Nel 1954 si chiuse una situazione "provvisoria" dal'45 in bilico tra occidente e mondo comunista. Ma il prezzo politico fu alto: l'Istria lasciata a Tito,15mila trucidati nelle foibe e 350mila costretti all'esodo.
Il Giorno (QN) 05/10/04
di Arrigo Petacco
"Trst jè nas", Trieste è nostra, gridavano i partigiani di Tito entrando trionfanti nella città italiana il 1° maggio del 1945. Sui fronti europei stavano cessando i combattimenti di una guerra durata quasi sei anni, ma per Trieste e per la Venezia Giulia il peggio stava per cominciare. Adottando il motto staliniano "l'occupazione rappresenta i nove decimi del diritto", il maresciallo Tito aveva lanciato tutte le sue forze verso la città italiana trascurando persino di liberare prima le città jugoslave di Lubiana e di Zagabria. Ed ora credeva di avere finalmente raggiunto il suo scopo. "Tutti i popoli jugoslavi – annunciò infatti quella stessa sera – salutano unanimemente la liberazione della nostra Trieste ju-goslava…".
Per fortuna, almeno per quanto riguarda Trieste, la regola staliniana non venne rispettata. Dopo quaranta giorni di occupazione, (che i vecchi triestini ricordano con sgomento), gli Alleati obbligarono infatti i titini a sgomberare, lasciando tuttavia libero l'alleato di Belgrado di impadronirsi della Dalmazia, di Fiume e di tutta l'Istria con le drammatiche conseguenze che tutti conosciamo.
Da quel momento, Trieste diventò una sorta di "Berlino dell'Adriatico", ossia una città in bilico fra due mondi, quello occidentale e quello comunista, affidata ad un Governo Militare Alleato il quale aveva suddiviso il T.L.T. (Territorio libero di Trieste) in due zone. La "zona A", a ovest del capoluogo, affidata all'amministrazione italiana e la "zona B", a est,affidata a quella jugoslava.
Questa situazione, definita "provvisoria", durò invece molto a lungo. Mentre dai territoti occupati dalla Jugoslavia aveva inizio l'esodo di migliala di italiani costretti ad abbandonare la propria terra e le proprie case sospinti dalle azioni terroristiche compiute dai miliziani di Tito (ne fuggirono 350mila, mentre altri dieci-quindicimila perirono nelle foibe). Roma stava praticamente a guardare… Tanto è vero che in quei giorni Harold MacMillan, rappresentante del Governo Militare Alleato rimproverò con queste parole i nostri governanti: "La colpa è tutta vostra. Siete voi che non volete salvare la Venezia Giulia". In effetti, la questione di Trieste era per noi un argomento molto scabroso (De Gasperi lo definiva "un tormento"). I motivi erano diversi e persino contradditori. Anche se l'opinione pubblica era schierata con i fratelli giuliani, i grandi partiti riluttavano a prendere posizione in proposito. D'altra parte, in quegli anni, quando era ancora fresco il ricordo dell'ubriacatura patriottica impostaci dal regime, chi osava reclamare la difesa dei confini nazionali era scambiato per un fascista e "rigurgiti fascisti" venivano infatti definiti dall'Unità le manifestazioni tricolori dei triestini che anelavano di ricongiungersi alla patria… o meglio, al "paese", in quanto anche la parola "patria" era stata sostituita da questo sinonimo meno impegnativo.
Frattanto, col passare degli anni, i rapporti fra Roma e Belgrado diventavano sempre più difficili finché, nel settembre del 1953, Tito aggravò la situazione organizzando una grande manifestazione popolare, a meno di sei chilometri dal confine in località Oktoglica (ex San Basso), nel corso della quale, davanti a 250 mila persone fatte confluire dalle regioni vicine, pronunciò un discorso minaccioso, provocatorio ed anche sprezzante nei confronti degli italiani. Le sue parole provocarono una forte emozione nel paese e anche a Roma dove, nel frattempo. De Gasperi era stato sostituito alla guida del governo da Giuseppe Pella, un tranquillo commercialista biellese che gli eventi trasformeranno in un combattivo capopolo.
Di fronte alle accuse di Tito, Pella reagì infatti d'impulso e prese addirittura in esame l'eventualità di un'azione militare. Non l'avesse mai fatto:la sua reazione trovò molti consensi nell'opinione pubblica, ma non quello del suo partito, ossia la Dc, che lo costrinse a dimettersi. Seguirono giorni convulsi soprattutto a Trieste dove le dimostrazioni patriottiche dei triestini furono represse nel sangue dalla polizia britannica (sei morti e un centinaio di feriti, quasi tutti studenti).
Dopo questi tragici fatti dovette trascorrere ancora un altro anno prima che il nodo triestino potesse essere "provvisoriamente" sciolto. Il 5 ottobre del 1954 gli Alleati siglarono a Londra un "Memorandum d'intesa" che stabiliva la cessione di Trieste e della "zona A" all'Italia, ma non faceva alcun riferimento alla "zona B", sulla sorte della quale porrà comunque sopra una pietra tombale il "Trattato di Osimo" firmato nel 1975 dal governo presieduto da Mariano Rumor.
Alcuni giorni dopo la firma del Memorandum, il 26 ottobre del 1954, mentre i genieri britannici segnavano con una lunga linea gialla il nuovo confine italo-jugoslavo, i nostri bersaglieri entravano nella città contesa fra uno sventolio di tricolori ed il tripudio di una folla immensa e commossa. Trieste tornava per la seconda volta all'Italia. Non tornavano purtroppo i borghi e le città italiane dell'Istria e della Dalmazia che centinaia di migliaia di italiani avevano spopolato con un esodo biblico.