A Trieste il 5 e 6 novembre 1953 sono caduti sotto il fuoco dell’esercito di occupazione alleato gli ultimi martiri per l’Italia.
Riportiamo la lettura storica che Giuseppe Parlato ha scritto in occasione delle manifestazioni sui Moti del ’53
L’insurrezione di Trieste del novembre 1953
I fatti del ’53 costituiscono un particolarissimo sviluppo di fenomeni assai più complessi, che affondano le radici nella conclusione della guerra e nei rapporti diplomatici. Ormai da tempo la storiografia ha colto la centralità della politica internazionale come chiave di lettura privilegiata degli avvenimenti: ritenere che si tratti di una mera questione logistica, di un problema che, pur avendo la città di Trieste come centro dell’insurrezione, si esaurisca nel capoluogo giuliano, costituisce oggi un errore di prospettiva tale da falsare la stessa percezione dell’episodio. E tuttavia, i fatti del ’53 restano nell’immaginario collettivo, come un fatto locale, la cui eccezionalità e la cui drammaticità si sono fatte risalire esclusivamente alla particolare situazione triestina.
Non stupisce, quindi, la discrasia evidente sulla percezione e sul ricordo dei fatti alla quale si assiste a seconda che il problema venga visto da Trieste ovvero da qualsiasi altra città italiana: se è
naturale che nella città giuliana il ricordo dei tragici episodi del 1953 sia ancora vivo e forte ancora il patos allorché se ne affronta il giudizio, è assai meno naturale che nel resto d’Italia il problema, a livello di pubblica opinione, sia assai meno sentito, in moltissimi casi addirittura ignorato. Così come esso è sostanzialmente trascurato nelle grandi opere di approfondimento storico che oggi sono considerate le più aggiornate: ad esempio, la “Storia dell’Italia repubblicana” edita da Einaudi e diretta da Francesco Barbagallo dedica agli incidenti di Trieste una sola riga, citando “i sanguinosi incidenti del novembre tra i dimostranti italiani e la polizia alleata”; ancora più significativa l’assenza di accenni nel volume di Lanaro, il quale si occupa a lungo della politica di Pella su Trieste senza ricordare i fatti di novembre. Nella importante “Storia d’Italia” diretta da Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto, una breve ricostruzione degli avvenimenti è fatta da Versori nel saggio sulla politica estera; più consistenti e circostanziati, infine, i cenni agli avvenimenti dedicati ad Aurelio Lepre e da Simona Colarizi. A maggior ragione difficilmente si trova più di qualche riga sui fatti triestini nei manuali per le scuole superiori o per l’università.
La ricostruzione degli avvenimenti, e la loro interpretazione, è pertanto affidata, da un lato, agli specialisti delle relazioni internazionali e, dall’altro, agli studiosi che se ne sono occupati soprattutto in un ottica locale: dal classico De Castro a Pupo, da Valdevit a Dassovich, da Novak a Spazzali, da Chicco a Sema. Si devono agli studiosi appena citati elementi più innovativi nell’analisi e nello studio della questione triestina.
Paradossalmente ciò che colpisce è la difficoltà di far percepire al grande pubblico le conclusioni di tali ricerche. Da non dimenticare, infine, l’importante memoria di Paolo Emilio Taviani, Ministro della Difesa nel Governo Pella.
In questo quadro assai particolare, nel quale l’immagine della questione triestina è ancora tutto sommato marginale rispetto all’evoluzione del quadro politico italiano, non va dimenticata la difficoltà di reperire documentazione efficace alla completa ricostruzione degli avvenimenti molti fondi archivistici sono scomparsi o sono di fatto secretati, mentre soltanto negli ultimi anni si è potuto con successo accedere al fonti inglesi e statunitensi. Di queste difficoltà e delle fonti ancora da reperire danno puntuale conto i saggi che si trovano nel catalogo della mostra, i quali non hanno la pretesa ricostruire compiutamente le radici e l’evoluzione degli avvenimenti innovativi che positivamente trasformano l’occasione commemorativa del cinquantenario in un momento di riflessione scevra da condizionamenti ideologici e politici.
Sono essenzialmente tre gli elementi che i saggi in questione suggeriscono alla riflessione del lettore. In primo luogo, la complessità della vicenda, nella quale questioni di carattere interno si intrecciano con tematiche più vaste di respiro internazionale; se la ricostruzione puntuale degli avvenimenti – ma in futuro occorrerebbe tenere presente l’onda lunga della questione, comprendendo nell’analisi anche i disordini del 1952, che, per altro, furono anche più violenti di quelli dell’anno successivo, anche se il bilancio umano, fortunatamente, fu assai meno tragico – è di fatto acquista, la loro interpretazione e soprattutto il legame che i fatti triestini ebbero con le dinamiche interne alla evoluzione politica italiana è ancora largamente da studiare. In secondo luogo, emerge dai saggi del catalogo come i fatti del ’52 e del ’53 siano tutt’altro che marginali rispetto alla situazione politica italiana: anzi, appare sempre più chiaro come Trieste diventi – volente o nolente – una sorta di “laboratorio politico” nel quale la sinistra comunista locale si misura con la questione triestina in opposizione al “traditore” Tito, modificando così le posizioni assunte precedentemente allo “strappo” jugoslavo nei confronti dell’Unione Sovietica; il centro democristiano, inoltre, si trova a gestire la questione liberandosi, in buona misura, delle contrapposizioni tra De Gasperi e Pella, sottolineando la centrale necessità del ritorno di Trieste all’Italia rispetto alle prospettive di chi vorrebbe utilizzare la questione per varare un nuovo equilibrio politico a Roma, ovvero di chi, per contrastare tale prospettiva, non esita a depotenziare l’azione diplomatica italiana; infine, la destra monarchica e missina si aspetta dalla questione di Trieste il momento del riscatto nazionale e la possibilità di un rientro nei gioco politico attraverso la forte evocazione di un tema, quello irredentistico, assai coinvolgente a livello di opinione pubblica che determina la nascita di una militanza che, fino a pochi mesi prima, appariva utopistica.
In terzo luogo, la documentazione contenuta nei saggi offre al lettore il convincimento che alla questione triestina partecipa la coralità della popolazione, al di là degli schematismi e delle prospettive politiche che, come si è visto, essa evoca: il volere ridurre la partecipazione di centocinquantamiIa persone – su una popolazione di 250 mila – ai funerali delle vittime interpretandolo come un fenomeno di revanscista o, peggio, di risorgente neofascismo, costituisce un errore prospettico di notevole portata. E mentre occorre scandagliare con serietà e rigore gli intrecci che la situazione pone in atto, occorre contemporaneamente, da parte dello storico, tenere presente la vera percezione che i triestini ebbero degli avvenimenti ed il vero significato che essi vi diedero, quello cioè di un’azione che, seppure in taluni momenti dichiaratamente eversiva rispetto all”ordine costituito”, si indirizzava verso una normalizzazione che aveva come scopo finale l’acquisizione definitiva della città alla nazione della quale essa si sentiva parte integrante. E’ in questa ottica che l’Amministrazione comunale di Trieste farà seguire alla mostra e al convegno sui fatti del 1953, altre manifestazioni sul 1954, e cioè sui momenti che portarono alla “seconda redenzione”, con il medesimo spirito critico, problematico, rigoroso scientificamente e contemporaneamente rispettoso dei sentimenti e delle speranze di coloro che ne furono protagonisti.