Alla “Nazione tra passato e attualità” l’Osservatorio Adriatico della Lega Nazionale ha dedicato nella scorsa primavera un ciclo di conferenze, che – come si ricorda – venne organizzato in aprile e maggio presso il Liceo Dante.
Questa serie di iniziative proseguiva il lavoro di approfondimento, già avviato dalla Lega Nazionale nel novembre ‘99 con il convegno incentrato su Gabriele D’Annunzio e sull’Impresa fiumana, riguardante fasi storiche e personalità rilevanti nella contemporaneità italiana.
Ora, alla pubblicazione degli atti relativi al convegno dannunziano, desideriamo far seguire questa rapida sintesi delle relazioni tenutesi nell’ambito del ciclo “primaverile”. Crediamo sia un modo per non disperdere elementi “sempreverdi” di riflessione, che non smarriscono e non debbono smarrire la loro vitalissima attualità.
Sul tema “Ripensare la Nazione” Marcello Veneziani, saggista ed editorialista del “Giornale”, aveva inaugurato il ciclo. Il relatore ha insistito sulla necessaria tutela dell’identità nazionale, intesa come risorsa e non come vincolo fossilizzato, interpretata come ineludibile riferimento alle radici, alla storia, alle memorie che formano e cementano una comunità. La Nazione – ha osservato Veneziani – non è una reliquia del passato: mentre i grandi processi di globalizzazione economica e le forti correnti migratorie rischiano dì compromettere la stabilità e gli interessi dei popoli, è proprio il richiamo nazionale che consente di affrontare queste sfide con forza e consapevolezza. C’è un modo di essere italiano, c’è uno stile di vita italiano, c’è una specificità storica e culturale italiana che non vanno dispersi. Il Novecento – ha detto infine Veneziani – ha visto alla ribalta un Paese tutt’altro che periferico e provinciale: nella scienza (figure come quelle di Fermi e di Marconi), nell’arte e nella letteratura (si pensi al Futurismo e a Pirandello), nella stessa politica (si rifletta sulla carica innovativa e dirompente del Fascismo rispetto alle dottrine ottocentesche liberali e socialiste).
Giuseppe Parlato, allievo di Renzo De Felice e storico nell’Università di Roma “La Sapienza”, ha invece affrontato uno dei grandi nodi irrisolti della cultura italiana contemporanea: Giovanni Gentile. E ne ha parlato con specifico riferimento alla riflessione del filosofo siciliano su Nazione e Risorgimento. Gentile si cimentò ben presto su questi temi, come i saggi dedicati a Gioberti e Rosmini attestano. La debolezza statuale dell’Italia rinascimentale, a fronte dello splendore artistico dell’epoca, la frattura tra intellettuali e politica, la fiacchezza dello spirito pubblico hanno costituito “costanti” nella sua meditazione storica per questo, secondo Gentile, il Risorgimento fu importante, perché rappresentò una svolta nella coscienza degli italiani. Ma lo Stato liberale post-unitario non riuscì a coinvolgere Strati Consistenti della popolazione: il concetto di “Stato etico”, la stessa riforma della scuola nel ’23 – di cui il filosofo fu l’artefice -, il grande lavoro come organizzatore culturale (basti come esempio il varo dell’Enciclopedia Italiana) sono i punti salienti di quell’ “educazione permanente” e di quella mobilitazione culturale che Gentile riteneva necessaria per la crescita della Nazione. La sua partecipazione al Fascismo va letta. a giudizio di Parlato, proprio in questo senso: come grande tentativo “corale”, come sintesi di “tutte” le correnti ideali risorgimentali, come sforzo di conferire moralità all’agire pubblico nella costruzione di un senso di appartenenza nazionale.
“Pedagogo della Nazione” voleva essere Gioacchino Volpe, una delle massime espressioni della storiografia italiana del XX secolo. E per questo lo studioso del Medioevo divenne, durante la prima guerra mondiale, anche studioso delle vicende contemporanee. Paolo Nello, storico nell’Università di Pisa e biografo di Dino Grandi, ha ritessuto il filo dell’interpretazione volpiana: l’importanza della coscienza nazionale, essenziale per difendere libertà e indipendenza, per comprendere non solo il “trascorso” ma anche la prospettiva; la nascita della Nazione italiana che lo storico abruzzese, in polemica con Benedetto Croce, collocava all’alba del primo millennio e che connetteva all’affermarsi dei Comuni, all’unità del Mezzogiorno, all’espansione mediterranea delle repubbliche marinare. Lungo i prodromi manifestatisi nel ‘700, poi attraverso l’esperienza napoleonica, questa “Nazione senza Stato” trovava infine nella spada e nelle ambizioni dei Savoia la maniera di esprimersi nella concretezza storica. Fallite le ipotesi neo-guelfe e repubblicane, la soluzione monarchica divenne la strada possibile per unificare il Paese. La Grande Guerra fu cimento e fucina della giovane e fragile Nazione; sull’abbrivio dei cambiamenti, che il conflitto produsse nella società italiana, Volpe ritenne che il Fascismo avrebbe potuto essere un valido “integratore nazionale”. Ma – ha ricordato Nello – lo storico non risparmiò, soprattutto nella seconda metà degli anni Trenta, critiche al Regime perché il partito tendeva a invadere lo Stato e perché la Nazione rischiava di esaurirsi nello Stato.
Alessia Rosolen – Osservatorio Adriatico
Paolo Sardos Albertini – Lega Nazionale