di Riccardo Basile
Non c'è città d'Italia, più di Trieste, che solo a pronunciarne il nome, non ridesti, anche nelle più sopite coscienze, un fremito d'Amor Patrio. Ai giorni nostri, alcuni (o molti?), fuorviati dagli organi d'informazione e da una certa cultura che si ritiene d'avanguardia, considerano questo sentimento non solo inattuale, ma addirittura pericoloso per la Pace. Errano di grosso!
Ecco cosa in tempi insospettabili di recondite finalità politiche e con una lungimiranza che ha del portentoso, ci tramanda un Triestino, il valoroso combattente del Carso, Sottotenente dei Granatieri di Sardegna ed eroe del Monte Cengio, Giani Stuparich (di Medaglia d'Oro al Valore Militare): "L'Amore della Libertà e l'Amore di Patria sono due sentimenti basilari dell'uomo civile, e chi non li ha non sarà mai buon cittadino, nè della propria nazione, nè dell'Europa né del mondo…".
Gli fa eco un particolare Cappellano della Grande Guerra Don Angelo Giuseppe Roncalli, Papa con il nome di Giovanni XXIII: "Noi non facciamo tanti ragionamenti e tante chiacchiere… Noi sappiamo che l'Amore di Patria non èaltro che l'Amore per il Prossimo e questo si confonde con l'Amore di Dio.. .".
Non c'è in Italia famiglia che non ricordi i racconti di guerra del papà, (nonno, zio…) quando ancora non c'era la televisione e si passavano le serate ad ascoltare i vecchi di casa. "Trieste" era frequentemente in cima alle narrazioni: rivivevano gli eroismi dei nostri Soldati, le sofferenze della trincea, l'anelito di portare il Tricolore della Patria a sventolare sul campanile della cattedrale di San Giusto.
Chi, fra gli uomini maturi di oggi, negli anni del 50, non ha preso parte alle manifestazioni per il ritorno all'Italia di Trieste, dell'Istria, di Fiume e di Zara? Le parole Trieste, Italia, Patria, si fondono in un unico indiscutibile assioma! Quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario della seconda redenzione del capoluogo giuliano. Non possiamo rievocare la tormentata storia delle Terre al confine orientale senza avvertire un tuffo al cuore.
Già il Sacrario di Redipuglia, ricordando il prezzo pagato nella Guerra per l'unità nazionale, seicentomila morti, ci induce ad accostarci in punta di piedi, a capo chino. Ve ne sono centomila, di cui quarantamila noti, che indicando la provenienza dei singoli, testimoniano come non c'è angolo d'Italia che non abbia partecipato alla liberazione della patria. E per Trento e Trieste fu la redenzione.
Fu quel meraviglioso tre novembre del 1918 che vide la Città di San Giusto impazzire di gioia e tutta la nazione in festa con Essa, si compiva il sogno dei Padri: dopo un lungo e travagliato Risorgimento, (quattro guerre d'indipendenza!), l'Italia si portava ai suoi confini naturali.
Ad oriente così li descriveva, ben sette secoli fa, Dante Alighieri nella nona cantica dell'Inferno: ".. . sì come a Pola, presso del Carnaro, ch'Italia chiude e i suoi termini bagna". Ma un'altra guerra, la seconda mondiale (1940-1945), rimetteva tutto in discussione. Non è questa la sede per tracciarne il corso. Si ricorda che la nostra Patria non è mai trascesa in eccidi o atti di barbarie, e, pur avendo promulgato le leggi razziali (per compiacere Hitler!), s'è ben guardata dall'applicarle. Ha intrapreso quindi la Guerra di Liberazione (1943-1945), per libera scelta, pagando un pesante tributo di sangue (87.000 Caduti cui vanno aggiunti 40.000 deceduti nei campi di concentramento e 30.000 partigiani). Ma tutto ciò è stato inutile.
Alla resa dei conti (10 febbraio 1947), le Potenze vincitrici, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e URSS, ci hanno imposto un trattato di pace iniquo e umiliante. Il prezzo più alto della nostra sconfitta (perché noi la guerra l'abbiamo perduta!) è stato pagato dalla Venezia Giulia, mutilata nelle sue carni e offesa nelle sue radici aldilà d'ogni previsione. Terre per secoli appartenenti alla nostra cultura, lingua e civiltà, ricche di monumenti romani e di gioielli dell'architettura veneziana, venivano staccate alla madrepatria e assegnate alla Jugoslavia comunista del dittatore Josip Broz Tito.
