Gli Accordi di Osimo nella realtà e nel diritto – Un trattato da non ratificare

IL TRATTATO DI OSIMO NELLA REALTA'

III°

ULTERIORI GRAVISSIMI DANNI PER TRIESTE E PER L'ITALIA

A) DAL PUNTO DI VISTA ECOLOGICO E PER LA SALUTE E LA VITA DELLA POPOLAZIONE DI TRIESTE.

In particolare dall'eventuale entrata in vigore del Trattato di Osimo con la conseguente Zona franca al confine ci sarebbero sicuramente i seguenti gravissimi danni per la città e la popolazione di trieste segnalati da vari studiosi ed esperti e che hanno determinato fra l'altro la presa di posizione ufficiale contro detto accordo da parte di "Italia Nostra" nota associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione e della "W.W.F." – World Wildlife Fund (Fondo Mondiale per la Natura).

1) SICURO GRAVE INQUINAMENTO E PERICOLO DI AVVELENAMENTO DELLE ACQUE POTABILI E GRAVE INQUINAMENTO DI QUELLE DEL GOLFO CON PREGIUDIZIO PER LA PESCA E LA BALNEAZIONE.

Si premette che la più volte citata Zona franca a cavallo del nuovo confine verrebbe a trovarsi sul Carso in un terreno comprendente molte cavità o foibe (ben 227 censite dalla Soc. Alpina delle Giulie), sassoso e molto povero di argilla e di humus.
Le acque piovane precipitano per ciò in profondità.
Di conseguenza gli scarichi convogliati provenienti dalle imprese operanti nell'anzidetta Zona Franca non potrebbero che esser scaricati nel Golfo di Trieste, mentre le perdite, assolutamente inevitabili nel tempo in qualsiasi rete di fognatura, finirebbero per inquinare inevitabilmente le falde acquifere sotterranee che affluiscono nei fiumi Rosandra e Timavo o finiscono col costituire risorgente sottomarine o non sottomarine.
Da considerare che, con sempre maggior frequenza vengono riportati casi di avvelenamento per spandimento di solventi e per dispersione di tracce di mercurio nell'acqua. Ben noti sono anche gli avvelenamenti da zinco, piombo, cadmio, ecc.
Ne deriverebbe quindi sicuramente L'INQUINAMENTO DELL'ACQUA POTABILE, OLTRECHE' DI QUELLA DEL PORTO e del Golfo ai danni della pesca e della possibilità di balneazione.
Si ricorda che già attualmente l'erogazione dell'acqua potabile per la città di Trieste deve esser spesso sospesa per l'inquinamento delle acque del Timavo derivante da due modestissime industrie jugoslave a monte (presso Villa del Nevoso) e che tutti gli sforzi fatti finora, a seguito di trattative ed accordi con le autorità jugoslave affinché fosse posto riparo a tali inconvenienti, anche con centinaia di milioni assuntisi a tal fine dall'Italia (nelle sue attuali condizioni di sacrifici ed austerità richiesti ai cittadini), non hanno praticamente assolutamente risolto l'inconveniente che si ripete con grande frequenza, facendo mancare l'acqua alla cittadinanza. L'attuale ricorso di ripiego che ora si fa a sorgenti limitate, quali quella chiamata Sardos a Duino, non sarebbe neppure più possibile in quanto anche queste sarebbero sicuramente pure inquinate, più ancora delle altre, per infiltrazioni dalla Zona Franca a cavallo del confine.
Da notare ancora che siccome la falda dell'Isonzo è notoriamente in diretta comunicazione con le acque sotterranee del Carso ne deriverebbe l'inquinamento anche di tale fiume al quale si pensa di fare ricorso per il rifornimento dell'acqua potabile della città visto che il Timavo è sempre irreparabilmente inquinato dalle due industrie jugoslave a monte dello stesso.

