Colpevole. Questo è il verdetto a carico di Alexander Bonich annunciato dal Procuratore distrettuale del Queens in merito all’assassinio dello storico fiumano William Klinger. In attesa della quantificazione della pena, attesa il 14 giugno, il giudizio di secondo grado ha confermato i sospetti su Bonich, secondo alcune fonti conosciuto e frequentato dalla vittima in giovane età a Fiume.
Fu una truffa immobiliare, secondo la ricostruzione, all’origine della barbara uccisione perpetrata in un parco newyorkese il 31 gennaio 2015. Il procuratore distrettuale Richard A. Brown ha ripercorso la vicenda smontando il castello di bugie eretto da Bonich il quale, di fronte all’evidenza, aveva cercato di far passare il tragico epilogo come conseguenza del suo tentativo estremo di autodifesa a seguito di un’aggressione violenta di Klinger.
“Per William Klinger, il Queens era il sogno. Lì, la vita sarebbe stata libera dalle frustrazioni che aveva conosciuto in Italia, dove una carriera accademica in stallo lo aveva lasciato a lavorare in un casello autostradale” spiega la testata online astoriapost.com.
Bonich avrebbe millantato la possibilità di garantire a Klinger un lavoro finalmente conforme alla caratura dello storico e un’abitazione nel quartiere Astoria, nel Queens, per un prezzo eccellente. Scoperta la truffa (ovvero l’assenza del lavoro e il fatto che l’abitazione che aveva appena comprato per 85.000 $ fosse la dimora attuale della madre di Bonich), durante una passeggiata nell’Astoria Park, Klinger iniziò a litigare con Bonich; arrabbiato e deluso dall’amico ritenuto fraterno, Klinger decise di andarsene, Bonich gli intimò di fermarsi…. Le cronache ci restituiscono un corpo, steso vicino al bordo della piscina di un innevato Astoria Park, e due colpi mortali, sparati alla testa e al collo con un revolver d’epoca, gettato nell’East River e mai più ritrovato.
Ben presto, anche grazie alle testimonianze della vedova di Klinger, si era arrivati a Bonich, che nel 2015 aveva rigettato un’offerta di patteggiamento che avrebbe portato la pena a 24 anni, nel caso avesse riconosciuto l’omicidio volontario. Per omicidio di secondo grado, possesso di un’arma usata in un crimine e occultamento di prove è prevista una pena fino a 25 anni di carcere, ma l’assassino potrebbe rischiare anche la condanna all’ergastolo, come precisato dal procuratore Brown.
Qualche dubbio sul movente dell’assassinio di Klinger era trapelato in passato e continua a essere insinuato. Che potesse essere ascrivibile alla “scomoda” metodologia di ricerca storica che attuava Klinger, il quale era uso a effettuare studi e pubblicazioni senza ipocrite censure, era un’ipotesi espressa inizialmente da più parti. Intervistato dal quotidiano “Il Fondo” di Miro Renzaglia, Ivan Buttignon scrittore, saggista e docente all’Università degli Studi di Trieste, che aveva conosciuto Klinger proprio all’interno della Lega Nazionale di Trieste nell’ambito del gruppo di lavoro ideato dal presidente Sardos come “Giovani storici”, si era espresso così: “In Europa, William rappresentava uno dei più abili detective della storia. Ha rinvenuto elementi biografici e a dettagli strategici (penso rispettivamente a Tito e all’Ozna) che si credevano introvabili o di cui si ignorava l’esistenza. William non guardava in faccia nessuno: scovava i documenti, le informazioni, ordinava il tutto e pubblicava. Ora che non c’è più, tutti lo lodano. Perché non farlo prima? Perché non assegnargli una meritatissima cattedra all’università? (…) Da ragazzini avevamo entrambi dimostrato una certa stoffa per la zoologia, mentre da adulti ci siamo distinti piuttosto bene (William di più) nel panorama storico italiano e in parte europeo: lui nella declinazione filosofica, io politologica. La differenza fondamentale sta qui: William era ormai lanciato nel panorama internazionale e da New York si sarebbe fatto conoscere dall’intero globo. Ormai i giochi erano decisi. Per questo motivo non escludo che la causa di tutto sia da ricercare in uno squilibrio mentale da parte di un invidioso patologico. Purtroppo non ho traccia di indizi, concreti o meno. Confido pertanto nell’abilità degli inquirenti statunitensi e nel sostegno accordato dai giornalisti d’inchiesta, che sul caso non faranno sconti”.
Il doppio tradimento di colui che reputava un amico del quale fidarsi e a cui affidarsi per poter fare, finalmente, il strameritato salto di qualità accademico, secondo gli inquirenti e secondo la giuria. Attendiamo il 14 giugno per capire a quanto ammonti la pena inflitta ad Alexander Bonich.