Il destino di Trieste veniva messo in discussione per nove anni (dal 1945 al 1954), nel corso dei quali la città versava altro sangue per il suo diritto d'appartenere all'Italia. Il nodo si sciolse con l'approvazione del "Memorandum di Londra" (5 ottobre 1954), sottoscritto Jugoslavia, Stati Uniti e Gran Bretagna, per alcune congiunture a noi favorevoli:
– Presenza a Roma dell'Ambasciatrice americana Clara Boothe Luce, a noi favorevole, tenuta in grande considerazione dal Presidente Eisenhower;
– Unione Sovietica travagliata dal problema della successione a Stalin;
– Gran Bretagna intenta a stipulare con l'Egitto il trattato sul Canale di Suez;
– Francia impastoiata con la guerra in Indocina;
– Jugoslavia in crisi alimentare, soggiogata dall'offerta di grano dagli USA (400.000 tonnellate!);
Il 26 ottobre avvenne l'effettivo passaggio dei poteri.
Il documento, fu sottoscritto dal Gen. De Renzi, Comandante del V Corpo d'Armata, il Gen. inglese Winterton, Comandante delle Forze Alleate e controllore della Zona "A", e il Gen. americano Dabney, Comandante del contingente USA. La città si riversò nelle strade per osannare i nostri Soldati, ripetendo le manifestazioni di giubilo del 1918. L'abbraccio dell'Italia fu portato dall'Esercito, dalla Marina e dall'Aviazione:
– Per l'Esercito: da alcuni Reparti della Divisione "Trieste" (fra i quali l'82° Reggimento di Fanteria "Torino" e il I Gruppo del 210 Reggimento d'artiglieria da campagna) e della Divisione corazzata "Ariete" (fra i quali il V Battaglione dell'8° Reggimento bersaglieri e il I Gruppo Squadroni del Reggimento "Genova Cavalleria");
– Per la Marina: dall'incrociatore "Duca degli Abruzzi", e dai caccia "Grecale", "Granatiere" e "Artigliere";
– Per l'Aeronautica: da ventiquattro aviogetti della 51" Aerobrigata di stanza a Istrana.
Festa ancora più grande fu il 4 novembre, alla presenza del Capo dello Stato Einaudi, si fece una grandiosa, parata militare sulle Rive. Fu conferita alla città la Medaglia d'Oro al Valore Militare, con una motivazione che abbraccia un arco di tempo che va dal 1848 fino al 1954. Nei Triestini, in quei giorni, le lagrime di gioia per avere ritrovato la Patria, si confondevano con quelle di dolore per la sorte dei fratelli Istriani, Giuliani e Dalmati. La descrizione dei sentimenti che attanagliavano i cuori e si agitavano
negli è resa dalle parole del Sindaco Gianni
Bartoli: "…E' la Madre che ritorna per farci vivere liberi con le sue leggi … la prima tappa è stata vinta contro tutto un mondo di interessi, di odio e di ipocrisia. . .e la meta è stata Trieste; la seconda tappa sarà vinta con un lavoro paziente nella realtà di un'Europa unita e di un Adriatico rappacificato. . .e la meta è l'Istria.
che la giornata di oggi sia:
– di elevazione a DIO, per averci ridato la Patria;
– di commossa memoria per i Caduti e per i Martiri, che ci hanno eroicamente segnato il cammino;
– di conforto agli assertori della fede italiana, da Zara a Capodistria, che piangono nell'esilio;
– di caparra sicura per un non lontano avvenire di Libertà per tutti i Giuliani".
Così l'eroico Vescovo Mons. Antonio Santin che in difesa dei deboli e degli oppressi, aveva tenuto testa agli occupatori della città, nazisti prima, slavo comunisti poi e angloamericani infine, s'espresse nell'omelia pronunciata in cattedrale il 4 novembre del 1954, alla presenza di Einaudi: "…oggi è giorno di gioia. Essa è schietta e grande, perché nasce dall'amore. Trieste ama l'Italia. Quante volte abbiamo sentito la gente umile e povera ripetere: "Ritorni qui la Patria. Il resto non c'importa". Questa è la grande verità che commuove ed esalta tutti: è ritornata la Madre. Quando ritorna la madre la casa è piena di luce, tutto sembra più bello, tutti diventano più buoni e si sentono sicuri. E il miracolo della madre. E il miracolo che Trieste vive in questi giorni…".
Così lo stesso Prelato piangeva per la sorte riservata ai Giuliani dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, costretti all'Esilio con la più cieca violenza: "Io non lo so.. .Io proprio non lo so. . .Io, purtroppo, so soltanto pregare per quelle migliaia di nostri fratelli.. .il mio gregge, la mia gente… quelli che devono pagare tutto per tutti. . .Cosa faranno costoro senza più Patria, dopo aver vissuto soltanto di Patria e per la Patria, come nessun altro Italiano ha mai saputo né saprà più fare?".
tratto da "Guardia d'Onore" n.6 2004