2) SICURO GRAVE INQUINAMENTO E PERICOLO DI AVVELENAMENTO DELL'ATMOSFERA SULLA CITTA' DI TRIESTE CON GRAVISSIMO DANNO PER LA SALUTE E ADDIRITTURA LA VITA DELLA POPOLAZIONE.

Altro ed ancora più grave pericolo deriverebbe alla città e alla popolazione di Trieste sotto l'aspetto dell'inquinamento o addirittura avvelenamento dell'aria.
Si premette al riguardo che la Zona Franca in questione verrebbe a trovarsi a nord-est della città di Trieste e quindi nettamente sopra vento nei confronti della bora che, come noto, spira a Trieste con molta frequenza proprio dall'altopiano dove sarebbe situata detta Zona Franca. Ciò significa che GLI INQUINAMENTI DELL'ATMOSFERA DERIVANTI DALL'ATTIVITA' DELLE INDUSTRIE OPERANTI NELLA ZONA FRANCA, COME PURE QUALSIASI NUBE VELENOSA DERIVANTE DA INEVITABILI INCIDENTI, VERREBBERO AD INVADERE IL CENTRO URBANO DI TRIESTE. Altrettanto si verificherebbe a seguito delle brezze notturne o dell'inversione termica invernale.
I RECENTISSIMI FATTI del genere verificatisi in varie regioni d'Italia, FRA CUI IL PIU' NOTO QUELLO CHE RIGUARDA SEVESO, COSTITUISCONO UN TERRIBILE AMMONIMENTO E RESPONSABILITA' PER CHI IMPONENDO LA CREAZIONE DELL'ANZIDETTA ZONA FRANCA BINAZIONALE PONESSE LA POPOLAZIONE DI TRIESTE SOTTO IL PERICOLO DI UNA MINACCIA DEL GENERE. Le esperienze già verificatesi comportano per i politici che, ciò nonostante, insistessero in tale soluzione, delle responsabilità di carattere penale gravissimo per le conseguenze alla salute e alla vita dei cittadini che potrebbero derivare sia per avvelenamenti spettacolari, tipo quelli di Severo, sia per gli avvelenamenti lenti quali quelli da Zinco, cadmio, piombo che non possono essere eliminati dalle acque potabili per clorazione.
I tecnici hanno in vari studi, anche ad hoc, illustrato quanto grande sia tale pericolo e quanto estese le categorie delle industrie da cui possono derivare tali conseguenze inquinanti.
E' pure notorio che nessun dispositivo di sicurezza è materialmente sicuro, ma solo "ragionevolmente" sicuro con un minimo di rischio che, moltiplicato per il numero delle industrie a cui andrebbe riferito, porta alla PREVISIONE DI UNA ESTREMA PROBABILITA' DI UN SUO VERIFICARSI.
Tutto ciò è fortemente aggravato dal fatto che siccome è assolutamente prevedibile che la stragrande maggioranza delle industrie che si installerebbero nella Zona Franca sarebbero jugoslave (si ricordi già ora il rapporto di 180 a 0 fra industrie jugoslave e italiane interessate a tale installazione) e siccome tali industrie sarebbero soggette, in base alle clausole degli accordi di Osimo, solo alla legislazione e alla vigilanza jugoslave, ne deriva che nessuna possibilità di controllo o di intervento avrebbero autorità italiane per imporre particolari accorgimenti e men che meno per esigere che quelli eventualmente concordati siano attuati e rispettati. Si ricorda che negli accordi di Osimo non esiste nessun strumento che permetta una tale possibilità di interventi concreti. Si ricorda pure il precedente, già sopra citato, dell'inquinamento dell'acqua del Timavo derivante da due sole modeste industrie jugoslave a monte, inquinamento che persiste, nonostante tutti gli interventi finora fatti dalle autorità italiane presso quelle jugoslave, nonostante le promesse fatte da queste ultime e nonostante le centinaia di milioni assuntisi dall'Italia affinché fossero attuati i dispositivi di sicurezza adeguati per evitare l'inquinamento stesso.
D'altro canto è evidente che siccome i detti inquinamenti si verificherebbero a monte sul versante verso Trieste e quindi tutti gli effluenti sia liquidi che gassosi defluirebbero a valle e quindi nella zona di Trieste, da parte jugoslava non vi sarebbe alcun particolare interesse di sobbarcarsi gravissime limitazioni e spese per impedirli: il citato esempio degli inquinamenti del Timavo fa ancora una volta testo.

