Sloveni e Venezia Giulia della prof. Chiara Motka

Sloveni e Venezia Giulia

Nella pagina Cultura e Spettacoli del 17 maggio u.s. Alberto Rochira attribuisce allo scrittore Boris Pahor due singolari affermazioni che a Trieste non possono passare sotto silenzio.

Mi riferisco alla frase «è giusto ricordarsi delle foibe e degli esuli italiani, ma anche che 100.000 sloveni sono stati esuli dalle terre della Venezia Giulia». Poiché le organizzazioni slovene, quando presentano le richieste di finanziamento allo Stato italiano (senza alcun censimento probatorio!) sostengono che, attualmente, sarebbero presenti nella nostra regione 100.000 sloveni, mi domando quanti dovevano essere gli sloveni nella Venezia Giulia nel 1918 se fosse vero il dato di Pahor di altri 100.000 esiliati nel primo dopoguerra.

 

Basta controllare i censimenti austriaci, che pur gonfiavano il numero delle presenze slovene a Trieste ed in Istria, facendo apparire come locali le persone che, invece, erano state temporaneamente trasferite dalla Slovenia per ragioni di «equilibrio etnico» ai danni degli italiani. Ambedue i dati, i 100.000 esuli di Pahor ed i 100.000 attuali sloveni, sono privi di ogni fondamento reale. 

Sull’incendio del Balkan molto abbiamo scritto noi dalmati, perché la storia ci riguarda direttamente. Il giorno successivo all’eccidio di Spalato in cui perirono il comandante Gulli ed il motorista Rossi, fu ucciso in piazza Unità il giovane  Giovanni Nini che protestava contro la snazionalizzazione della Dalmazia. È noto che 41 squadristi del Fascio di Trieste (in quel periodo vigeva ancora nel Regno d’Italia il sistema democratico perché il fascismo non era ancora andato al potere) si recarono minacciosamente per protestare sotto il Balkan, trovando un’intera compagnia del Regio esercito al comando del sottotenente Luigi Casciana che – in assetto di combattimento – sbarrava loro la strada. L’esercito italiano difese il Balkan anche quando, dalle finestre dove era alloggiata un’organizzazione jugoslavista fu lanciata una bomba che ferì a morte il sottotenente Casciana. Non è mai stato appurato chi sia stato a provocare l’incendio del Balkan. Al tempo si disse che furono gli jugoslavisti che, nell’intento di bruciare documenti compromettenti, estesero il fuoco a tutto l’edificio. Non corrisponde a verità che i pompieri tagliassero gli idranti per impedire di spegnere l’incendio, come è dimostrato da numerose fotografie che documentano i getti d’acqua puntati sulle finestre dell’Hotel Balkan. Risulta, invece, che i pompieri non poterono entrare all’interno dell’edificio a causa delle continue esplosioni del materiale bellico accatastato nel centro culturale jugoslavo. Va precisato che gli sloveni del tempo non avevano alcuna voce in capitolo, tenuto conto che sloveni e croati avevano valorosamente combattuto nell’imperial-regio esercito austro-ungarico ed erano considerati dai serbi, popolo egemone della nascente Jugoslavia, dei traditori della causa jugoslavista.

prof. Chiara Motka – vice presidente fondazione Rustia-Traine