Secolo d'Italia 12/11/05
Un analisi dello storico Massimo de Leonardis: Roma era succube di Tito
Il Trattato di Osimo è la prova di «una visione debole e di mancanza di senso della storia della classe politica di quegli anni», come spiega Massimo de Leonardis, docente di Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali della Facoltà di Scienze politiche dell'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano. «Se solo avessero aspettato 15 anni, si sarebbero ribaltate le posizioni tra Italia e Jugoslavia».
Come si arriva a un errore di vàlutazione così grave?
Sul fronte internazionale, si era all'apice della grande distensione tra Usa e Urss. Pochi mesi prima si era conclusa la conferenza di Hélsinki. Gli accordi avevano sancito la fase di massimo cedimento dell'Occidente nei confronti dell'Unione Sovietica. Sul fronte interno, invece, il Partito comunista era reduce dal successo alle politiche svoltesi in giugno. E non va dimenticato che la Jugoslavia dalla sinistra italiana veniva considerata un modello.
In che senso?
Il maresciallo Tito era tra i promotori dei Paesi non allineati, cioè che non erano membri né della Nato né del Patto di Varsavia. Almeno formalmente appariva un regime comunista indipendente. Il Pci additava a modello la politica estera condotta dalla Jugoslavia.
Cosa prevede il Trattato di Osimo?
Non fa altro che recepire il Memorandum del '54, inserendo misure aggiuntive a svantaggio dell'Italia.
Che interesse avevamo ad accettare condizioni peggiori rispetto all'immediato dopo guerra?
C’era una sudditanza dei nostri politici nei confronti di Tito. Il leader jugoslavo era vecchio e malato. Infatti sarebbe morto cinque anni più tardi. Lasciò intendere che qualsiasi suo successore sarebbe stato meno malleabile di lui e molto più nazionalista.
Perché questa pagina della nostra storia recente risulta praticamente sconosciuta?
Non c'è la possibilità di accedere agli archivi. I documenti diplomatici presso il nostro ministero degli Esteri sono fermi al 1943. Se pensa che gli americani hanno già messo a disposizione i documenti degli anni '70, si rende conto della differenza. ; –
Manca la volontà politica?
No. Mancano le risorse economiche. Non ci sono archivisti e impiegati che riorganizzino l'archivio. È un peccato che questo aspetto venga trascurato. Ai nostri governanti vorrei ricordare l'ammonimento di uno storico inglese dell'800: «II Paese che non apre i suoi archivi avrà la storia scritta dai suoi nemici».
Valter Delle Donne