26 Ottobre 1954-Diario di una giornata indimenticabile

Tra vecchie carte in soffitta ho trovato questo diario di mio padre Alvino Burresi (deceduto parecchi anni fa) riguardante l'arrivo delle truppe italiane a Trieste nel 1954.
Io ricordo ancora la ressa e la difficoltà di mia madre nel farsi strada tra la calca, tendendo per mano mia sorella e me, fino ad arrivare fortunosamente al Lloyd Triestino. Mi ricordo che, nonostante mi trovassi in un ottimo posto di osservazione, riuscii a vedere ben poco a causa delle lacrime di commozione che mi riempivano gli occhi. Ricordo che mi sarebbe piaciuto riuscire a catturare anch'io una penna di Bersagliere, anche se in cuor mio speravo, da grande, di fare l’Alpino.

Dario Burresi

Peggior aiuto di così il tempo non poteva dare ai soldati italiani. Pioggia e bora, bora e pioggia tutto insieme, forse nell'intento di trattenere i Triestini nelle loro case. Quasi temevo che ci fosse poca gente in città, ma ben presto fui tranquillizzato: le case si svuotavano, le automobili sfrecciavano verso il centro e famiglie intere, uomini, donne, ragazzi, bimbi e vecchi scendevano la collina (il Colle di San Vito) riparandosi alla meglio con i più svariati mezzi di fortuna nelle zone battute, ed aprendo ogni tanto qualche ombrello nei punti di bonaccia.

La marina era nera di gente, potemmo avvicinarci alle piazza (Piazza Unità d'Italia) alla distanza di 300 metri al massimo. Più in là era impossibile penetrare, tanto la calca era fitta.

Finimmo coi separarci; mia moglie Alda con i ragazzi, girando per vie interne riuscì a raggiungere il Palazzo dei Lloyd Triestino e ad entrarvi. lo, avvolto nel mio impermeabile da caccia, mi arrampicai sulle sartie di un peschereccio di altomare per vedere almeno da lontano l'arrivo delle navi.

Sui tetti delle case vicine, alle finestre, agli abbaini ed in qualunque luogo si potesse scorgere il mare c'era gente che guardava ed agitava bandiere, nastri, drappi e fazzoletti bianchi rossi e verdi. Una folla immensa sotto la bora e la pioggia violenta.

Dall'alto dell'albero dei peschereccio, aggrappato alle sartie, mi godevo lo spettacolo, con i calzoni, le scarpe ed ogni parte non ricoperta dall'impermeabile, ridotti a stracci fradici. Quanti ombrelli sfilavano davanti a me portati in mare da qualche refolo capriccioso che sconvolgeva le zone di calma.

Era un urlo continuo: "Giungono! Arrivano! Ecco le navi! Ecco i Bersaglieri!" E via, un correre da una parte all'altra per vedere i nuovi arrivati …. che spesso non erano affatto arrivati!

Finalmente apparvero davvero le navi. Fra gli spruzzi delle onde apparve un caccia, poi l'incrociatore e poi ancora gli altri due caccia. La gente sembrava impazzita; era tutto un gridare, un agitarsi forsennato. Undici anni di attesa, undici anni di ansia sfociavano in un immenso grido, in uno slancio incredibile ed inimmaginabile per chi non lo abbia vissuto, verso le navi della Patria che giungevano in porto.

Intanto da terra giungevano i Bersaglieri. Oltre un'ora avevano impiegato con gli autocarri per fare sì e no un chilometro o poco più. Non c'erano più cordoni, non c'era più limite a trattenere l'entusiasmo. Gli autocarri erano zeppi di Triestini. Erano entrati dappertutto; ed i poveri soldati pigiati dentro, mezzo soffocati dal grande abbraccio di tutto un popolo! Come riuscissero a guidare gli autisti è una cosa che non potrò mai spiegare. Sul cofano, sui parafanghi, sull'imperiale, ovunque ci fosse il più piccolo appiglio c'era arrampicato un giovane o una ragazza.

Ogni tanto appariva qualche cappello da Bersagliere ed una mano toglieva le penne per donarle ai molti, ai troppi richiedenti. Quanti Bersaglieri ho visto senza la minima traccia di penne sul cappello. Qualcuno di rimise il cappello, altri la giubba. Di bottoni sulle giubbe ne rimasero pochini perché ogni cittadino pretendeva un ricordo dal primo soldato che riusciva ad avvicinare.

E gli autisti continuavano a guidare, un metro alla volta. Ora però mi viene il dubbio che i motori non fossero neppure in moto, perché avanzavano fra la folla più folta, forse spinti dalla folla stessa, senza la minima possibilità per il guidatore di vedere la strada …. che dico la strada, ma neppure l'aria davanti a lui. Se non sconquassarono le balestre i camion con tutta quella gente arrampicata in ogni dove, si deve certamente attribuire al fatto che le dovevano avere rinforzate.

Insomma, malgrado le difficoltà di guida, non avvenne nessun incidente e tutto filò liscio liscio, così come lo poteva permettere l'entusiasmo dei cittadini che sovverti l'ordine di ogni ben studiata cerimonia.

Anche l'assalto alle navi ebbe luogo a tempo debito, non appena accostarono, ed i marinai non poterono far altro che aiutare i molti giovani d'ambo i sessi che s'erano lanciati all'arrembaggio. In pochi momenti a bordo si vedevano più borghesi che marinai e nulla riusciva a trattenere gli assaltatori, neppure le onde, il vento e la pioggia che sulla riva facevano il diavolo a quattro.

Alvio Burresi