3) GRAVE PREGIUDIZIO E DANNO PER L'ECOLOGIA DEL CARSO

Si premette che il Carso sopra Trieste, costituisce l'indispensabile polmone della città, che è notoriamente priva completamente di oasi verdi, e la valvola di sfogo della sua popolazione sacrificata in angusti confini in un'area ristretta super popolata. Sull'area destinata alla Zona Franca industriale in questione esistono inoltre i vincoli previsti dalla legge sulle bellezze naturali, il vincolo idrogeologico, quello della legge sulle cavità naturali e quello della cosiddetta legge Belci del 1/9/1971 che nella parte destinata alla Zona Franca individuata una delle sette aree di particolare interesse naturalistico.
Con la creazione della zona Franca e con la conseguente costruzione di impianti, stabilimenti, infrastrutture e case di abitazione ne deriverebbe la completa urbanizzazione del perimetro carsico con scomparsa definitiva della flora carsica apprezzata da botanici di tutto il mondo, della fauna e delle cavità carsiche, nonostante che si tratti di aspetti di rilevante interesse scientifico anche internazionale. Si giungerebbe ad attuare così un vero e proprio snaturamento della zona e ad una distruzione dei suoi valori assai importanti.
Ai boschi (fra cui quello bellissimo del Monte dei Pini) subentrerebbero le infrastrutture della Zona Franca attualmente priva di qualsiasi collegamento con la viabilità, con la ferrovia, con il porto e priva di impianti idrici e fognature per le industrie e per la popolazione che su essa graviterebbero.
Ne deriverebbe fra l'altro che la scomparsa dei boschi, sorti in decenni di accurato rimboschimento, determinerebbe l'aumento della violenza della bora come si verificava in passato prima di tale rimboschimento. Con la differenza che essa bora anziché portare in città l'aria pura della montagna porterebbe gli insopportabili miasmi e inquinamenti dalle industrie della Zona Franca.
In conclusione quindi l'introduzione sul Carso triestino della Zona Franca a cavallo del nuovo confine italo-jugoslavo sarebbe gravemente lesiva anche dei valori ambientali e rappresenterebbe la distruzione di un patrimonio naturale che la stessa legge e la Costituzione di un patrimonio naturale che la stessa legge e la Costituzione impongono di tutelare e che ha un valore il quale va ben al di là dei vantaggi economici a cui si aspira. Inoltre costituirebbe l'applicazione di concetti di concentrazione industriale, nella ristrettissima area della Zona di Trieste, deprecati oramai dagli esperti di tutto il mondo, per il pregiudizio ai valori sociali che da tale tipo di concentrazione vengono violati. Tale realizzazione si risolverebbe quindi a danno delle classi lavoratrici che sarebbero costrette a vivere ed a operare in condizioni che non terrebbero conto dei diritti esenziali della personalità umana del lavoratore e delle ferme prese di posizione in tale senso da parte dei rappresentanti delle categorie lavorative in tutte le parti del mondo. Non sembra infatti dubbio che si debba dare la precedenza al rispetto di tali diritti in confronto a valutazioni meramente imprenditoriali od economiche proprie di chi si limita a considerare l'aspetto del lucro aziendale e commerciale. E' significativo del resto al riguardo il fatto che le trattative per tali accordi sono state condotte, anziché attraverso gli istituzionali canali diplomatici, da parte di un alto funzionario del Ministero dell'Industria avente evidentemente una visione settoriale – e pertanto semplicistica – dei valori e dei problemi trattati ma completamente impreparato per tutti gli altri loro molteplici aspetti.

