In riferimento agli attacchi alla Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani riportati lunedì 9 settembre sul quotidiano “Il Piccolo” nell’articolo di pagina 17 dal titolo «Strage di Vergarolla, confutiamo la tesi di Serracchiani», riportiamo una replica di Paolo Radivo,Direttore de “L’Arena di Pola” e segretario del Libero Comune di Pola in Esilio.
“Leggiamo con dispiacere le critiche rivolte alla Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani per il bel messaggio da Lei trasmessoci in vista delle cerimonie polesi a ricordo delle vittime della strage di Vergarolla, e le riconfermiamo gratitudine per la sua attenzione e apprezzamento per le sue significative parole.
La Commissione d’inchiesta alleata accertò che le 28 mine di profondità non sarebbero potute esplodere accidentalmente poiché private del detonatore, che qualcuno reinserì. Pertanto fu una strage premeditata, non una tragedia fortuita.
Fabio Amodeo e Mario Cereghino scoprirono fra i documenti degli archivi inglesi il nome di uno dei probabili attentatori, un agente dei servizi segreti jugoslavi, e lo citarono in Trieste e il confine orientale tra guerra e dopoguerra. Volume 3. 1946-1951 (Trieste, 2008). Ulteriori particolari vennero forniti da Pietro Spirito su “Il Piccolo” del 9 marzo 2008: «dal 9 settembre 1946, sono attive a Trieste e in tutta la Venezia Giulia 6 squadre di sabotatori dell’OZNA, con l’obiettivo di “promuovere atti terroristici”»; «in ottobre, un gruppo di ex soldati tedeschi (una trentina) è stato incaricato dai titini di organizzare una serie di attentati dinamitardi contro le forze angloamericane di stanza a Trieste».
Ulteriori documenti inglesi richiamati su “L’Arena di Pola” del luglio 2006 riferiscono che, prima di Vergarolla, da parte filo-jugoslava era stata espressa la volontà di boicottare qualsiasi manifestazione, anche sportiva, filo-italiana. Non a caso una bomba fu rinvenuta a Trieste sotto la tribuna della giuria di una gara internazionale di canottaggio. E le gare natatorie previste per la mattina del 18 agosto 1946 davanti alla sede della società “Pietas Julia” avevano una chiara connotazione patriottica. Vi accorsero centinaia di famiglie italiane italofile, ragion per cui le vittime si contarono solo fra queste.
Testimonianze oculari riportate su “L’Arena di Pola” del luglio 2013 affermano di aver sentito una detonazione subito prima dello scoppio e di aver visto in mattinata un uomo ben vestito stendere un “filo” lungo la pineta, tagliarlo con un coltello e aggiuntarlo in più punti: era un congegno elettrico a distanza. Un altro sconosciuto fu visto arrivare su una barchetta di idrovolante alla banchina del vicino cantiere navale “Lonzar”; disse di venire da Brioni, che era sotto occupazione jugoslava. Dopo l’esplosione il prof. Giuseppe Nider e un maggiore britannico trovarono in una vicina cava tracce di apparati per l’innesco remoto uguali a quelli usati nelle miniere dell’Arsa. L’esule polesano Lino Vivoda avrebbe inoltre scoperto un altro degli attentatori: un agente dell’OZNA-UDBA membro del gruppo operante tra Fasana e Peroi.
E’ vero che già nel luglio 1946 ben 28.058 cittadini presenti a Pola avevano preannunciato l’intenzione di esodare nel caso la città fosse passata alla Jugoslavia. Ma la Conferenza della pace doveva ancora decidere e il 15 agosto all’Arena circa 20.000 filo-italiani erano accorsi alla manifestazione indetta dalla Lega Nazionale unendosi ai cori nel cantare inni patriottici. L’eccidio di Vergarolla rafforzò anche nei più titubanti la convinzione che l’esodo fosse ormai l’unica garanzia di sopravvivenza, oltre che di libertà e di mantenimento della cittadinanza italiana.”
Paolo Radivo, Direttore de “L’Arena di Pola” e segretario del Libero Comune di Pola in Esilio