Se questo è il contesto “minimo”, di esso si deve tener conto per una riflessione seria sullo specifico fatto, solo apparentemente circoscritto, delle “foibe” e degli “infoibamenti” avvenuti in Istria nell’autunno del 1943, prima che i tedeschi l’occupassero con la creazione dell’Adriatisches Künstenland, e dopo la fine della guerra, e a Trieste nei “quaranta giorni” dell’occupazione jugoslava – maggio-giugno 1945 -, ma anche di quelli successivi.
Senza una precisa storicizzazione, i fatti e gli eventi collegati – le scomparse, le deportazioni di migliaia di italiani -, da ultimo, il drammatico esodo dall’Istria, sono condannati ad una spiegabilità metastorica o astorica.
A inquadrare precisamente i fatti obbliga lo scrupolo al quale si è tenuti generalmente in sede di ricostruzione storica, ma induce anche la delicatezza particolare del tema delle foibe, tra “i più frequentati come ha scritto ancora Raoul Pupo – nel dibattito del e sul dopoguerra nella Venezia Giulia, e allo stesso tempo uno dei segnali più palesi dei limiti e delle distorsioni di quel confronto” (10).
Si tratta, anche qui, del modo italiano di “fare storia” di fronte a quell’esigenza, così intensamente avvertita da uno studioso come Rosario Romeo, di riunire l’Italia alla sua storia, perché “un paese idealmente separato dal proprio passato, è un paese in crisi di identità e, dunque, senza valori da cui trarre ispirazione e senza quel sentimento di fiducia in se stesso che nasce dalla coscienza di uno svolgimento coerente in cui il passato si pone come premessa e garanzia per il futuro” (11). Lasciare che il “lungo dopoguerra” si chiuda definitivamente senza tentare di colmare la “separazione dal passato” denunciata da Romeo significa, del resto, perdere l’occasione di comprendere il vero senso delle cose accadute cinquant’anni fa, lasciandosi paralizzare dal timore che ciò renda, in qualche modo, necessaria quella riconciliazione dell’irriconciliabile, che sarebbe, quella sì, storicamente priva di senso.
E’ ben vero, d’altra parte, che la contestualizzazione dei singoli eventi – le deportazioni, le eliminazioni fisiche, gli “infoibamenti”, insomma tutti gli orrori della stretta finale di eventi prodotti da fattori più lontani e dilatati – presenta il rischio di una loro mimetizzazione: tutto spiegare è tutto giustificare, teme qualcuno. Per evitarlo, è necessario, dunque, guardarsi da due rischi opposti: dal chiudersi nella microstoria, da un lato; dal tutto stemperare in una dimensione macrostorica, dall’altro.
A rendere ancor più ardua quest’operazione intellettuale sta “l’immensa congerie di pubblicistica accumulatasi con il trascorrere degli anni”, della quale ha parlato Fulvio Salimbeni, un dibattito da vedersi “costantemente nei suoi risvolti anche psicologici, in relazione con le coeve vicende politiche, istituzionali e ideologiche, che ne spiegano contraddizioni, involuzioni, difficoltà, accelerazioni improvvise quanto bruschi arresti e pesanti condizionamenti e remore nell’affrontare aspetti ed elementi del caso” (12). Perché la discussione aperta, per motivi schiettamente politici, l’estate scorsa non si riduca ad un episodio di questo dibattito, bisognerebbe che gli storici si sottraessero ad una chiamata in campo ad adiuvandum, alzando, invece, la traiettoria del proprio specifico apporto.
Note
10) R. PUPO, Un panorama interpretativo, Quaderni del Centro studi economico-politici “Ezio Vanoni”, nn. 20-21, aprile-settembre 1990, pp. 33-52 (la cit. è a p. 33). II “Quaderno” è interamente dedicato al tema Foibe: politica e storia e contiene, tra l’altro, i saggi storici di R. SPAZZALI. Le foibe istriane: sinestesia di una tragedia (pp. 53-68), di G. FOGAR Problemi di quantificazione (pp. 69-81) e D. de CASTRO, Proposte per una commissione d’indagine sulle foibe e sulle fosse comuni (pp. 82-87).
11) R. ROMEO, Scritti politici. 1953-1987, Milano 1990, p. 40.
12) F. SALIMBENI, Prefazione a R. SPAZZALI, Foibe, cit., p. 12.