Il regista Alberto Negrin sta girando in Montenegro la fiction per Raiuno «Un dramma umano che ha sullo sfondo gli scontri politici e ideologici».
DAL NOSTRO INVIATO
TIVAT (Montenegro) – La memoria negata è una buca profonda otto metri realizzata in un capannone di Budva, un paesino sulla suggestiva costa montenegrina, dagli artigiani italiani e jugoslavi che stanno lavorando a una delle più importanti e controverse produzioni Rai del momento: «Il cuore nel pozzo», un film di due puntate da novanta minuti ciascuno realizzato dalla Rizzoli audiovisivi, racconterà a milioni di telespettatori una delle tragedie più atroci del Novecento ma di cui fino a pochi anni fa non si occupavano nemmeno i libri di storia. Quasi gli studiosi obbedissero a una consegna del silenzio che per mezzo secolo ha circondato le migliaia di vittime italiane della repressione titina nell’autunno del ’43 e, soprattutto, nella primavera-estate del ’45. Quando nel resto dell’Italia si festeggiava la fine della guerra, fra Trieste e l’Istria i partigiani jugoslavi, obbedendo a un preciso ordine di Tito, eliminavano chiunque si opponesse alla «slavizzazione» dei territori.
Agli italiani, ma anche agli jugoslavi che non condividevano la ferocia dei metodi, poteva capitare di morire di stenti in un campo di concentramento o, più facilmente, essere gettati vivi in una delle foibe che sono caratteristiche di quelle zone. Fenditure strette e buie del terreno in cui si poteva scomparire per una motivazione politica ma anche per una vendetta personale ai torti subiti dai carnefici durante il periodo fascista o, semplicemente, per avidità. In quelle buche ora ricostruite a Budva con il corpo della vittima scompariva anche la prova del delitto ed era più facile impadronirsi di case e terreni.
DIECIMILA VITTIME – Delle circa diecimila vittime di quella tragedia si è mantenuto sempre un vivo e partecipe ricordo locale ma a livello nazionale se ne è parlato poco. Per una serie di motivi, dall’appoggio dato da Togliatti alla politica di occupazione jugoslava dei territori italiani alla necessità politica da parte dei governi occidentali di non mettere in imbarazzo il maresciallo Tito dopo la clamorosa rottura con Stalin nel ’48. Sicché l’argomento è diventato scomodo, «politicamente scorretto». Condizionati da questo pregiudizio, come ci racconta il regista Alberto Negrin, conosciuto dal grande pubblico per una serie di film storici come «Perlasca. Un eroe italiano», del 2002, e «Il sequestro dell’Achille Lauro», dell’89, sono stati due o tre attori che «si sono rifiutati di partecipare al nostro film per una questione ideologica, per paura di eventuali reazioni. Convinti che questo film sia figlio della stagione berlusconiana, in realtà hanno rinunciato a pensare di testa propria».
RACCONTO EPICO – Ma la complessità del tema proposto, tiene a spiegare Negrin, fra una pausa e l’altra di una scena girata attorno a una vecchia fortezza che gli austroungarici avevano costruito a metà dell’800 sul confine con il Montenegro, «non deve far pensare a un film di ricostruzione storica». «Questo è un racconto epico – aggiunge il regista – dove in primo piano non sono gli scontri politici e ideologici, ma il dramma umano di persone normali nel momento più difficile del Novecento». Il film, su soggetto di Massimo e Simone De Rita, racconta la storia di una piccola comunità istriana sconvolta dalla guerra civile. Come avvenne nella realtà, le vicende private si intrecciano con quelle pubbliche.
Il capo partigiano titino Novak, interpretato dal popolare attore serbo Dragan Bjelogrlic, è alla ricerca del figlio avuto dall’italiana Giulia, la bella Sonia Aquino, che per non consegnare il piccolo Carlo (un simpaticissimo ragazzino milanese, Gianluca Grecchi) all’uomo che l’ha violentata, lo affida alle cure di don Bruno, interpretato da un umanissimo Leo Gullotta. La storia può essere così semplificata: la fuga del prete attraverso le campagne dell’Istria verso il confine con l’Italia per mettere in salvo il piccolo Carlo e il suo compagno Francesco (interpretato da Adriano Todaro). Attorno a questi personaggi ruotano le figure del reduce alpino Ettore (Beppe Fiorello), della sua fidanzata Anja (Antonia Lìskova), dei genitori di Francesco, Marta, insegnante, e Giorgio, il medico del paese (interpretati da Mia Benedetta e Cesare Bocci), di Walter (Marcello Mazzarella), rappresentante del Cln che sarà sacrificato dai titini nonostante la fede comunista. E centinaia di comparse, o meglio sarebbe dire coprotagonisti di una storia dimenticata, vestiti con sapienza dalla costumista Mariolina Bono, che questo film di Alberto Negrin vuole sottrarre all’oblio.
LE TESTIMONIANZE – «Come molti italiani di media cultura – racconta Negrin – anch’io non conoscevo bene la vicenda delle foibe. Sapevo della tragedia ma non l’avevo mai approfondita. Quando mi hanno proposto il soggetto, mi ci sono appassionato e ho cominciato a leggere quasi tutti i libri sull’argomento, dal romanzo di Sgorlon al saggio di Gianni Oliva, al libro autobiografico di Anna Maria Mori. E poi le testimonianze pubblicate dalle associazioni locali. Mi sono così convinto che è un nostro dovere raccontare questa tragedia, non per entrare nella disputa politica e ideologica ma per far conoscere una tragedia dimenticata. Questo è il primo film che parla delle foibe e credo sia un bel modo di far televisione». La prima puntata del «Cuore nel pozzo» sarà trasmessa da Raiuno il 10 febbraio, giornata della memoria per le vittime delle foibe.
SULLO STESSO PIANO – C’è stato chi ha criticato l’istituzione di questa giornata della memoria, quasi che si volesse mettere sullo stesso piano della giornata delle memoria dell’Olocausto.
«A me ebreo – dice Negrin – queste polemiche non interessano. Non mi piace la retorica delle celebrazioni, mi interessa invece che ogni giorno sia buono per ricordare. E per pensare fuori dagli schemi ideologici».
Dino Messina
La storia e il cast
IL FILM La Rai e la Rizzoli Audiovisivi hanno prodotto «Il cuore nel pozzo», film tv in due puntate di 90 minuti ciascuna sulla tragedia delle foibe
PROTAGONISTI
Il regista Alberto Negrin («Perlasca. Un eroe italiano», «Il sequestro dell’Achille Lauro») dirige il film con soggetto di Massimo e Simone De Rita. Tra i protagonisti Beppe Fiorello, Leo Gullotta, Antonia Lìskova, Sonia Aquino.
LA TRAMA
«Il cuore nel pozzo» racconta la storia di una piccola comunità istriana sconvolta dalla guerra civile. Leo Gullotta è don Bruno, il sacerdote del paese, mentre Beppe Fiorello è il reduce alpino Ettore.
si ringrazia: Foibe: 60 anni di silenzio