l’Unità – ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Anno XXIV – N. 39 – Una copia L. 6 Venerdì 14 febbraio 1947 – Edizione dell’Italia settentrionale
Chi ha ingannato i nostri fratelli di Pola ?
In questi giorni teorie di profughi giuliani errano di città in città carichi di bagagli, di bambini e di tristezze e tormentati dal freddo, dalle intemperie e dalla fame.
Ricordano gli esodi di popolazione avvenuti in questi ultimi anni in varie parti di Europa. Ma, sino ad ora, era il popolo o lo Stato dominante che cacciava via la minoranza o la nazionalità dominata. In Istria, ora, accade il contrario: per la prima volta è la popolazione la quale rivendica il diritto alla propria nazionalità sulle terre abitate da secoli, che abbandona volontariamente quelle terre agli originari di altra nazionalità. Si è detto: – E’ il terrore “titino” che caccia i nostri connazionali dall’Istria, è il regime sociale della Repubblica jugoslava che spinge alla fuga.
Rispondiamo: – E’ la campagna di menzogne antislava, sono le sollecitazioni e le promesse fatte dagli inviati (della Commissione pontificia? del Governo?) italiani che hanno avviato ed ingrossato il movimento di esodo. Si è promesso: lavoro, alloggio, assistenza, ogni facilitazione a chiunque partiva. Si sono fatte promesse di ogni sorta senza sapere se era possibile mantenerle.
In una Nazione nella quale i senza tetto ed i disoccupati si contano a milioni, non sarà facile trovare alloggio e lavoro per altre diecine di migliaia di persone.
E queste persone si sono fatte partire – senza che nessuno le obbligasse – solo per non lasciarle in Jugoslavia dove – come ci scrive il dr. Sandri Armandola, partigiano combattente della divisione italiana ” Garibaldi” e grande invalido della guerra di liberazione – “la disoccupazione non estiste, dove vi è al contrario bisogno di mano d’opera e particolarmente di lavoratori specializzati, di tecnici, dl professionisti. A noi, a tutti noi, e non siamo quattro gatti, come qualcuno potrebbe insinuare, è immensamente spiaciuto lasciare la nuova Jugoslavia, anche se tutti avevamo famiglia e interessi personali che ci aspettavano in Italia”.
Ora è inutile recriminare : i profughi arrivano a migliaia essi pensano che le promesse fatte saranno mantenute, ma finora non hanno trovato che freddo e fame, perché chi aveva fatto loro le promesse, non si è preoccupato affatto di predisporne l’attuazione. Ma i profughi non sono responsabili delle manovre e dell’inganno di chi li spinse a fuggire, del male fatto alla causa dell’italianità dei loro luoghi natali e a se stessi. Essi sono fratelli nostri doppiamente sventurati perché hanno abbandonato tutto quanto avevano di più caro e perché ora abbisognano di tutto. Essi devono incontrare la nostra affettuosa e fraterna solidarietà.
Vi sono in Italia numerosi campi per profughi stranieri costituiti e mantenuti da centinaia di milioni versati dallo Stato italiano. Ebbene, ciò è assurdo e inumano. Mentre i profughi italiani soffrono il freddo e la fame, esistono alloggi comodi e riscaldati per i profughi stranieri in maggioranza fascisti, cetnici, ustascia. Si mettono in ristretto, si allontanino gli ospiti poco graditi e si lascino liberi alcuni campi per far posto ai profughi italiani senza tetto. Vi sono numerosi luoghi di villeggiatura, numerosi alberghi e ville deserte e abitate solo per poche settimane all’anno; provveda il Governo a requisire questi edifici inutilizzati e li metta a disposizione di chi cerca un ricovero. Vi sono castelli, dei palazzi della spodestata monarchia con migliaia di camere, sale e saloni vuoti, vero insulto ai bisogni attuali di abitazione. Si occupino questi locali, si aprano ai profughi, agli invalidi, ai bambini che abbisognano di ospitalità, di cure e di educazione.
Chi è stato così sollecito a spingere i fratelli di Pola ad abbandonare inconsideratamente case, terra e affetti non li può ora abbandonare a se stessi. I fratelli istriani hanno bisogno di assistenza e solidarietà: gliela si dia con fraterno calore anche se grande è la nostra povertà e non curate restano le maggiori ferite inferteci dalla guerra.
Luigi Longo