La Voce del Popolo 15/11/05
CONVEGNO A TRIESTE A TRENT’ANNI DALLA FIRMA
Trattato di Osimo: il fiato USA sulla zona B
10 novembre 1975, firma del Tratto di Osimo. Trent’anni dopo se ne parla sulla stampa, nei convegni, si organizzano tavole rotonde, si allestiscono mostre. Che cosa preme ricordare a Trieste? Che la notizia della firma del Trattato, inizialmente, fu accolta con una certa indifferenza, che ci volle il potere catalizzante della stampa locale per far scendere in piazza la gente, che determinò l’implosione di alcuni partiti, che divenne un motivo, per la città, di crescere sulle proprie amarezze, e così via.
Gli storici concordano sulle ragioni – sia di politica interna che internazionale – che convinsero l’Italia a firmare e a “tradire” le illusioni e le speranze di tanta gente convinta di poter riportare nella zona B la propria esistenza.
Oggi, a tent’anni di distanza, l’emotività ha lasciato spazio ad una precisa analisi del fenomeno, per cui si scopre chiaramente che a voler chiudere la partita con la Jugoslavia fu lo Stato italiano, che rispose ad un’esigenza degli Stati Uniti, con l’approvazione del Vaticano.
Nella sala dell’Auditoriun del Museo Revoltella, il convegno di un sabato mattina senza grande afflusso di pubblico – che reagirà in modo consistente solo nel pomeriggio – è iniziato (dopo i saluti delle autorità) con una testimonianza emblematica di Marucci Vascon che ha raccontato di essere stata accolta in quei frenetici giorni del ’75 dal Capo dello Stato, Giovanni Leone, che la consigliava di tornare a Trieste e tranquillizzare la gente ma, scendendo la scalinata del Palazzone incontrò un giornalista che le mostrò un comunicato che annunciava la sigla definitiva del Trattato avvenuta esattamente tre giorni prima.
E sono gli storici a confermare, che i giochi erano stati condotti, ancora una volta, dalle grande potenze, così come affermato dai tre ospiti prof. Massimo de Leonardis, dott. Giovanni Cavera e prof. Roberto Spazzali.
La Jugoslavia di Tito, preoccupata per il dissenso interno che nel ’74 aveva sfiorato il colpo di Stato, aveva bisogno di un segno forte che riportasse il Maresciallo alla “calma prima della tempesta”. Durante la sua visita in Italia e al Vaticano era stato chiaro: “Conviene risolvere con me ancora in vita, la questione della zona B – questi i termini dei colloqui – non contate sulla clemenza di coloro che mi seguiranno al governo del Paese”. Una richiesta che venne colta soprattutto dagli Stati Uniti che avevano bisogno che la Jugoslavia dei non allineati facesse da cuscinetto nella divisione in blocchi dell’Europa.
Per la classe politica triestina fu difficile superare la frustrazione di essere stata comunque tenuta all’oscuro di quanto veniva delineandosi nei rapporti internazionali, e reagì con la rabbia dell’impotenza mista alla delusione di vedersi, ancora una volta, relegare ad un ruolo marginale, periferico.
Per i giuristi – prof. Maurizio Maresca e dott. Fulvio Rocco – il Trattato di Osimo, con la sua inusitata scrittura per cui la versione in lingua italiana
non corrispondeva a quella in lingua inglese, apriva alcune possibilità e ne azzardava altre.
L’unica possibilità “sfruttabile ad uso triestino” poteva essere la creazione di un sistema off shore che però non venne realizzato. La zona franca di confine era improponibile per gli effetti negativi che avrebbe avuto sull’economia triestina che avrebbe visto la penetrazione di grandi industrie alla ricerca di lavoro a basso costo, proveniente dalle zone povere della Jugoslavia di allora, e con il rischio di distruggere una zona ecologica tanto sensibile quale il Carso. Ma queste sono cose note.
Ciò che non si conosce sono quelle sfumature ancora segretate da documenti sui quali c’è ancora il divieto di consultazione per cui diventa difficile dare lettura fino in fondo del fenomeno innescato dal Trattato di Osimo se non rimanendo ben ancorati alla realtà dei fatti, documentati dall’informazione accessibile a livello locale.
Ed infine i testimoni – chiamati a concludere il convegno voluto ed organizzato unitamente dalla Lega Nazionale di Trieste e dall’Unione degli Istriani – ai quali spetta l’onore dei ricordi. Ci furono esempi di dimissioni immediate e di speranze mal riposte. Non era facile – affermano – capire fino a che punto si potesse ancora sperare di risolvere o rinegoziare la questione.
A distanza di anni rimane una profonda amarezza ma anche la consapevolezza di essere stati nell’occhio del ciclone di una storia che toccava Trieste ma si compiva altrove. Nessuno avrebbe comunque immaginato che quegli scenari rigidi, quasi dati una volta per sempre, erano destinati a sciogliersi qualche decennio dopo, cancellando un Paese come la Jugoslavia e tanti confini all’interno dell’Europa.
Si sono avvicendati nel racconto Cuffaro e Franzutti, Ventura e Depolo, Tombesi e de’ Vidovich testimoni di un tempo che appartiene alla loro esperienza ed è già storia.
Rosanna Turcinovich Giuricin