La tesi “giustificazionista”

Costituisce una variabile della tesi incentrata sul conflitto etnico, nel senso che individua sempre come protagonisti gli Slavi , in quanto tali, ma pone l’accento sul giustificare, sul legittimare il loro, operato.

I “titini” – sostengono taluni – massacrarono, infoibarono, terrorizzarono, ma tutto altro non era che la (giusta?) reazione per quanto fatto dagli Italiani, dai fascisti a danno delle popolazioni slave della Venezia Giulia.

In tale impostazione vengono quindi evocati veri o presunti crimini degli Italiani, si citano dossier approntati dal Maresciallo Tito per contrastare le accuse nei suoi confronti, si scoprono campi di detenzione di Sloveni e Croati in Italia durante la guerra.

La base di questa interpretazione è costituita, in buona sostanza, dal ritenere la vendetta non solo una attenuante, ma addirittura una giustificazione, se non addirittura un merito.

Gli Italiani, i fascisti avevano commesso violenze e soprusi a danno degli Slavi? Era quindi giusto (magari doveroso) che questi a guerra finita regolassero i conti a danno degli Italiani.

Il fatto è che quello della vendetta, del regolamento dei conti è un criterio che forse riguarda le popolazioni barbariche, proprio perché barbariche, ma non può trovare legittimazione alcuna tra popoli che siano civili.

Dopo i tragici quaranta giorni dell’occupazione di Trieste, quando il 12 giugno 1945 i Titini lasciarono la città, gli Italiani che avevano visto migliaia di loro fratelli assassinati in poche settimane, avrebbero dovuto – a seguire tale logica – scatenarsi nella caccia allo Slavo, dare vita a veri e propri pogrom nei confronti degli Sloveni presenti nel territorio di Trieste, bruciare i loro negozi, distruggere le insegne, assaltarne le case. E invece niente di tutto questo ebbe a succedere. E nessuno se ne meravigliò perchè tra le popolazioni civili il diritto alla vendetta non esiste.

Nei mesi e negli anni successivi decine e decine di migliaia di Istriani, Fiumani e Dalmati arrivarono nella città di San Giusto accolti nei campi profughi dopo esser stati cacciati, ad opera degli “Slavo-comunisti”, dalle proprie case, dalle proprie città. Costoro avrebbero anch’essi potuto abbandonarsi alla vendetta contro gli Sloveni di Trieste e del circondario, i quali – tra l’altro – cercarono di ostacolare in tutti i modi la costruzione di case per i profughi nei dintorni di Trieste, finendo con il protrarre la permanenza degli Esuli nei campi di raccolta.

E neppure ciò ebbe a succedere; nei campi dei profughi, nessuno, neppure i più facinorosi si sognò di organizzare spedizioni punitive per “regolare i conti”, per vendicarsi delle violenze subite e delle ingiustizie di cui continuavano ad essere vittime.

La verità – vale ribadirlo – è che invocare la vendetta, come motivazione dell’operare dei popoli, è argomento valido solo per chi sia abituato a muoversi in una logica di pura e semplice barbarie. E un argomento che, prima ancora di essere falso, risulta degradante per chi ne fa uso, nonchè profondamente offensivo per i popoli (in questo caso Croati e Sloveni) cui si intende riferirlo quale “giustificazione” del loro operare. La tesi “giustificazionista” ha infatto il senso vero e profondo di marchiare i popoli Sloveno e Croato come profondamente barbari.. E’ questa l’intenzione degli storici (o pseudo tali), dei politici, dei polemisti sostenitori del giustificazionismo?

Il fatto è che l’impulso alla vendetta può esser un impulso (comunque riprovevole) per i singoli individui, ma non può costituire motivazione per collettività intere, per popoli e genti.

Meno che mai può rappresentare una scelta operativa per una realtà statuale. Gli Stati possono farne tante di atrocità, possono ben combinarne di tutti i colori, ma non è pensabile che abbiano a praticare la vendetta.

Nel ’45 era uno Stato, quello jugoslavo, che infoibava e terrorizzava popolazioni civili. Il tutto senza più alcuna motivazione bellico-militare , perché la guerra era oramai finita. Foibe e terrore erano realizzati, da organi statuali, non per delle supposte e sterili motivazioni di vendetta, bensì per delle ragioni ben diverse e con degli obbiettivi molto, molto più razionali.