4) PESANTISSIMI ONERI FINANZIARI PER L'ITALIA, SENZA NESSUN VANTAGGIO ED ANZI A SUO DANNO.

GLI ONERI CHE DERIVEREBBERO ALL'ITALIA DAL Trattato di Osimo, per cui già nel disegno di legge per la ratifica è previsto un primo stanziamento di trecento miliardi, SONO PESANTISSIMI e di vario genere. Fra essi il principale è però quello che deriverebbe dalla istituzione della Zona Franca industriale a cavallo del nuovo confine, situata sul Carso triestino completamente sassosa in un'area comprendente centinaia di cavità profonde anche oltre 300 metri.
Per renderla operativa occorrerebbe naturalmente collegarla con la rete stradale e ferroviaria, di cui ora è prova ed adeguare tali reti al prevedibile relativo traffico camionale o ferroviario. Occorrerebbe inoltre fornire la Zona di impianti elettrici, idrici e di fognature ora del tutto mancanti.
Tutto ciò richiederebbe dei COSTI ALTISSIMI SE NON IPERBOLICI, specie se si tien conto delle caratteristiche del terreno con tutte le sue cavità e della necessità di evitare nel limite del possibile che gli scarichi delle industrie e dei grossi conglomerati etnici che si formerebbero nella Zona abbiano ad esser assorbiti dal terreno e quindi abbiano ad esser convogliati nelle acque sotterranee costituenti le riserve idriche della Zona e affluenti nel Porto e nel Golfo.
A ciò si aggiunga l'onere previsto all'art. 6 dell'Accordo per la cooperazione economica (richiamato all'art. 9 del Trattato) di COSTRUIRE A SPESE DELL'ITALIA UNA STRADA CHECONGIUNGA LE REGIONI JUGOSLAVE DEL COLLIO E DI SALCAN e che sarebbe soggetta al libero transito jugoslavo, ed al CONTROLLO anche nella parte transitante sul terreno italiano da parte DELLE SOLE AUTORITA' JUGOSLAVE (v. III comma del citato articolo).
Nel relativo costo andrebbe tenuto conto anche del grave onere di opere da affrontare per permettere alla popolazione italiana, che a seguito di tale strada rimarrebbe chiusa in una sacca (circondata cioè da territorio jugoslavo e dalla strada in questione) di liberamente comunicare con il territorio nazionale italiano sia per il transito di persone che delle merci.
Non va nemmeno dimenticato l'onere per la COSTRUZIONE DI UN ULTERIORE STRADA in TERRITORIO JUGOSLAVO DA ESEGUIRSI A SPESE DELL'ITALIA, prevista e stabilita nell'allegato III dell'accordo per la "cooperazione economica" richiamato all'art. 9 del Trattato.
Come sopra accennato nel disegno di legge per la ratifica del Trattato di Osimo è già previsto lo stanziamento per spese relative all'attuazione dello stesso, di un primo importo di ben 300 MILIARDI, somma questa già rilevantissima ma che dovrà certamente esser grandemente integrata se si vorrà far fronte agli assurdi impegni derivanti dal Trattato. Comunque anche a voler per il momento limitarsi alla somma di 300 miliardi, sembra veramente abnorme e irragionevole sotto ogni aspetto e riguardo che al contribuente italiano sia imposto un carico così rilevante per attuare un Trattato che comporta solo danni per l'Italia e nessun vantaggio per essa. Tale carico è tanto inconcepibile in un periodo in cui ad esso contribuente ed in particolare alle classi socialmente più umili si chiedono degli operosissimi sacrifici, fra cui è perfino previsto il blocco della scala mobile, e se si considera che esso avrebbe lo scopo di render possibile a certi industriali di ottenere un maggior margine di profitto con le esenzioni doganali previste per i punti franchi nella Zona franca in questione e ancor più ASSUMENDO MANO D'OPERA JUGOSLAVA A MINOR COSTO, A SCAPITO DI QUELLA ITALIANA CHE RIMARREBBE CORRISPETTIVAMENTE DISOCCUPATA.