A Trieste il 5 e 6 novembre 1953 sono caduti sotto il fuoco dell'esercito di occupazione alleato gli ultimi martiri per l'Italia.
Riceviamo dal dott. Piero Delbello, tra l’altro Direttore dell’I.R.C.I., il testo della lettera da lui inviata a “Il Piccolo” in merito all’intervento a firma di Marco Coslovich e Anna Millo di cui ci siamo più volte occupati
Proponiamo, volentieri, il testo di tale intervento auspicando di poterlo leggere anche sulle pagine de “Il Piccolo”.
Alla cortese attenzione del dott. Alberto Statera e del dott. Stefano Del Re, con preghiera di pubblicazione
SULLE MEDAGLIE D’ORO AI RAGAZZI DEL ‘53
Leggo di rigore professionale, di strumenti scientifici, di precisione, di scrupolo nella ricerca … vedo ciò indicato come “valori desueti” (al giorno d’oggi) cui, però, taluni (due), evidentemente, ritengono di essere gli unici (o fra i pochi) depositari di siffatte prerogative. E leggo tali parole intense e pesanti in una nota di critica (negativa) in merito alla concessione della M.O. da parte del Presidente della Repubblica Ciampi ai sei caduti a Trieste durante le proteste del novembre 1953. Anzi: l’intervento firmato da Marco Coslovich e Anna Millo, comparso su “Il Piccolo” del 27 ottobre, è qualcosa di più di una critica. Si pone come un monito rivolto a più direzioni: verso quella che oggi chiamiamo “società civile”, verso una dimensione scientifica (o la necessità di questa) “smarrita”, verso, ancora, la più alta carica della Repubblica, il Presidente Ciampi, quasi fosse l’allocco turlupinato da una convergenza politica trasversale (“copertura di deputati e forze politiche della sinistra”) in una “dubbia operazione”.
Bene: aldilà del fatto (è dovrebbe essere valore alto in una società civile e democratica) che toccare i morti è azione indegna di per sé (ma, forse, vogliamo tornare alle definizioni, che credevo sparite, di morti di serie A e di serie B; o, ancora, continuiamo a vivere quel concetto di “morti inutili”, riferito ai caduti del ’53, che ebbe a proporre, qualche tempo fa, un noto storico locale) credo sarebbe utile che la signora Millo e l’istriano Coslovich, di cui tutti, ampiamente, abbiamo potuto conoscere la triste storia familiare, da lui più volte proposta proprio dalle colonne de “Il Piccolo”, prendessero visione del catalogo “I ragazzi del ‘53”, che accompagnava l’omonima mostra svoltasi nel novembre dello scorso anno e che è stato il primo frutto di una intensa ricerca (peraltro non ancora conclusa). Può essere che la mia professionalità di ricercatore (e dello staff che ha collaborato con me alla scrittura del catalogo), in qualità di curatore della mostra e del volume appena citati, non raggiunga le acutezze dei colleghi o che il fardello della mia personale produzione scientifica non abbia un peso sufficiente per la loro competenza. Ma le carte dell’Archivio di Stato di Trieste le abbiamo viste e siamo da molto tempo a conoscenza dei “buchi” presenti nei mattinali e in altri settori , come abbiamo potuto vedere i numerosi altri incartamenti che ben delineano la situazione della città e del circondario nel periodo. Si consideri che i nostri ricercatori sono, per avventura, anche archivisti diplomati usciti proprio dall’ottima scuola del locale Archivio di Stato.
Ciò non toglie che chiunque ritenga di avere strumenti e competenza per indagare possa farlo e fornire il suo contributo scientifico. E magari chiedere un finanziamento per andare a studiare negli USA gli archivi americani o, più modestamente, nel Regno Unito quelli inglesi. Si potrà trovare sicuramente qualcosa di più del “rapporto Dunham”, senz’altro si riuscirà ad andare oltre al “Giornale di Trieste”, magari cercando di approfondire se lo scritto giornalistico sia sufficiente (e preciso) nella narrazione degli episodi accaduti nel novembre del ’53. Magari si potrà, se si intende anche analizzare a fondo la stampa dell’epoca, constatare che le tesi proposte dai due estensori della nota (Millo e Coslovich) rispondono maggiormente alla visione del “Corriere di Trieste” (“local independentist paper with pro-yugoslav slant”, rapporto Dunham, p.189) piuttosto che ad altre testate.
Se si continua ad applicare a questa vicenda (e a molte altre) un modo di ragionare molto in voga negli anni ’70 (ed evidentemente perdurante) per il quale qualunque cosa, in qualunque modo, diversa da una certa visione del mondo, era etichettabile come “fascista” credo che non avremo molta strada da percorrere nella via della comprensione (non della giustificazione) delle complicate vicende delle terre giulie. Se altri sono gli obiettivi, allora è meglio non tirare in ballo la scienza e cercare, per lo meno, di ricordarsi della coscienza. Lasciando in pace i morti.
Piero Delbello