LA PULIZIA ETNICA E IL MANUALE CUBRILOVIC
La sola maniera ed il solo sistema di allontanarli (gli etnodiversi) è la forza brutale di un potere statale organizzato. Non rimane che una sola via, la loro deportazione in massa. Quando il potere dello Stato interviene nella lotta per la terra non può avere successo che agendo brutalmente.(1)
Questo brano è tratto da un testo intitolato Iscljavanje Arnauta (Piano di allontanamento degli albanesi), che rappresenta a tutti gli effetti un’opera teorico-pratica per sradicare una cultura ed un popolo. Fu presentata il 7 marzo 1937, come Enchiridion, al Circolo culturale serbo di Belgrado ed elaborata dal bosniaco Vasa Cubrilovic (2) (uno di coloro che congiurò per l’assassinio dell’erede al trono austriaco Francesco Ferdinando, avvenuto a Sarajevo) ed aveva come scopo l’eliminazione pianificata dell’etnia albanese, stanziata nel Kosovo.
Si tratta di un vero e proprio manuale, che riporta cinicamente le tecniche per attuare una “pulizia etnica”, una “bonifica”, dei territori da conquistare.
Nato dunque originariamente per essere utilizzato dai serbi contro gli albanesi, venne usato anche negli anni Quaranta contro la popolazione italiana in Istria ed in seguito rispolverato, negli anni Novanta, da Slobodan Milosevic, ancora una volta in Kosovo.
La così detta pulizia etnica non è infatti una tragica novità dei nostri giorni, bensì una costante sempre presente nei rapporti conflittuali fra le varie stirpi nel mosaico jugoslavo. (3)
Michel Roux in un suo intervento ricorda che (…) le radici ideologiche delle pulizie etniche che si sono avute nell’area balcanica, arrivano dalla Turchia la quale ha trasmesso il costume, derivato dalla Sharia, legge islamica, secondo il quale la vittoria militare e la conquista territoriale conferiscono il diritto di disporre della vita e dei beni dei vinti. Dai turchi i cristiani dei Balcani hanno imparato che con la spada si conquista, o si perde, non soltanto il potere e la sovranità, ma anche una casa o i beni.(4) (…)
Il futuro ministro di Tito elencava nel suo manuale di epurazione scientifica i metodi per ottenere le condizioni per ottenere un esodo di massa:
Nessuna azione richiede altrettanta perseveranza ed attenzione. Per realizzare un esodo di massa la prima condizione è la creazione di una psicologia appropriata che si può provocare in molteplici modi. Lo Stato deve sfruttare le Leggi a fondo, in maniera tale da rendere loro (agli “etnodiversi”) insopportabile vivere presso di noi.
Gli strumenti consigliati da Cubrilovic e applicati fedelmente nei Balcani, nella Venezia Giulia e in Dalmazia per accelerare il processo d’esodo furono
Ammende, prigionia, applicazione rigorosa di tutte le disposizioni di polizia, (…), prestazioni d’opera obbligatorie e impiego di qualsiasi altro mezzo che può escogitare una polizia efficiente.
Sul piano economico: rifiuto di riconoscere i vecchi titoli di proprietà e un’operazione catastale che in questa regione deve accompagnarsi alla riscossione inesorabile delle imposte e al rimborso forzato di qualsiasi debito pubblico o privato, revoca di qualsiasi pascolo demaniale e comunale, soppressione delle concessioni accordate, ritiro delle licenze ai caffè, agli esercizi commerciali e alle botteghe artigiane, destituzione di funzionari, di impiegati privati e municipali. (…) (5)
Ma anche
– pratiche ed efficaci misure sul piano sanitario;
– applicazioni con la forza di tutte le disposizioni nelle dimore private;
– distruzione dei muri e delle grosse cinta delle case
Quest’ultima disposizione, ideata nel 1937, aveva l’obiettivo di colpire l’integralismo religioso islamico degli albanesi, i quali, da osservanti delle surah del Corano, erano infatti, particolarmente gelosi della loro privacy e sensibili a tutto ciò che riguardava la morale tradizionale.
L’abbattimento delle recinzioni attorno alle loro case e giardini esponeva le donne musulmane a sguardi indiscreti a scapito della riservatezza familiare, predicata dal Corano, che risultava menomata, e delle abitudini delle figlie, delle sorelle, delle mogli e delle madri che venivano turbate.
