Quella mano che dal ’45 ad oggi non ci si e’ mai data

Ho letto con molta attenzione l’intervista rilasciata al Piccolo, il 24 agosto u.s., da Fabio Forti, Presidente dell’Associazione Volontari della Libertà, che stimo ed apprezzo per quanto fatto in passato ed in tempi recenti; un apprezzamento dimostrato intervenendo personalmente a diverse importanti manifestazioni organizzate dalla sua Associazione, in nome di una fortemente sentita e condivisa “italianità”. Tuttavia il suo dire mi ha procurato qualche perplessità e fatto sì che mi ponessi taluni interrogativi ai quali ho avuto difficoltà a darmi delle convincenti risposte e che, pertanto, ripropongo a Lui ed a quanti mi leggeranno.

Per dirla al modo di Giulio Bedeschi e contrariamente a Fabio Forti, io non posso dire “Confine orientale: c’ero anch’io” o, essendoci, non ero in età d’intendere e volere. Quello che dirò è, pertanto, il mio personale sentire, frutto dell’educazione ricevuta in famiglia, delle diversificate letture fatte, di esperienze professionali vissute anche nell’ex Jugoslavia, di testimonianze raccolte tra i miei conterranei, essendo, tra l’altro, presidente di una associazione di Esuli istriani.

Una prima perplessità mi deriva dal riemergere dell’asserto “istriano=fascista”, implicita nella sua affermazione che la persistente frattura insita nel tessuto sociale triestino sarebbe dovuta alla presenza di una “destra istriana”. E’ una gratuita illazione! E’ ben vero che l’unica Italia che gli Istriani hanno vissuta è stata quella dell’era fascista, il che spiega un certo processo di identificazione, suonando, però, più ad attenuante che ad aggravante. Lo è altrettanto, che anche in Istria c’è stato un antifascismo democratico che, similmente a quanto occorso a Trieste ma in maniera ancor più accentuata, ha avuto estrema difficoltà – quando non la pratica impossibilità – di esprimersi, non solo per mano nazi-fascista ma anche, e direi soprattutto, slavo-comunista. Per averlo tentato, nell’estate 1944, il fratello di mio padre è stato fatto sparire dai titini. Se ciò non bastasse, è arcinoto che, nella nostra stessa Città, le Associazioni che rappresentano gli esuli hanno diverse sensibilità politiche di riferimento. Pertanto, a prescindere dal credo politico di ogni singolo istriano, usare l’aggettivo “istriano” con l’intento di rendere più deteriore la “destra”, è ingiustificato, fuorviante ed offensivo. E’ mai possibile che ci si ostini ancora a non voler capire che l’italianità espressa dalla stragrande maggioranza degli Istriani, allora con la scelta dell’esodo ed oggi con una intensità – talvolta prossima all’intransigenza – che non ha riscontro in altre parti del nostro Paese, è in primo luogo un sentimento di sofferta identità e non ideologico?

Una seconda perplessità me l’ha procurata il ragionamento esplicativo, nonché giustificativo, da Lui fatto nei confronti dei propri comportamenti ed in difesa della Guardia Civica, alla luce del contributo dato dalla stessa nella sollevazione di Trieste del 30 aprile ’45. Un ragionamento che, però, dimostra di non essere disposto ad applicare ad altri. Dice, infatti, che nel momento delle scelte critiche, all’arrivo dei titini in Città, tre erano per i Volontari della Libertà le opzioni possibili: allearsi con i tedeschi, consegnare la città (agli slavi, suppongo), sparire. Decisero di sparire e, ciononostante, in parecchi furono fatti sparire dai cosiddetti “liberatori”. In precedenza, in parecchi erano stati inquadrati nella Guardia Civica. Vi si erano arruolati perché di sentimenti italiani? Certamente sì, ma anche – ed in molti lo hanno onestamente ammesso – per sfuggire alla deportazione in Germania, per non essere assorbiti nell’organizzazione Todt e per sottrarsi alle chiamate di leva nella RSI, ponendosi, pur sempre, alle dipendenze di un’amministrazione nazi-fascista. Pensa qualcuno che, successivamente al 8 settembre ’43, le possibilità di scelta per gli Italiani d’Istria fossero diverse? Erano esattamente le stesse: allearsi con i tedeschi, darsi alla macchia con i partigiani di Tito, stare a guardare, con il rischio elevatissimo di essere reclutati a forza dagli uni o dagli altri, come per molti avvenne. Non pochi, perlopiù giovani intorno ai vent’anni, scelsero invece di arruolarsi nella Milizia Territoriale Volontaria, per sottrarsi agli stessi pericoli e per difendere, in pochi e male in arnese, nell’indifferenza se non aperta ostilità dei tedeschi, la loro stessa gente, pagando per questo un tributo di sangue di gran lunga superiore a quello della Guardia Civica. Di certo non si batterono per l’annessione dell’Istria al III Reich né, probabilmente, per la sopravvivenza di un’ideologia ormai chiusa all’angolo. Nei loro confronti, però, sempre e solo espressioni di condanna. Perché, mi chiedo, due pesi e due misure? Perché si persevera ancora a non comprendere e rispettare scelte individuali diverse, rese peraltro in gran parte obbligate dalle circostanze? Qualcuno pensa seriamente ci possa essere pacificazione nazionale senza rispetto reciproco?

Il terzo ed ultimo motivo di perplessità discende dalla conclusione dell’intervista secondo la quale, la persistente conflittualità politico-ideologica cittadina deriva, oltre che dalle altrove citate incomprensioni tra forze democratiche e destra, dalla ricercata e sinora mancata stretta di mano dei Volontari della Libertà con l’ANPI. Trovo plausibile che una piena riconciliazione nazionale imponga di giungere anche a questo atto simbolico – peraltro, altrove già occorso – ma, il mio forte sentire d’italiano mi rende sinceramente arduo il sorvolare sulla “Porzus” osovana, su quelle triestine a cui il Forti allude e su quelle ancor più numerose verificatesi in Istria, anche nei confronti degli stessi comunisti istriani di sentimenti italiani. Se, come sembra emergere dal contesto generale della intervista, è “l’italianità” il valore supremo alla base dell’impegno di ieri e di oggi del intervistato, mi viene spontaneo il chiedermi quale sia la logica della sua ricerca di stretta di mano con l’ANPI che di certo, dal ’43 al Trattato di Osimo ed oltre e sino, comunque, ad un tardivo e nemmeno tanto generalizzato ripensamento, mai si è impegnata per la salvaguardia dell’italianità delle nostre terre. Alla luce di quanto fa intendere, non sarebbe forse più, o quanto meno egualmente, opportuna una ricerca di stretta di mano – mai invece ricercata – con quanti, con una scelta parimenti drammatica e forse anche più pericolosa, questa salvaguardia hanno provato ad esercitarla? Altre colpe si potranno addebitare a costoro, ma non certo quella di aver svenduto l’italianità della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.

Caro Forti amare e difendere la propria Terra, è ben più di una qualsivoglia ideologia politica. Qualcuno l’ha fatto; altri no! E, se ciononostante tutto, si vuol comprendere e perdonare, come è opportuno, più che giusto, che sia a distanza di tanti anni per il bene di questa nostra disgraziata Italia, nessuno deve essere escluso a priori.

Gen. Silvio Mazzaroli

Sindaco “Libero Comune di Pola in Esilio”

 

riceviamo e, volentieri, pubblichiamo questo intervento del Gen. Mazzaroli inviato e mai pubblicato da “Il Piccolo”