Pillole di Storia: 103 anni fa venivano devastati e incendiati la sede della Lega Nazionale e altri luoghi simbolici triestini, rei di essere filo-italiani

Era il 23 maggio del 1915, domenica di Pentecoste, quando, a seguito della diffusione della notizia della Dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria-Ungheria, attentatori rimasti impuniti misero letteralmente a ferro e fuoco le sedi di luoghi, pubblici e privati, ritenuti simbolici in chiave irredentista.

Gli autori degli atti violenti e vandalici furono diverse decine di persone, forse un centinaio, ignote, ma identificate nelle ricostruzioni storiche come manifestanti reclutati nei quartieri popolari di Cittavecchia, Barriera e San Giacomo (elementi lealisti, provenienti per lo più dal ceto impiegatizio, e donne e uomini di ceto popolare, spesso disoccupati, mossi da un sentimento misto fra attaccamento all’Impero e anelito di rivalsa sociale) e tra le fila della Lega patriottica della gioventù, non destinata al fronte della Galizia. Certi, invece, sembrano i mandanti, ovvero i comandi militari asburgici i quali poterono pianificare e organizzare la spedizione, godendo della protezione della polizia.

A tal proposito, lo storico Almerigo Apollonio, il quale ha dedicato un capitolo del suo saggio in due volumi «La "belle époque" e il tramonto dell'Impero asburgico sulle rive dell'Adriatico (1914-1918)» a questi avvenimenti, scrive: “Le prove documentali delle responsabilità furono distrutte prima della fine del conflitto. Negli archivi di Vienna sono reperibili le relazioni, certamente false, delle quali a Trieste non sono rimaste copie”.

Il primo bersaglio, inizialmente mancato, fu la sede de “Il Piccolo”, il quotidiano locale di Teodoro Mayer che si schierava su posizioni liberalnazionali e filo-irredentiste. La sede, posta in piazza della Legna (ora Goldoni), fu oggetto di un primo assalto, a vuoto, della folla.

Un assembramento di rivoltosi si diresse quindi verso la sede della vicina Lega Nazionale, luogo identificato come centro d’identità italiana e irredentismo. Gli uffici, siti in via Nuova (ora via Mazzini) al numero civico 6, furono devastati, depredati e arsi con furia cieca. A ricordo di tale evento, sull’edificio è stata posta la targa in memoria che recita: “Questo edificio ospitò la prima sede della Lega Nazionale voluta per amare ed educare nella lingua di Dante, colpita da odiosa mano nelle giornate della trepida vigilia seppe risorgere. Memore continua la sua opera nel centenario di fondazione pose la Lega Nazionale. 1891-1991”. La distruzione della sede non fu che l’inizio delle vessazioni e del tentativo di arresto di ogni attività e influenza della Lega Nazionale. La Lega Nazionale, infatti, rappresentava l’organizzazione principale dell’irredentismo italiano: a essa erano affiliati gabinetti di lettura, società di educazione popolare, sodalizi agrari ed economici. La sua forte presenza nel tessuto sociale e nell’istruzione, tramite attività culturali e creative, faceva sì che diventasse promotrice e promulgatrice della politica antiaustriaca: gli insegnanti nutrivano del sentimento nazionale le nuove generazioni, che crescevano quindi con un sentimento indifferente se non ostile verso lo Stato austro-ungarico. Venne imposto da parte della Luogotenenza di Polizia lo scioglimento del Sodalizio, il cui atto ufficiale fu emesso il16 giugno 1915, furono chiusi d'autorità tutti gli istituti e alcuni di essi vennero dati alle fiamme. Il patrimonio, interamente sequestrato, fu dato in amministrazione a un commissario dell'Imperial Regio Governo, i liquidi vennero investiti come “Prestito di guerra austriaco”, i maestri e i collaboratori del Sodalizio (fossero dirigenti o semplicemente soci) furono privati di ogni mezzo di sostentamento, perseguitati, e in molti casi relegati nei campi di concentramento. Il possesso della tessera della Lega Nazionale era requisito sufficiente per essere qualificato come soggetto “politicamente sospetto”. “Speciale attenzione dovette porre la polizia di Stato ai sodalizi che, sovente in segreto accordo con società all’estero, costituivano una rete molto estesa di agitazione contro lo Stato. Del diritto di libera associazione s’era abusato non solamente ai fini della propagande irredentista italiana, ma pure a quelli serbofili-panslavisti” scriveva il barone Fries Skene in un rapporto segreto trasmesso durante la guerra. La mobilia venne messa all’asta nell’agosto del 1917. L’Amministrazione durò sino al gennaio 1919, quando la competenza passò alle autorità italiane liberatrici.

Targa posta sull'edificio della prima sede della Lega Nazionale, in via Nuova (oggi via Mazzini) al civico 6, devastata il 23 maggio del 1915

 

Tornando al 23 maggio 1915, mentre la sede della Lega Nazionale era arsa dalle fiamme, altri assembramenti devastavano il Ricreatorio di San Giacomo, sempre di pertinenza della Lega Nazionale e tentavano un secondo vano assalto incendiario alla sede de “Il Piccolo”. L’insuccesso non fece altro che fomentare la rabbia dell’orda barbarica, che diresse la propria forza vandalica contro un altro simbolo d’italianità: i dimostranti, infatti, iniziarono a scagliarsi contro il monumento a Giuseppe Verdi, inaugurato nemmeno due anni prima, prendendolo a martellate e insudiciandolo.

