Foibe: una pagina di storia nazionale saggio di Giannantonio Paladini

Ma forse, oggi, è possibile andare oltre, assumendo come ipotesi interpretativa forte quella del secondo conflitto mondiale come guerra totale, come guerra che “nutre nel suo seno la guerra civile” (26). Come in una guerra di religione, contenente in sé motivi economici, politici, sociali, nazionali, la violenza dilagò dappertutto e si personalizzò, a livello individuale e di gruppo. Nei paesi invasi dalle truppe dell’Asse, portare un’arma equivalse sempre più a una licenza di uccidere. Nella Jugoslavia, l’incitazione alle rappresaglie indiscriminate, insieme burocratiche e personalizzate, produsse, dai diversi lati, una ferocia, un imbarbarimento, che difficilmente si riescono a spiegare con i consueti criteri di analisi dei conflitti bellici e dei loro risvolti (27). 

E in Jugoslavia, “rivalità e odi etnici, ideologici, sociali apparvero crudelmente mescolati nelle lotte fra ustascia, belogardisti, cetnici, il Fronte di liberazione nazionale diretto da Tito e numerose altre formazioni, con gli occupanti italiani che cercavano di giocare i vari movimenti gli uni contro gli altri” (28): un micidiale intreccio che ebbe, tra gli altri effetti, alla scala giuliana, quello della finale cancellazione della comunità veneto-italiana dell’Istria e della Dalmazia, risultato della pratica della violenza totale che ha il suo simbolo nelle foibe, e nell’esodo dei trecentocinquantamila connazionali dalla Venezia Giulia.

Una pagina di storia italiana, quest’ultima, che ebbe aspetti odiosi anche in patria. Come ha ricordato Francesco Semi, “non si sarebbero mai aspettati, gli esuli, un’organizzazione avversa al loro esodo. Il Partito comunista organizzò a Venezia, a Milano e Bologna, massicce manifestazioni contro di loro. A Venezia, all’arrivo della nave con i profughi da Pola, a Milano e Bologna alle comitive che giungevano con autocarri, fischi, urli e infami parolacce accolsero i fratelli infelici, che la propaganda indicava come fascisti, fuggiti in odio al comunismo” (29). Era, invece, accaduto il contrario.

Ma anche quello di “guerra civile europea” può diventare, se usato ideologicamente, uno schema fuorviante per capire che cosa si sia creato nel cuore del Novecento, un secolo di massacri senza limiti geografici ed umani. Tra i primi testimoni di quel che si andava concretando fu Karl Polanyi che, in Europe To-Day, 1937, colse, come “caratteristica più sensazionale della storia contemporanea la frequenza con la quale, nel quadro degli eventi internazionali, si intrecciavano guerre esterne e guerre civili” (30).

L’analisi economica dell’autore della Grande trasformazione, 1944, può essere ancor oggi attuale, e capace di evitare che, nel “secolo delle ideologie”, si finisca per disideologizzare la storiografia, ricaricandola, poi, di opposte, quanto metafisiche, ideologizzazioni.

Quanto alle foibe come tema della “conversazione pubblica” italiana, l’auspicio è che tutti, storici ma anche insegnanti, intellettuali ma anche pubbliche autorità, addetti all’informazione ma anche scrittori, artisti, registi (siamo in un’epoca in cui i media possono compiere grandi misfatti ma anche operazioni virtuose), sappiano andar oltre la miope convenienza politica dei pentimenti e dei revisionismi di comodo. é l’unico modo, oltretutto, di risarcire chi ha troppo patito perché gli si chieda anche di essere magnanimo, e di rassegnarsi. (FINE)

 

Note
26) C. PAVONE, La seconda guerra mondiale: una guerra civile europea? in G. RANZATO (a cura di), Guerre fratricide. Le guerre civili in età contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 117.
27) Cfr. R SALA, 1941-1945: gli italiani nella penisola balcanica. Sui monti della solitudine, “Storia e Dossier”, VII (1992), 62 (maggio), p. 18.
28) C. PAVONE, op. at., p. 123.
29) F. SEMI, Istria e Fiume. cit., p. 424.
30) K. POLANYI, Europa 1937, a cura di M. CANGLKNI, Dontelli, Roma 1995, p. 5.