La Voce del Popolo 08/11/05
OSIMO, TRENT’ANNI DOPO: INTERVISTA CON PAOLO SARDOS ALBERTINI
È l’intelligenza lo strumento che supera i Trattati
TRIESTE – Osimo, trent’anni e sembra ieri, sì perché il Trattato che intendeva chiudere il contenzioso con l’ex Jugoslavia, ha continuato ad essere fortemente presente non solo nelle coscienze individuali ma soprattutto nella politica locale triestina e di conseguenza a livello nazionale italiano nei rapporti tra Trieste e il Governo e a quello internazionale nei colloqui tra Stati. Perché?
Le ragioni sono molteplici e tutte, oggi, leggibili da parte degli specialisti che, proprio nell’anniversario della firma del Trattato sono stati chiamati a presentare un’analisi di quello che si può tranquillamente definire un “fenomeno” del Novecento.
A Trieste si svolgeranno diverse manifestazioni ma anche a Milano ed in altre località.
* Trent’anni dopo quel Novembre 1975 come lo ricorda l’avvocato Paolo Sardos Albertini, Presidente della Lega nazionale di Trieste che organizza questi incontri-dibattito e mostra su Osimo?
“Diciamo che i ricordi personali, trattandosi di fatti di trent’anni fa, sono un po’sfumati ma comunque riconducibile all’esperienza familiare. Il tutto è infatti legato alla figura di mio padre, fondatore dell’Unione degli Istriani. Dopo la firma del Memorandum del ’54, più volte aveva registrato segnali, da parte jugoslava, della volontà di chiudere la questione definitivamente a suo favore, anche se l’Italia non aveva mai rinunciato formalmente alla zona B. Si trattava di provocazioni – lo spostamento dei cippi ai confini, o altro – che puntualmente venivano bloccati con interventi dell’Unione a livello governativo”.
* Ma ci furono iniziative mirate alla soluzione della questione?
“Vennero sottoscritti tutta una serie di atti nei quali si chiedeva di rispettare gli accordi”.
* Nel 1975 invece venne firmato il Trattato di Osimo…
“Fu un fulmine a ciel sereno. A dire il vero, in un primo momento, accolto con una certa indifferenza dall’opinione pubblica. Poi, lentamente, si fece strada la protesta che verteva su due punti: il fatto di aver rinunciato alla sovranità senza alcuna contropartita e l’aver accettato la proposta di creazione di una zona franca a cavallo di confine ad unico vantaggio della Jugoslavia”.
* Che cosa rispose il Governo alle vostre proteste?
“Ci ascoltarono, furono comprensivi, ma era chiaro che gli accordi avevano seguito una logica molto particolare. Così negli anni Novanta in una relazione della Commissione stragi, risultava ufficialmente che negli schemi difensivi all’epoca di Osimo, la Nato poneva quale prima linea difensiva dal Patto di Varsavia, la Jugoslavia. L’Italia era l’alleato per eccellenza, ma alleato di retrovia.
Erano state proprio le pressioni degli Stati Uniti a determinare la firma del Trattato. Tito, in quel periodo, si trovava ad affrontare un dissenso interno che a fatica era riuscito a bloccare rispolverando atteggiamenti da dittatura del dopoguerra. Aveva bisogno di un segnale forte da esibire all’opinione pubblica e gli Stati Uniti l’aiutarono consegnando, di fatto, l’Istria con Moro consenziente e dopo un viaggio di Berlinguer negli USA. I due protagonisti del compromesso storico scesero così a patti”.
* E a livello locale?
“La classe politica morotea, con radici in tutti i Partiti, aveva ipotizzato da tempo di chiudere la questione istriana perché questa determinava uno spostamento a destra della politica triestina. A Trieste non se ne doveva più parlare e una parte delle nostre associazioni era d’accordo purché si continuasse a discutere dei problemi esistenziali ed assistenziali degli esuli in Italia. Ebbene Osimo divenne testimonianza della precarietà della politica stessa e Trieste visse la sconfitta della Democrazia Cristiana, la creazione della Lista per Trieste, l’inno al tricolore in senso municipalistico, molto prima del passaggio nel resto d’Italia dalla prima alla seconda Repubblica. E del Trattato si continua a parlare, a conferma che si trattò di un fallimento. E si continua a parlare di Istria, oggi molto più di allora”.
* Perché e con quale spirito, a suo giudizio?
“Perché è nella logica delle cose, perché la fine delle ideologie del Novecento ha riportato l’Europa ad una dimensione civile che cancella i nazionalismi e privilegia le identità nazionali. Il mio sogno, qualche decennio fa, era di poter andare nella mia Capodistria e poi scendere fino a Pola senza rendermi conto di aver superato il confine. Oggi, quella che poteva sembrare un’utopia, è diventata realtà. È stato illuminante per me arrivare in Istria e leggere sui muri W Inter e W Juve, o sentire le note di un concerto di Vasco Rossi in uno stadio pieno di giovani: ci ha pensato la cultura a farci superare le barriere”.
* È un processo bidirezionale, di reciproca “contaminazione”?
“Ad una condizione: che Trieste sappia valorizzare appieno il suo ruolo di capitale adriatica”.
* Il convegno, che vedrà tra i relatori storici, giuristi e testimoni, è stato organizzato congiuntamente all’Unione degli Istriani…
“È una tradizione e, devo dire, un omaggio a mio padre che ne fu il fondatore, ma anche una prassi di quando ero presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli ad avevo avviato queste sinergie”.
* Che si potrebbero aprire agli studiosi di là?
“Non mancano i tentativi: il 16 novembre presenteremo la traduzione in italiano del volume “Slovenia 1941 -1948 -1952. Anche noi siamo morti per la patria” alla presenza degli autori e del dott. Guido Deconi che ha voluto la traduzione, oltre ad altri ospiti e relatori. È importante affermare che il meccanismo dell’ideologia è ormai tramontato, capire che è stato il comunismo a produrre alcuni fenomeni e non le popolazioni in quanto sloveni o croati. Se oggi, a fini politici, c’è chi vorrebbe continuare a proporre il gioco delle tre carte, deve rendersi conto di avere una responsabilità pesante nei confronti del prossimo”.
* C’è comunque chi propone di ritrattare Osimo e di cancellare altri accordi. Lei che ne pensa?
“E che cosa significa oggi ritrattare, andare davanti ad un Tribunale? Potrebbe anche essere una strada percorribile ma non so con quale risultato. Credo che oggi, visti i rapporti tra Italia, Slovenia e Croazia, se c’è la volontà politica di risolvere una questione, allora questa viene risolta”.
* Una questione di buona volontà?
“Io preferirei chiamarla intelligenza. Immaginiamo che la Croazia decida di restituire ai legittimi proprietari i beni esistenti, di proprietà comunale, non occupati. Con i seguenti risultati: la Croazia non avrebbe che da guadagnarci nei rapporti già buoni con l’Italia e come un segno d’alto valore nei confronti dell’Europa, e l’Italia – ma soprattutto la popolazione degli esuli – vedrebbero in questo gesto un atto di giustizia che si attende da sessant’anni.
Ne avevo parlato a suo tempo con il premier croato Sanader che mi aveva convocato a Zagabria, prima di incontrare Berlusconi e mi era sembrato convinto della cosa. È un compito che spetta ai Governi dei due Stati, uniti dal confine marittimo più lungo esistente tra due Paesi europei, e il mare, si sa, ha bisogno di cooperazione”.
Rosanna Turcinovich Giuricin