Un protagonista: Don Marzari

Lo strumento del Comitato di Liberazione Nazionale, che era servito contro i Nazisti, non poteva venire riproposto pari pari per combattere ora il Comunismo jugoslavo. Occorreva qualcosa di nuovo e di diverso e, nell’individuare e realizzare tale novità, il ruolo di don Edoardo Marzari appare sicuramente determinante e decisivo.

Edoardo Marzari è stato di certo un personaggio importante, un vero protagonista della vita triestina (e meriterà sicuramente in futuro una maggiore attenzione, un più attento approfondimento da parte di chi si occupa di storia).
Nato a Capodistria, egli entra in seminario da adulto. Dopo l’ordinazione si dedica con totale coinvolgimento ai suoi compiti sacerdotali; particolarmente quale educatore, guida e riferimento per il mondo giovanile (quello dello scoutismo cattolico). Don Marzari è però anche un intellettuale ed un vivace ed attento giornalista: protagonista dalla fine degli anni ’30 nella gestione – sovente burrascosa, in quegli anni – del settimanale cattolico Vita Nuova, di cui si troverà sempre più a svolgere de facto il ruolo di direttore.
Certo è che, nella primavera del 1945, egli si trova al vertice del Comitato di Liberazione Nazionale, nonché nelle mani delle SS, nel carcere del Coroneo dove vi è stato richiuso dalle autorità tedesche. I carcerieri nazisti lo sottopongono anche ad una certa dose di torture – come lui stesso relazionerà al suo vescovo mons. Santin – ma egli riesce a non parlare (“Ho resistito senza urlare e rammentando i miei doveri di sacerdote, oltre che di uomo e di italiano”). Liberato dal carcere con un colpo di mano dei Volontari della Libertà (il commando è guidato da un futuro sindaco di Trieste degli anni ’70, Marcello Spaccini) è proprio don Edoardo Marzari che, il trenta aprile 1945, si trova a dare l’ordine di insurrezione, in armi, per liberare Trieste dagli occupanti tedeschi.
L’insurrezione si realizza il larga sinergia con il corpo della “Guardia civica”, organismo quest’ultimo costituito da Cesare Pagnini, podestà di Trieste durante l’occupazione tedesca. Comitato di Liberazione Nazionale e Guardia Civica operano, di fatto, in larga sintonia; laddove in una logica da guerra civile avrebbero dovuto combattersi e magari trucidarsi come avversari e nemici irriducibili. Anche questa è un’anomalia, una ulteriore anomalia triestina: per don Marzari, per il Cln della Venezia Giulia (non però per i Comunisti che già parlano a nome e per conto di Tito) la Resistenza era e resterà solamente guerra di liberazione. Si trattava cioè di cacciare lo straniero invasore ed occupante, si trattava propriamente di liberare Trieste e l’Italia. La loro Resistenza è stata dunque ben diversa da quella manifestatasi in tante altre parti d’Italia, ove al tema della liberazione dallo straniero si intrecciarono (o magari si sovrapposero) altre logiche quali quella della guerra civile del regolamento di conti tra fratelli oppure la logica della guerra rivoluzionaria finalizzata a realizzare un nuovo ordine sociale e politico.
A Trieste il trenta aprile si è scesi nelle strade per cacciare l’invasore tedesco. Se per farlo veniva offerto l’ausilio della Guardia Civica, tanto meglio. A Trieste, dopo il primo maggio, l’invasore da combattere non era più la Germania di Hitler (ormai sprofondata nella disfatta), ma la Jugoslavia del Maresciallo Tito. E don Edoardo Marzari, in assoluta coerenza con le motivazioni della sua Resistenza, della sua guerra di Liberazione, non ha avuto esitazioni nell’individuare immediatamente nel comunismo titoista il nuovo gravissimo pericolo da fronteggiare e da combattere.
Nel capoluogo giuliano, dopo i tragici quaranta giorni dell’occupazione titina, il problema prioritario era quello di evitare che le sorti dei negoziati internazionali in corso giocassero a favore delle pretese jugoslave sulla città di San Giusto. In tale prospettiva era estremamente importante contrastare quelle forze politiche locali che dichiaratamente di muovevano a supporto delle tesi e delle pretese di Belgrado e che operavano da vera e propria quinta colonna del Comunismo jugoslavo. Si trattava in primis del Partito Comunista (Togliatti esplicitamente aveva appoggiato la pretesa di Tito di un confine sull’Isonzo), si trattava anche di larga, larghissima parte della componente slovena della popolazione giuliana che, in una miscela di nazionalismo e di ideologia, guardava alla Jugoslavia come alla propria nazione madre.
In Istria poi la situazione era ancor più drammatica (ed il capodistriano don Marzari non poteva certo non curarsene). L’occupazione jugoslava imperversava sulle popolazioni civili, nel più assoluto disprezzo del diritto, della civiltà e dell’umanità. Il meccanismo del terrore che veniva messo in atto sarà quello che, con tempistiche più o meno varie, porterà alla fine ben trecentocinquantamila italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia a lasciare tutto, lavoro, case, cimiteri. Preferendo, per sé e per i propri discendenti, la strada dell’Esodo e della diaspora.
Il Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste e dell’Istria e don Marzari cercano di fronteggiare, come possono, la drammatica situazione: con interventi sia materiali che politici.

Far capire al resto d’Italia il dramma che si sta vivendo al confine orientale non è però compito facile: i profughi istriani che arrivano a Bologna o a Venezia non sono accolti come i fratelli, in fuga da un pericolo mortale; bensì vengono ingiuriati – dagli attivisti della CGIL o del PCI – quali criminali fascisti che abbandonano il “paradiso comunista” del Maresciallo Tito solo perché consapevoli delle loro colpe borghesi e fasciste. Fortunatamente questi episodi (verificatisi e documentati) non sono la regola. Tante altre città italiane hanno saputo, da subito, accogliere gli esuli giuliano-dalmati con generosità e calore. Ma ciò non toglie che il problema esistesse e fosse molto concreto: come far capire all’Italia ufficiale, al governo di Roma (dove c’erano ancora ministri targati PCI) la novità di una Jugoslavia non più alleata, bensì oramai nemica? Come far capire quanto fosse urgente aiutare coloro che di questo nuovo terribile nemico già erano le vittime? Come far sì che il pericolo venisse arginato e quali strumenti mettere in campo per questa nuova battaglia politica?
Lo strumento del Comitato di Liberazione Nazionale, che era servito contro i Nazisti, non poteva venire riproposto pari pari per combattere ora il Comunismo jugoslavo. Occorreva qualcosa di nuovo e di diverso e, nell’individuare e realizzare tale novità, il ruolo di don Edoardo Marzari appare sicuramente determinante e decisivo.