Questa pratica, nonostante non avesse alcun senso, venne applicata anche nei confronti degli italiani.
Molti furono anche i casi di persecuzioni e di violenze contro il clero cattolico, ma anche di distruzione di chiese6 e di cimiteri.
Essi (gli etno-diversi) sono molto sensibili in materia di religione. Bisogna pertanto toccarli su questo punto. Vi si giungerà perseguitando i preti, devastando i cimiteri.
I cimiteri sono evidente testimonianza della presenza delle componenti nazionali e, distruggendoli, conseguivano il duplice obiettivo di oltraggiare i morti e di impedire la testimonianza della presenza della componente etnica che volevano eliminare.
Anche la colonizzazione doveva avvenire senza lasciare nulla al caso.
Ai coloni bisognerà distribuire armi. Bisogna in particolare far irrompere un’ondata di gente dalle montagne, affinché provochino un conflitto massiccio.(7)
Nel suo manuale aveva individuato i montenegrini quali coloni più adatti allo scopo: in quanto arroganti, irriducibili e irragionevoli, con il loro comportamento obbligheranno gli albanesi a spostarsi. Questo conflitto deve essere preparato e attizzato attraverso il reclutamento di persone di fiducia. Infine si potrebbero anche fomentare problemi locali, che saranno repressi nel sangue e attraverso i mezzi più efficaci.
Rientrano in questo disegno anche l’imposizione delle jugolire (moneta priva di corso legale all’infuori della Zona B, che, da un giorno all’altro ridusse nella miseria più nera l’intera popolazione e provocò conflitti, scontri e repressione causando numerose vittime), la strage di Vergarolla, il terrore provocato dalle foibe e dai trasferimenti nei campi di lavoro forzato.
L’organizzazione dell’esodo e delle deportazioni doveva essere attenta ed ogni piccola défaillance evitata perché poteva comportare il fallimento di tutto il Piano
Non bisognava commettere l’errore di trasferire solamente i poveri. La classe media ed agiata, infatti, costituiva, secondo Cubrilovic, la colonna vertebrale di tutto il popolo. E’ questa che bisognava dunque perseguire e trasferire. I poveri, sprovvisti del sostegno di compatrioti economicamente indipendenti, si sarebbero sottomessi più facilmente.
…si tratta di creare una “psicosi dell’evacuazione”, di procedere a questa iniziando dalle campagne, (…), di espellere intere famiglie, interi villaggi mirando prioritariamente alle classi medie agiate, più influenti, senza le quali i poveri saranno incapaci di opporre resistenza.
In Istria, a Fiume e in Dalmazia, il manuale fu applicato minuziosamente contro intellettuali, commercianti, religiosi imprenditori, magistrati, pescatori, artigiani, studenti, operai senza distinzione di censo alcuna.
L’organizzazione operativa concepita da Cubrilovic era una vera e propria struttura militare messa in campo contro l’inerme “nemico etnico”
Il Piano Cubrilovic prevedeva infatti:
b) un Consiglio di Stato con mansioni operative alle dirette dipendenze del Capo di Stato Maggiore; c) il coinvolgimento della Polizia, delle Istituzioni scientifiche per il supporto dottrinale, delle Associazioni Culturali, di quelle lavorative e sindacali, della stampa e della propaganda; d) il ricorso all’iniziativa privata: bisognerà scegliere individui che provino attaccamento e passione per questa grande opera; e) la nomina di un Commissario politico per ogni Distretto del territorio divenuto oggetto di bonifica e di colonizzazione
Tra il 1945 e il 1970 l’opera del legislatore jugoslavo fu particolarmente intensa.
La prima azione di attacco della struttura statale jugoslava sul popolo “sconfitto e diverso” fu sferrata avvalendosi dei “tribunali del popolo” e delle “foibe”, le quali seminarono un terrore tale nella popolazione da creare rapidamente la “psicologia appropriata” voluta da Cubrilovic.
Lo Stato deve arrogarsi il diritto senza limiti di espropriare i beni mobili ed immobili degli espulsi e immediatamente dopo la loro partenza deve insediare al loro posto i propri coloni.