L’ondata di odio anti-italiano non si era esaurita, ma, anzi, continuava abbattendosi sui Caffè triestini, tradizionali ritrovi degli irredentisti: “Entravano, facevano bottino delle paste, dei liquori e delle argenterie. Poi mandavano in frantumi tavoli e specchi. Infine mettevano in azione il petrolio, la benzina e le vampe. Arsero completamente il Caffè Fabris e il Caffè Portici di Chiozza: in quest'ultimo la distruzione fu così integrale che all'indomani, nell'atrio carbonizzato, non si trovò che il contorto scheletro di ferro di qualche seggiola. Devastazioni gravissime subirono anche il Caffè Milano, il Caffè San Marco, il Caffè Edison. Il proprietario del Caffè Stella Polare dovette difendere da sé il suo esercizio accerchiato da una masnada avida di rapina” raccontava un cronista dell’epoca.

Il Caffè San Marco, fondato l’anno prima in via Battisti n°18 in un edificio di proprietà delle Assicurazioni Generali e già luogo d’incontro per eccellenza degli intellettuali della città e dei giovani irredentisti, fu completamente devastato. I soldati dell’esercito austro-ungarico chiusero il caffè, al cui interno i giovani irredentisti falsificavano passaporti per favorire la fuga di patrioti anti-austriaci in Italia, e incarcerarono a Liebenau il proprietario Marco Lovrinovich con l’accusa di non voler combattere per l’esercito (austro-ungarico, ovviamente).

L'interno del Caffè San Marco dopo l'attacco del 23 maggio 1915

Il Caffè Stella Polare, al numero civico 6 di Piazza Sant'Antonio, dove tuttora si trova, riuscì parzialmente a salvarsi dall’onda vandalica, ma, scampato alla distruzione totale perpetrata ai danni di altri locali, nei mesi successivi fu soggetto di continue angherie fino a quando, nel dicembre del 1915, la licenza venne pretestuosamente revocata e il proprietario arrestato prima e confinato poi. Fu il primo caffè a riaprire nel dopoguerra, il 31 dicembre 1918.

Negozi e magazzini di triestini ritenuti simpatizzanti per l’Italia e di “regnicoli”, i sudditi del Regno d’Italia residenti in città, vennero assaliti, devastati e saccheggiati, le loro insegne furono distrutte.

Era sera quando la folla, ritornata per la terza volta davanti alla sede de “Il Piccolo”, riusciva a forzare il cordone di forza pubblica a sua difesa e a guadagnarne l’accesso, penetrando nella redazione e tipografia di Galleria Sandrinelli: evacuati redattori e tipografi, perpetrò una devastazione culminata con un rogo appiccato con bombe incendiarie che distrusse l’interno dell’edificio. Pronto fu l’intervento dei vigili del fuoco, ma fu loro impedito d’intervenire, complice lo scarso appoggio della polizia, dovuto non tanto all’imprevedibilità degli avvenimenti quanto per la connivenza con i facinorosi.

“La dinamica dei fatti dell'incendio del giornale, come tramandata da testimoni – scrive il già citato Apollonio – rivela un'azione di squadre organizzate dai comandi militari, protette dalla polizia. Gli squadristi asburgici furono reclutati fra gli aderenti alla Lega patriottica giovanile, che la mobilitazione non assegnò al fronte in Galizia, ma in località non distanti dalla città”.

 

 Il rogo della sede de "Il Piccolo", assaltata la sera del 23 maggio 1915

 

Nel frattempo le autorità austriache erano intervenute con l’imposizione dello stato d’assedio e il governo cittadino, espressione delle forze liberalnazionali irredentiste, fu commissariato. La propaganda austriaca presentò i disordini del 23 maggio come un atto spontaneo di attaccamento e fedeltà agli Asburgo da parte dei triestini, indicando in modo ipocrita e falsamente diplomatico il proprio dissenso per gli eccessi, seppur giustificandoli con il fervore di tale sentimento.

Il giorno seguente, 24 maggio 1915, fu la Società Ginnastica Triestina a essere l’obiettivo dell’orda violenta, che si scagliò contro il sodalizio dedito alle attività ginnico-sportive, in quanto centro d’incontro di irredenti. Essa, infatti, aveva pubblicato periodici che non promuovevano solo l’attività sociale, ma anche il dibattito pubblico sui temi nazionali; inoltre, i suoi atleti più promettenti gareggiavano nelle competizioni nazionali più prestigiose in Italia. L’edificio della Società fu dato alle fiamme e andarono perduti tutti i documenti e i numerosissimi libri della biblioteca. Si salvarono solo poche cose, fra le quali il quadro di Gatteri e la bandiera sociale inaugurata nel 1868. In tale assalto si registrò anche un decesso fra le file della folla rivoltosa, vittima della propria violenza e cecità. La Società Ginnastica Triestina seguì il destino delle altre associazioni irredentiste: venne sciolta nel 1915 per via della sua ispirazione filo-italiana e ricostituita con lo stesso nome nell’immediato dopoguerra. 

 

 

Solo martedì 25 maggio l’intervento dell’esercito pose fine a questo saccheggio, certo non premeditato ma sistematico e permesso in un certo senso dalle autorità di polizia. Un saccheggio che, come illustrato brevemente, era preludio della sopressione della libertà e dell'esistenza delle associazioni che sentivano e diffondevano l'identità italiana.

 

Significative, nel ricordo dei moti di quei giorni, sono le parole pronunciate dal presidente della Lega Nazionale Paolo Sardos Albertini il 24 maggio 1992, in occasione della consegna di una targa ricordo all’allora direttore de “Il Piccolo” Mario Quaia: “L’incendio del 23 maggio 1915 non ha segnato affatto, come invece allora molti pensarono, la fine di un’epoca. E la riprova è il fatto che tanto il giornale che la Lega Nazionale hanno proseguito il loro cammino, esprimendo in tutti questi anni l’anima della nostra città”.

Dall'edizione de "Il Piccolo" del 24 maggio 1992