Spartaco Schergat

Cent'anni fa nasceva a Capodistria Spartaco Schergat, sottocapo palombaro che appena ventenne portò a termine la più grande impresa mai riuscita nel corso del secondo conflitto mondiale dalla nostra marina, tanto da ricevere una medaglia d'oro al valore militare.

            La famiglia di Spartaco veniva dal monte San Marco, ma si era presto trasferita nella sottostante Capodistria perché il padre voleva lasciare il lavoro sui campi per quello sul mare. Fu così che andò a lavorare con i palombari e prese quindi casa nel tipico sestriere di Bossedraga, abitato dai pescatori. Spartaco nacque il 12 luglio 1920 in questo ambiente in simbiosi con il mare, ammaliato dalle fantastiche storielle che venivano raccontate dai pescatori che rientravano con le loro caratteristiche batele nel porticciolo locale.

            Finite le scuole elementari per motivi economici Spartaco dovette andare a lavorare  come muratore, ma teneva sempre nel cuore la passione per il mare, sperando di seguire le orme del padre e del fratello entrambi impegnati con i palombari. Intanto continuava a studiare alle serali e si dedicava al canottaggio presso la gloriosa società Libertas, fucina di patrioti italiani durante il precedente conflitto. Quando venne chiamato anche lui a lavorare con i palombari, il destino volle che gli arrivasse il precetto militare con destinazione Pola. Durante la visita dichiarò di essere palombaro e che avrebbe fatto volentieri il corso per lo specifico brevetto militare anche a costo di enormi sacrifici. Invece venne mandato al Reggimento San Marco, anche se dopo pochi giorni di caserma partì per La Spezia dove entrò alla Scuola Palombari, nel marzo del 1941. Ottenuto il brevetto, fece con successo domanda per entrare al I Corso Sommozzatori gestito dalla Sezione Armi Speciali della Xa Flottiglia MAS, a Livorno.

            Superata la prima fase del corso ed ottenuto il brevetto, Spartaco passò ai Mezzi subacquei della Xa Flottiglia MAS, a Bocca di Serchio. Qui incontrò il suo conterraneo Antonio Marceglia, capitano del Genio Navale nativo di Pirano che lo introdusse al Siluro a Lenta Corsa, forse più noto con il nomignolo di “maiale”: altro non era che una specie di siluro guidato da due operatori e dotato di una testata esplosiva amovibile da attaccare sulla chiglia del bersaglio. Con questo mezzo semplice ma micidiale, che bene si adattava ad un'Italia povera di risorse ma ricca di spirito, la nostra marina militare sperava di mettere in ginocchio la Mediterranean Fleet inglese, e per poco non ci riuscì.

            L'addestramento a Bocca di Serchio significava rinunce, fatica e riservatezza, tanto che Spartaco quando  rientrava in licenza nella sua Capodistria diceva di essere un semplice palombaro impegnato nei porti nostrani, tanto da apparire quasi un imboscato di fronte a tanti suoi conterranei imbarcati e partiti ormai per la guerra. Ma invece si stava preparando per entrare nella storia. Terminato il duro addestramento, nel settembre 1941 si imbarcò come riserva sul sommergibile Scirè del comandante Junio Valerio Borghese che tentò con i Siluri a Lenta Corsa che trasportava sul ponte di forzare Gibilterra, ottenendo una Croce di Guerra e una Medaglia di Bronzo al valore Militare per la missione. Tre mesi dopo venne la sua ora.

            Sempre a bordo del sommergibile Scirè giunse davanti la rada del porto di Alessandria d'Egitto, la notte del 19 dicembre 1941. Assieme a Marceglia prese il Siluro a Lenta Corsa ed entrò nel porto nemico, superando tutti i pericoli. I due marinai istriani individuarono subito la corazzata Queen Elizabeth, ammiraglia della Mediterranean Fleet. Quindi applicarono sulla sua chiglia la testata esplosiva da 300 kg per poi disfarsi di tutto il materiale e prendere terra. Ebbe così inizio la loro fuga, incentivata dagli enormi boati che intanto si sentivano nel porto nemico: la Queen Elizabeth era affondata, e gli altri due Siluri a Lenta Corsa partiti con loro dallo Scirè avevano colato a picco anche la corazzata Valiant e una petroliera. L'Italia con questa eroica quanto inaspettata impresa era tornata in vantaggio rispetto agli inglesi sul Mediterraneo.

            La fuga di Spartaco e di Marceglia in terra egiziana finì dopo due giorni, perché un cambia valute si era accorto che i due avevano in tasca sterline inglesi ormai fuori corso, denunciandoli alle locali autorità: beffati dai nostri servizi segreti che non conoscevano questo dettaglio, anche se più probabilmente a Roma non si sperava tanto in un loro ritorno e dunque perché sprecare valuta corrente…

            Iniziò quindi la prigionia in Palestina, fino al rientro in Italia nel 1944. La nostra nazione era allora divisa in due, e Spartaco decise di aderire al Regno del Sud solamente perché Marceglia gli aveva detto che quello sarebbe stato l'unico modo per salvare l'Istria. Si sperava allora, in accordo con Junio Valerio Borghese rimasto a Salò, in un fronte comune tra Nord e Sud con l'obiettivo di sbarcare in Istria prima del tracollo tedesco e dell'arrivo dei titini, ma altri furono gli ordini e le conseguenze.

            Terminata la guerra, con una medaglia d'oro sul petto e la partecipazione al conflitto nelle file degli Alleati Spartaco poté tornare abbastanza indisturbato nella sua Capodistria, anche se era ormai cambiata totalmente. Decise quindi di esodare a Trieste, dove andò a lavorare come palombaro in porto prima di esser assunto come bidello all'università, rifiutando un posto da segretario all'ateneo in quanto, con immensa umiltà, non si sentiva all'altezza.

            Morì il 24 marzo 1996 quasi dimenticato e mai giustamente celebrato, anche perché rimase sempre fedele alla consegna riportata nel decalogo degli incursori della Xa Flottiglia MAS “sii serio e modesto”. Un umile esempio all'arrogante presunzione dei mediocri d'oggi.