Nel XX secolo soltanto un paese abitato dal proprio popolo autoctono può garantire la propria sicurezza, è quindi nostro imperativo dovere comune non abbandonare posizioni strategiche di tale importanza in mano a un elemento ostile straniero. (…)
L’errore fondamentale dei nostri responsabili è stato dimenticare di trovarci nei turbolenti e insanguinati Balcani, e cercare di risolvere i grandi problemi etnici ricorrendo a metodi occidentali: mentre tutti i Paesi balcanici dal 1912 hanno risolto, stanno risolvendo, i problemi delle minoranze nazionali attraverso trasferimenti di popolazioni, noi siamo rimasti a lenti metodi di colonizzazione graduale.(8)
L’analogia di queste “strategie” con quelle che furono applicate nella Venezia Giulia e in Dalmazia dai capi comunisti jugoslavi nei confronti degli italiani, gli etnodiversi della situazione, è tanto evidente quanto impressionante.
E anche in questo caso l’obiettivo venne perfettamente raggiunto: furono infatti 350.000 coloro che, terrorizzati, lasciarono la propria terra.
Un esodo di proporzioni bibliche che testimonia l’efficacia e l’efficienza della pianificazione scientifica della pulizia etnica da un’area per 670 anni di tradizione romana e 580 veneziana, nella quale la cultura, l’architettura, la lingua, la storia e diversi censimenti, svolti prima dell’avvento del fascismo, testimoniano tutt’oggi ovunque l’italianità di quelle terre.
La lingua parlata stessa è un elemento vivo che testimonia le origini di questa regione, di cui i glottologi studiano le tante reliquie linguistiche, latine e post latine – di cui è rimasta traccia nel dialetto degli istriani e dei dalmati, esodati e rimasti – e la loro millenaria ed ininterrotta evoluzione.
Se infatti ripulirla dagli etnodiversi è stato “facile” e veloce, più difficile e complesso è risultato liberarsi della cultura maturata e sviluppatasi in secoli di storia in queste terre nonostante il tentativo di “pulizia culturale” che si sta ancora oggi tentando di portare a termine sia in Croazia che in Slovenia.
Nel suo testo, Cubrilovic, a dimostrazione della scientificità della sua azione, fece anche una sorta di studio di fattibilità della strategia, analizzando i costi dell’operazione, il ruolo delle diverse istituzioni, nonché le ipotesi di reazione internazionale.
La posta in gioco è tanto rilevante che non bisogna risparmiare denaro, e neppure vite.
Cubrilovic previde che nessuna potenza straniera sarebbe andata oltre una blanda manifestazione di indignazione per la sorte degli albanesi e così fu: tanto nel ’37 così come negli anni ’40 e ’90.
Anche la guerra civile del 1990 nel Kosovo mostrò un’impressionante analogia di applicazione dei metodi e dei mezzi del manuale della “pulizia etnica”, che, ancora una volta, ottenne “ottimi” risultati
D’altra parte Milosevic per mettere in pratica il suo piano,potè contare proprio su Vasa Cubrilovic in persona, il quale, in qualità di fidato consigliere del leader serbo, ricopriva anche in quest’occasione un ruolo di primaria importanza.
Dall’inizio della guerra nella ex Jugoslavia (1991), i massacri e le deportazioni compiute nel quadro delle varie “pulizie etniche” hanno provocato 200.000 morti. Alcuni calcolano in oltre quattro milioni e mezzo il numero complessivo dei profughi e degli sfollati dopo otto anni di guerra combattuta in Slovenia, Croazia, Bosnia e poi in Kosovo.
Nel 1995, anche a Srebrenica, alla fine della guerra in Bosnia, venne compiuto un eccidio da parte delle forze serbo-bosniache che sterminarono la comunità musulmana locale (più di 7.000 i morti). Nel 1998 prendendo a pretesto l’attività dell’Esercito di liberazione kosovaro (Uck), l’allora presidente jugoslavo Slobodan Milosevic aveva lanciato una sedicente campagna antiterrorismo che si era rivelata una vera e propria pulizia etnica. La popolazione della provincia era stimata in circa 2 milioni di abitanti, di cui 1.600.000 albanesi, 200.000 serbi e 200.000 di altre etnie (croati, bosniaci, rom, turchi). Il numero di profughi albanesi dalla provincia divenne altissimo, arrivando a superare le 700.000 persone, che dovettero abbandonare le loro case per sfuggire alle violenze, agli stupri e alle stragi.
