L’annoso tema dei beni abbandonati (meglio “espropriati”) è stato abbinato in questi ultimi tempi a quello delle Commissioni di giuristi che lo starebbero sviscerando. Commissioni sulle quali la pubblica opinione rischia di avere idee un po’ confuse: quanti e quali sono queste Commissioni? Quali sono i loro compiti? Sono dei doppioni o magari sono in contrasto tra di loro?
Alcune considerazioni in ordine alla annunciata ripresa dei negoziati tra Italia e Croazia sulla restituzione dei beni immobili agli Esuli
COORDINAMENTO ISTRIA FIUME DALMAZIA
DELLA LEGA NAZIONALE
(A)
Secondo le anticipazioni giornalistiche sembrerebbe che il negoziato debba seguire la “impostazione Ruggiero”, vale a dire:
– in forza del principio “pacta sunt servanda”, affermazione della permanente vigenza dei trattati dell’83 che , in attuazione del Trattato di Osimo, avevano definito la questione “beni”
– conseguentemente ipotizzare la restituzione esclusivamente per quei casi che non rientrino nella materia coperta da tali trattati
– in pratica risulterebbero restituibili quelle proprietà immobiliari che sono state nazionalizzate dalla Jugoslavia, pur non risultando intestate a cosiddetti “optanti”
(B) Tale “impostazione Ruggiero“ è da ritenersi assolutamente:
– infondata giuridicamente posto che nel gennaio 1992 Croazia e Slovenia , al momento del loro riconoscimento internazionale, hanno accettato di rinegoziare la questione beni e quindi – per atto consensuale – la materia non può più ritenersi regolamentata dai precedenti trattati ma richiede una nuova originale regolamentazione (i negoziati aperti nel ‘92 avevano tra l’altro già portato, nel ‘94, al cosidetto “accordo di Aquileia” ,sottoscritto dal Ministro degli Esteri sloveno, anche se poi sconfessato dal suo Governo);
– scandalosa ed inaccettabile politicamente perché avrebbe l’effetto di penalizzare con la non restituzione proprio coloro che hanno fatto la scelta per l’Italia (effettuando l’opzione prevista dal Trattato di Pace) e di premiare con la restituzione quanti hanno viceversa rifiutato tale scelta pro Italia.
(C) Risulta quindi confermata la necessità di procedere , come preannunciato dal Presidente Berlusconi, ad un negoziato con le controparti il cui obbiettivo ottimale e auspicabile di tale negoziato dovrebbe essere quello di indurre Croazia e Slovenia a rimuovere ogni discriminazione, nel processo di denazionalizzazione, a danno degli Italiani, applicando così, sic et simpliciter, anche nei loro confronti, quanto previsto dalle legislazione in atto per i Croati e rispettivamente per gli Sloveni, e cioè (a) restituzione del bene espropriato (b) in subordine, ove ciò non sia possibile, assegnazione di un bene alternativo (c) in ulteriore subordine, corresponsione di un indennizzo.
(D) Nel preannunciato negoziato con la Croazia una ipotesi alternativa ed in qualche modo mediana tra le due precedenti potrebbe essere quella di prevedere la restituzione dei beni agli Italiani limitatamente a quegli che sono tuttora in mano pubblica (stato o enti locali); per gli altri casi si dovrebbe ipotizzare l’indennizzo (a carico dello Stato Italiano o di quello Croato).
(E) Tale soluzione avrebbe una serie di vantaggi e cioè:
– riguarderebbe un numero necessariamente limitato di entità immobiliari (quella parte di immobili che non ha cambiato destinazione e, tra questi, quelli i cui ex proprietari italiani preferiscano la restituzione all’indennizzo) e quindi potrebbe essere più accettabile per la Croazia
– tali immobili, tuttora pubblici e da restituire, sono in larga parte immobili attualmente abbandonati, con conseguente assenza di impatto sociale per lo stato croato nel momento in cui venissero restituiti agli ex proprietari italiani
– proprio perché abbandonati, i prevedibili lavori di ripristino che il neo proprietario andrebbe su essi a realizzare (magari con un qualche mutuo agevolato da parte italiana) costituirebbe sicuramente una occasione di vantaggio e di volano economico per la realtà istriano – fiumana – dalmata
– dal punto di vista italiano (e degli Esuli) vi sarebbe il vantaggio politico di veder riconosciuto il principio della non discriminazione in base alla cittadinanza e, in qualche modo, ciò costituirebbe un riconoscimento morale dell’ingiustizia perpetrata cinquant’anni orsono dal regime comunista
– tale rimozione (sia pure parziale) dei criteri discriminatori rappresenterebbe una soluzione pienamente in linea con i principi base della civiltà giuridica europea e. come tale, finirebbe con il costituire un precedente, quasi vincolante, anche per i futuri negoziati con la Slovenia.
Trieste, 26 settembre 2002
IL PRESIDENTE
(avv. Paolo Sardos Albertini)