La Foiba di Monrupino

La foiba di Monrupino, conosciuta anche con il nome “Foiba n149” e situata a nord di Trieste, è una profonda cavità carsica che ha assunto un valore simbolico nel ricordo delle violenze e delle atrocità commesse alla fine della Seconda Guerra Mondiale, specialmente nel contesto delle tensioni tra le truppe jugoslave e italiane nel periodo post-bellico. Collocata a circa 11 km dalla città, questa foiba è caratterizzata da una profondità di 180 metri e un’imboccatura che si apre sul fondo di una dolina. Attualmente, la foiba presenta una copertura tombale di 150 metri quadrati che riporta una croce in pietra bianca del Carso. Durante il periodo di occupazione jugoslava di Trieste nel maggio del 1945, un numero significativo di persone, tra cui militari tedeschi e civili italiani, furono uccise e gettate nella foiba, alcune direttamente dalla ferrovia che passava a pochissimi metri sopra alla voragine. Si stima che circa cinquanta corpi siano stati rinvenuti al suo interno, tra i quali anche quelli di tre ferrovieri italiani – Vittorio Cima, Luciano Manzin e Mario Mauri – giustiziati senza un vero processo e accusati sommariamente di furto. Il processo sommario che li condannò fu, secondo diverse fonti, un atto di vendetta, privo di accuse precise e condotto senza la possibilità di una vera difesa.

Le fonti storiche e le testimonianze relative al numero effettivo delle vittime sono contrastanti, con alcune stime che variano da poche decine a migliaia di vittime, includendo civili e militari italiani e tedeschi. Secondo alcune versioni, furono diverse migliaia le persone uccise e gettate nelle cavità delle attuali repubbliche confinanti, tra cui feriti e malati prelevati dall’Ospedale Militare di Trieste. È altresì complesso a distanza di anni ricostruire il numero esatto, la loro identità e collocazione. Tuttavia, nella Foiba n149 le difficoltà di esplorarne l’interno– complicate dall’uso di esplosivi per provocare frane interne e nascondere i resti – rendono quasi impossibile stabilire con certezza il numero effettivo degli infoibati.

Tra coloro che esplorarono e documentarono le condizioni all’interno della foiba, figura Mario Maffi, un alpino e speleologo che intraprese una missione segreta nel 1957. La sua esperienza, riservata per decenni sotto segreto militare, fu un’operazione di esplorazione condotta su ordine dei superiori per confermare la presenza di resti umani. Maffi scese più volte nella foiba di Monrupino e altre nella zona carsica, rilevando condizioni tragiche: i resti erano spesso in condizioni strazianti, con segni di lesioni violente come fratture craniche e arti legati con filo spinato. Alcuni teschi presentavano ferite da arma da fuoco, e trovò anche il corpo di un bambino di circa dieci anni. L’uso di esplosivi da parte dei partigiani jugoslavi per nascondere le prove ha aggravato la situazione, rendendo quasi impossibile una piena identificazione delle vittime.

Durante la missione, Maffi ricevette un’identità fittizia e si calò anche in altre foibe, presumibilmente oltre il confine jugoslavo, scortato da carabinieri che, nel frattempo, vigilavano armati di mitragliatrice pesante all’esterno. Trovò scenari macabri, tra i quali salme pressoché intatte, come quella di una vittima che sembrava aver tentato invano di risalire una parete della cavità. L’esperienza di Maffi, che durante il servizio militare fu tra i primi italiani a confermare la tragica realtà degli infoibati, rappresenta un esempio drammatico di come le atrocità compiute nelle foibe siano state taciute per decenni, nonostante sin dal 1943 la cosa fosse ben conosciuta dallo Stato, come testimoniato dal Maresciallo di Terza Classe del 41º Corpo dei Vigili del Fuoco di Pola, Arnaldo Harzarich.

La foiba di Monrupino è stata riconosciuta come Monumento Nazionale il 24 luglio 1993, un anno dopo la Foiba di Basovizza. Da allora, la sua gestione è passata al Comune di Trieste, il quale assieme alla Lega Nazionale ogni anno co-organizza la deposizione di corone di alloro, in occasione del 10 febbraio, dal 2004 istituito come “il Giorno del Ricordo”.