L’atto di accusa presentato nel maggio 1999 dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia contro Milosevic e altri esponenti per le violenze subite dalla popolazione albanese nel Kosovo, avvenuti fra il primo gennaio ed il 20 maggio 1999, parlava tra l’altro dell’omicidio di centinaia di persone. Il numero totale dei kosovari fuggiti dal loro paese dall’inizio della pulizia etnica nel marzo 1998 fino alla fine del conflitto, sulla base dei dati dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), era diventato con la guerra di oltre 1,5 milioni. I flussi dei profughi si erano rivolti verso i paesi vicini, particolarmente in Albania (circa 450.000 persone), in Macedonia (245.000) in Serbia (60.000) e in Europa (120.000). Gli sfollati all’interno del Kosovo erano oltre 500.000.
Nella cultura slava è sempre esistita una forte componente nazionalistica.
Dunque non si tratta tanto di differenze culturali, quanto piuttosto della forte componente nazionalistica della cultura serba, che ha voluto forzatamente omogeneizzare un territorio attraverso l’espulsione o il massacro di elementi ritenuti indesiderabili attraverso l’ormai tristemente famosa formula della “pulizia etnica”.(10)
Nel famoso memorandum dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Belgrado del 1986, il celebre scrittore nazionalista serbo Dorica Cosic, divenuto nel 1992 presidente della “Nuova Jugoslavia” di Slobodan Milosevic, dichiarò
la pulizia etnica è funzionale alla creazione di una grande Serbia (…) il successo di un’operazione militare è dato dall’eliminazione dal territorio delle popolazioni aliene
Ettore Mo, ricostruendo la meticolosa applicazione del manuale Cubrilovic nelle varie pulizie etniche realizzate dagli slavi, affermò:
il mondo dovrà lavorare per far capire ai serbi che l’attuazione di tali piani (manuale Cubrilovic) non è patriottismo, ma il più grande crimine che esista.(11)
La pulizia etnica
Lo studioso francese Michel Roux, professore di storia dei Balcani all’Università di Tolosa, nell’analisi del termine “pulizia” (ciscenje) individua un precedente nel manifesto bolscevico in cui Lenin, sorridendo sprezzante, spazza via dal mondo re, preti e capitalisti: “Il compagno Lenin pulisce la terra dai vermi”. Da segnalare che in russo, come in serbo croato, il termine Cist’ indica ciò che è pulito, puro e privo di contaminazioni. (12)
Molti storici hanno sostenuto, e continuano tuttora a sostenere, che le tragiche vicende della Venezia Giulia siano state la diretta conseguenza dell’occupazione italiana in Jugoslavia.
La comunità, ancora legata a condizioni culturali ed economiche tradizionali, vide irrompere nella vita di tutti i giorni la modernità, rappresentata dal potere statale comunista e l’esodo ha costituito il rifiuto di quel mondo ed è quindi stato frutto di una scelta.(13)
Stando alla documentazione disponibile e alle modalità di attuazione e di realizzazione di quella che Valdevit definisce “modernità, rappresentata dal potere statale comunista”, è evidente che la tesi dell’ “eccesso di reazione” o “furore popolare”, sostenuta peraltro anche dalla commissione storica italo-slovena14 non è in grado di spiegare e giustificare quanto accaduto.
I crimini commessi, la loro dinamica e la loro pianificazione, fin nei più piccoli dettagli, non furono evidentemente un mero fenomeno reattivo, una risposta ai torti subiti durante il fascismo bensì l’applicazione, scrupolosa e fedele, di quanto teorizzato e pianificato da Cubrilovic nel suo manuale di “pulizia etnica”.
L’eliminazione fisica dell’etnia italiana non era il fine della politica di Tito, ma il mezzo. Il più spietato, il più crudele, ma anche il più efficace strumento per reprimere ogni futura e probabile forma di dissenso all’egemonia slava in quelle terre.
Nello stesso manuale Cubrilovic, infatti, l’obiettivo citato non era quello di sterminare gli etnodiversi, ma quello di creare la “psicologia appropriata ad un esodo di massa”. I massacri e le atrocità dovevano terrorizzare la popolazione al punto da costringerla a fuggire, così da poter aver la zona “bonificata” dall’etnia italiana.(15)
Da tutto ciò si evince che l’odio interetnico è stato volutamente alimentato e organizzato.
