioni.

Mi sono anche reso conto della grande influenza politica che ruota attorno al nostro mondo ed ho capito che è necessario mantenere, seppur con fatica a volte, l’assoluta indipendenza dai partiti politici. Non farlo, significa invischiarsi in una situazione di impotenza tale da non consentire la libertà di opinione e di decisione, e di conseguenza la capacità di azione secondo le finalità statutarie.

Dopo sessant’anni dalla guerra perduta, i nostri esuli hanno diritto che si finisca di utilizzarli come involontarie, ma sempre disponibili “vittime sacrificali della Patria”, serbatoio elettorale per venditori di fumo e svalutata merce di scambio negli affari internazionali.

Ogni popolazione possiede una riserva limitata di risorse morali e materiali. E l’evidente astensione elettorale dei giuliani, che ha portato le sinistre alla Regione FVG ed a Gorizia conferma il monito espresso prima del 1954 dal triestino Resta (citato dal Duroselle nel suo Trattato sul Memorandum di Londra) secondo cui l’Italia non può pretendere l’eterna fedeltà dei giuliani: deve meritarsela. Da anni i Governi italiani di tutti i colori sembrano essersi accordati per perderla.

Infine le polemiche che hanno investito in queste ultime settimane la Federazione, divisa in due “schieramenti” proprio tra conservatori “politici” e “della politica” e chi invece come il sottoscritto, unitamente ai rappresentanti del Libero Comune di Pola e dell’Associazione delle Comunità Istriane e centinaia di soci e dirigenti dell’Anvgd, che evidentemente non condividono le strategie superate del proprio Presidente, reclamano l’autonomia della Federazione dai partiti e la mobilitazione degli esuli per pretendere di non essere più illusi da nessuno e di difendere la propria dignità ed il proprio orgoglio, quello dei nostri padri, dei nostri nonni, e dei nostri bisnonni, che non avrebbero certamente permesso che tutto questo accadesse.

Ma nonostante l’evidente fallimento di una linea che ha escluso ed esclude volutamente le vere questioni centrali, lo stesso Lucio Toth, presidente dell’Anvgd, protagonista da qualche decennio sulla scena, parla di risultati importanti, considerando in vari suoi interventi come traguardi straordinari quello che abbiamo ottenuto.

Traguardi straordinari? Bisognerebbe allora che egli ci spiegasse molto bene quali siano stati finora i “traguardi ordinari”. La verità, purtroppo, è che non c’è nulla di straordinario, a meno che non vogliamo prenderci in giro tra di noi.

C’è invece un ringraziamento da fare. E va reso all’on. Roberto Menia che ha voluto fermamente la legge per una Giornata del Ricordo. E vanno ringraziati, con altrettanto calore, coloro che nel parlamento italiano l’hanno sostenuta, sia a destra che a sinistra, italiani e sloveni della minoranza, permettendo finalmente a tutti i nostri connazionali di conoscere l’ultimo pezzo di storia d’Italia mancante.

Ma il giusto ricordo di torti immeritatamente subiti, senza la promessa di operare per porre rimedio alla conseguente persecuzione che, più o meno palesemente, prosegue, continua ad essere inaccettabile in una elementare logica politica, prima ancora che nel sentimento degli esuli.

Mi sono posto migliaia di volte, in questi quattro mesi alla guida dell’Unione degli Istriani, la seguente domanda: dopo sessant’anni di promesse disattese, che cosa abbiamo da perdere? La Federazione di fatto non denuncia quello che sta accadendo palesemente: il disinteresse più completo dello Stato nei nostri riguardi, l’ambiguità nella trattazione delle nostre problematiche, il rifiuto di sostenere la possibilità del ritorno degli esuli dopo sessant’anni di esilio forzato, indipendentemente dal numero di chi vorrebbe tornare.

Vi è una strana passività da parte della Federazione, desumibile, come ho detto, dalle centinaia di documenti e carteggi che conservo presso gli archivi dell’Unione degli Istriani, e che con grande amarezza ho imparato a conoscere.

Una cosa è certa, cari esuli: lo sbaglio più grande del nostro passato è stato quello di eleggere i nostri rappresentanti in seno alle associazioni e poi candidarli ed appoggiarli nella scalata in politica, perché spingessero sulle nostre questioni. E’ stato veramente un grande errore, con il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti: una Federazione al servizio della politica. Una Federazione che si è ritagliata la nicchia di conformismo e quieto vivere, trasformando il proprio dovere istituzionale di portare avanti le prioritarie istanze della “base”, nell’odioso compito di cinghia di trasmissione agli Esuli delle più illogiche direttive dei Governi, trascurando spesso la difesa del prestigio e della dignità nazionale di fronte alle vicine Slovenia e Croazia, ancora incredibilmente forti del carisma di Tito.

Spero che tutti, finalmente, abbiano capito l’importanza della neutralità delle nostre strutture, come ha sempre sostenuto uno dei nostri fondatori, l’avvocato Lino Sardos Albertini.

Ora il gioco del nascondino deve finire e dobbiamo avere il coraggio di dire BASTA! Basta con le illusioni! Basta con le elemosine! Basta con le promesse non mantenute! Perché siamo già stati vittime una volta. Esserlo una seconda volta, e per giunta con il concorso dei nostri stessi rappresentanti “politici”, proprio no!

Massimiliano Lacota