di Francesco Demattè*
10 febbraio 1947 – 10 febbraio 2007: sono trascorsi ormai sessant’anni dalla firma del Trattato di pace di Parigi che impose all’Italia, fra l’altro, dolorose mutilazioni territoriali, soprattutto sul confine orientale. Furono perdute le province di Pola, Fiume e Zara. Terre da sempre italiane, nella lingua e nello spirito: prima latine, poi venete. Terre per la cui redenzione all’Italia sacrificarono la loro vita moltissimi giuliani, istriani e dalmati durante tutto il Risorgimento e nel corso della Grande Guerra. Ma più che Trattato di pace quello di Parigi è stato giustamente definito un Diktat delle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale – Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica in primis – all’Italia sconfitta. Furono gli istriani, i giuliani e i dalmati a pagare il prezzo più alto per la disfatta nazionale: decine di migliaia di nostri connazionali furono infatti massacrati dagli slavo-comunisti, finendo nelle tristemente famose foibe , le cavità carsiche di cui è ricca l’Istria, mentre altri 350.000 connazionali dovettero fuggire in Italia per non fare la stessa fine.
Nel 2004, con molti anni di ritardo, l’Italia ufficiale ha saldato il suo debito nei confronti degli Infoibati e degli Esuli istituendo la Giornata del Ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia da loro patita. Per troppo tempo, infatti, una consistente parte dell’Italia ufficiale preferì, per viltà, opportunismo e odio ideologico, stendere una coltre di silenzio sulle Foibe e sull’Esodo degli Italiani dall’Istria e dalla Dalmazia. Oggi, per fortuna, non è più così, anche se permangono ancora deprecabili episodi di negazionismo, limitati, tuttavia, a ben individuati settori del nostalgismo vetero-comunista. Più insidiosa, ma altrettanto errata, è, invece, la tesi giustificazionista, la tesi, cioè, di coloro i quali sostengono che il massacro degli Italiani da parte degli slavo-comunisti sarebbe in qualche modo la risposta, giustificata, sia alla politica di italianizzazione intrapresa dal governo fascista fra le due guerre, sia alla guerra dichiarata dal Regno d’Italia alla Jugoslavia nel 1941. Costoro fingono di non sapere che sin dall’Ottocento, al tempo dell’impero austriaco, il fine a cui miravano, aiutati da Vienna, i circoli slavi più radicalmente nazionalisti era la progressiva emarginazione dell’elemento italiano in Istria e Dalmazia e che, soprattutto, fin dal 1937 vennero poste le basi teoriche, con il cosiddetto Manuale Cubrilovich, dal nome del futuro ministro di Tito, di tutte le successive pulizie etniche nei Balcani, compresa quella ai danni dei nostri connazionali nel periodo ’43-47. Quando Milovan Gilas, uno dei sodali del dittatore comunista Tito, affermava che nel ’46 “bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto”, non fa altro che ricollegarsi, non solo idealmente, agli schemi del manuale di Cubrilovich degli anni Trenta. Lungi dall’essere, quindi, una risposta alle vere o presunte violenze italiane, i massacri e gli infoibamenti furono programmati con cura da organi statuali, quelli del neonato Stato jugoslavo comunista, e avevano come fine la cancellazione dell’elemento italiano in Istria e Dalmazia, nonché le eliminazione degli stessi Slavi anticomunisti.Bene ha fatto, allora, il Comune di Belluno, insieme all’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia, alla Lega Nazionale, all’Istituto per la Storia del Risorgimento, a celebrare degnamente questo Giorno del Ricordo con una serie di manifestazioni che culmineranno nell’intitolazione del piazzale della Stazione ai Martiri delle Foibe . Già lo scorso anno, tuttavia, con la giunta De Col e con la fattiva azione dell’Assessore alla cultura Marco Perale vi erano state significative aperture in tal senso: ci riferiamo, naturalmente, alla mostra su “I 40 giorni dell’occupazione jugoslava di Trieste” organizzata congiuntamente dalla Lega nazionale e dal Comune di Belluno. Anche in questo modo si tiene viva la memoria del dramma vissuto dai nostri connazionali istriani, fiumani e dalmati fra il 1943 e il 1947. Senza alcuna concessioni a chi vorrebbe sminuire, giustificare, banalizzare o addirittura negare la loro tragedia.
Delegato Lega Nazionale