L’obiettivo militare nei conflitti etnici non è quello clausewitziano di conseguire una vittoria sulle forze avversarie, ma quello di acquisire il controllo etnico del territorio (…). Le priorità etniche e politiche hanno quindi condizionato spesso quelle strategico-operative.(16)
È forse per questo dunque che i titini si accanirono con maggior determinazione contro gli antifascisti italiani, piuttosto che contro noti esponenti fascisti, i quali potevano rivelarsi estremamente funzionali per rafforzare l’immagine stereotipata di italiano = fascista (da cui, dato che fascista = criminale, allora italiano = criminale) che essi stessi avevano tutto l’interesse a creare.
Lo stesso intellettuale antifascista gradese, Biagio Marin, rappresentante del Partito Liberale nel C.L.N., sottolineò che spesso
i fascisti più noti non vennero molestati e se arrestati furono rilasciati mentre invece tutti i possibili poli di aggregazione antifascista ma di sentimenti italiani o autonomisti (come a Fiume) furono decapitati in modo così rapido e capillare da escludere ogni possibile casualità.(17)
Le stragi, le deportazioni e le migliaia di persone infoibate altro non sarebbero quindi state che il macabro prezzo pagato da ogni stato dove il comunismo ha preso il potere.D’altronde le atrocità dei titini si manifestarono anche e soprattutto contro gli stessi slavi che non condividevano la politica del leader comunista. Lo schema utilizzato dai partigiani di Tito per liberarsi degli oppositori è infatti simile a quello adottato in tutti quegli stati dove il comunismo conquistò il potere. Significativo, a tal proposito, l’intervento di Ernesto Galli della Loggia:
E dunque non riescono a trovare ascolto milioni e milioni di vittime di questo secolo. Da Lenin a Pol Pot, dalle masse di contadini russi freddamente avviate alla carestia, alla deportazione e alla morte durante la collettivizzazione delle campagne, al genocidio inaugurato da Mao e proseguito tutt’oggi dalla Repubblica Popolare Cinese ai danni del popolo tibetano, non vi e’ stata in pratica alcuna manifestazione storica del comunismo che non sia stata accompagnata da eccidi di uomini, donne e bambini inermi, dunque al di fuori di ogni possibile giustificazione di “guerra civile” (ammesso che per certi crimini una giustificazione possa mai esserci). (18)
Le tecniche di propaganda ampiamente utilizzate facevano tesoro delle indicazioni sulla psicologia delle masse elaborate all’inizio del secolo da Gustave Le Bon, il quale, in un suo saggio, aveva evidenziato con estrema chiarezza quanto le folle avessero bisogno di messaggi semplici e ripetuti.
Le immagini evocate nel loro spirito sono da essi scambiate per realtà.(19) Poiché la folla è impressionata soltanto da sentimenti impetuosi, l’oratore che vuole sedurla deve abusare di dichiarazioni violente. Esagerare, affermare, ripetere e mai tentare di dimostrare alcunché con il ragionamento.
Gli dei, gli eroi e i dogmi si impongono e non si discutono: quando si discutono svaniscono.
Analizzando le folle criminali Le Bon, citando l’esempio dei massacri francesi avvenuti nel 1792, affermò:
Non si sa bene chi ordinò o propose di svuotare le prigioni massacrandone gli ospiti. Sia stato Danton, come sembra probabile, o chiunque altro, ha scarsa importanza; la potente suggestione ricevuta dalla folla che compì il massacro è il solo fatto che ci interessa. L’esercito dei massacratori comprende all’incirca trecento persone e costituisce il campione perfetto di una folla eterogenea. A parte un piccolo numero di malviventi professionisti, è composto soprattutto da bottegai e da artigiani di varie corporazioni (…) Sotto l’influenza della suggestione sono perfettamente convinti di compiere un dovere patriottico. La loro funzione è duplice, di giudici e di boia, e non si considerano affatto criminali. Visto il gran numero di accusati, si decide dapprima che i nobili i preti, gli ufficiali, i servitori del re, vale a dire tutti gli individui la cui professione costituisce da sola una sufficiente prova di colpevolezza agli occhi del buon patriota, saranno massacrati in massa senza processo.
La dinamica fu identica. Il furore della folla eterogenea ed il massacro indiscriminato di innocenti anche.