La militarizzazione dell’Anteguerra (1861 – 1915)
Negli anni precedenti alla Grande Guerra, l’intero corso del fiume Tagliamento venne potentemente fortificato dall’esercito italiano. Tale piazzaforte, che constava di circa quaranta siti corazzati lungo un’ ampia area imperniata sul maggiore fiume friulano, era la conclusione del Progetto di Difesa dello Stato, il quale si proponeva offrire ai confini d’Italia una stabile “cerniera” difensiva.
I Forti del Friuli furono strutturati nel primo quindicennio del ‘900, tardivamente rispetto sia alle imperial – regie infrastrutture carinziane che ad altri settori dello scacchiere italiano: ciononostante, essi dovevano assolvere la delicata funzione strategica di chiusura della “Porta del Friuli”, storico punto di contatto tra la Nazione latina e quelle continentali ma, soprattutto, direttrice d’attacco obbligata per la penetrazione d’entrambe le organizzazioni difensive.
Gli impianti in oggetto, tra cui si possono riconoscere diverse tipologie (dai pesanti forti veri e propri alle più labili batterie permanenti), erano pensati dai vertici militari del Regno d’Italia per opporsi alla prevista minaccia austro-ungherese. L’eventualità, a scapito della formale “Triplice Alleanza” siglata nel 1882 da Italia ed Imperi centrali, non era molto remota, date le mai sopite rivalità italo-asburgiche e le forti rivendicazioni irredentistiche d’ispirazione risorgimentale caratterizzanti il dibattito politico-sociale d’allora.
Il territorio compreso tra Cornino, Ragogna, San Daniele e Pinzano fu sin da subito individuato come nevralgico ai fini della fortificazione permanente. Il Monte di Ragogna, ergendosi isolato con i suoi 512 m di altitudine sulla sinistra del Tagliamento, ricopriva di per sé grande valenza tattica. Si aggiunga, in un’epoca in cui le uniche possibilità di guadare massicciamente i grandi corsi d’acqua erano affidate ai pochi ponti presenti e le vie di comunicazione terrestri assumevano capitale centralità strategica, la strutturazione della ferrovia Spilimbergo – Gemona e l’edificazione dei ponti di Pinzano (stradale), di Cornino (ferroviario) e successivamente di Pontaiba (militare), ed ecco che il settore divenne la chiave di volta del sistema “Medio Tagliamento”.
Seguendo questo ragionamento, nel 1908 la Commissione Suprema per la Difesa dello Stato presieduta dal Capo di S.M. Gen. Saletta, statuì la messa in opera di un adeguato complesso fortificatorio presso Pinzano e sul Monte di Ragogna.
Nel 1909 si armarono le anime del vallo, ovvero le batterie permanenti “in barbetta” per quattro cannoni da 149mm cadauna, definite “Ragogna Bassa” e “Ragogna Alta” o “del Cavallino”. Tali capisaldi, schierati rispettivamente alle estremità occidentali ed orientali del Monte di Ragogna, accolsero un totale di otto bocche da fuoco, ma erano potenzialmente strutturati per ospitarne altrettante.
Nell’anno 1911 vide invece la luce il campo trincerato, organizzato su tre linee, che ancora oggi solca le pendici del rilievo, dal Colle del Castello di San Pietro a Cimano. All’uopo del rifornimento per il sistema fortificato, si dischiusero delle ardite mulattiere di guerra lungo gl’accidentati pendii che guardano il Tagliamento. Numerosi camminamenti in profondità, nidi per mitragliatrici, “tane di volpe”, ridotte e ricoveri andarono a perfezionare la piazzaforte.
Nei pressi di Pinzano, a Col Colàt (quota 280m), venne strutturato nel 1909 un importante fortilizio per quattro cannoni da 149 mm, provvisto di polveriere, “barbetta” e strada d’accesso. D’altro canto, si iniziarono i lavori di diverse rotabili (come l’ampliamento della Strada “Regina Margherita” in Val d’Arzino o l’ardita mulattiera del M. Cuar) che, se arrecavano notevoli utili alle popolazioni, dovevano soprattutto garantire una buona comunicabilità in un settore militarmente determinante.
Il ruolo giocato dalla Testa di ponte di Ragogna nell’anteguerra è stato anche rivelato dall’atteggiamento tenuto dagli Austro-ungarici negli anni precedenti il conflitto, i quali organizzarono un sofisticato sevizio di spionaggio teso a recuperare il maggior numero di dati inerenti al laboratorio difensivo italiano. Due furono i casi puntualmente documentati di azioni d’intelligence messe in opera dagli asburgici tra il 1913 ed il 1914, di cui l’ultimo terminò con la condanna dell’agente Vittorio M. da Venezia, arrestato dai Reali Carabinieri in atteggiamenti sospetti sul M. Ragogna.
I primi anni del conflitto e la Battaglia di Caporetto (1915 – 1917)
Con la dichiarazione di belligeranza presentata all’Impero Austro-ungarico dal Regno d’Italia (24 maggio 1915), il territorio friulano divenne “zona di guerra”. Il fronte, sin dalle prime battute, si stabilì secondo una linea virtuale che dalla Alpi Carniche e Giulie scendeva il Fiume Isonzo, cingeva il Carso e sfociava nel Mar Adriatico presso Monfalcone. Di conseguenza, le fortificazioni permanenti friulane si ritrovarono ad essere tagliate fuori dalle operazioni, che si svolgevano ad una distanza maggiore rispetto al raggio d’azione delle proprie artiglierie.
La constatazione suggerì agli alti comandi di disarmare la Linea del Tagliamento nella quasi totalità, dirottando guarnigioni e armi al fronte, ove urgente era la necessità di mezzi e di uomini. I fortilizi di Ragogna e di Pinzano non vennero risparmiati dall’ordine di smobilitazione, e furono riutilizzati a guisa di basi logistiche.
Tuttavia, i primi anni di guerra videro fiorire numerose vie di comunicazioni finalizzate anche alla maggior potenzialità delle fortificazioni permanenti: tra il 1915 e l’estate 1917 furono, per esempio, costruite la passerella di Pontaiba, la strada dell’omonima Valle, la rotabile Cornino – Trasaghis, un notevole corpus di mulattiere tra le giogaie delle Prealpi Carniche. D’altro canto, la Città di San Daniele divenne un’importante snodo di retrovia, con casermaggi, “Casa del Soldato” e varie infrastrutture peculiarmente militari.
Nell’agosto 1917, il Capo di Stato Maggiore italiano Generale Cadorna, profetizzando ciò che sarebbe accaduto due mesi dopo, pensò di formare un imponente gruppo tattico di riserva presso la Testa di ponte di Ragogna. Ma, distratto dai colpi di coda dell’11^ Battaglia dell’Isonzo, abbandonò il progetto. Fu con lo sfondamento di Caporetto (24 ottobre 1917) e con la relativa, inarrestabile avanzata austro-germanica, che il fronte del Tagliamento venne frettolosamente munito. Il 30 ottobre ’17 le avanguardie della 14^ Armata imperiale già superavano le difese di San Daniele, prendendo contatto con il perimetro esterno delle guarnigioni di Ragogna e di Cornino, minacciando l’aggiramento della 3^ Armata italiana a sud e della 4^ a nord – ovest. Tra il Ponte di Pinzano, il Monte di Ragogna ed il Ponte di Cornino si sarebbero giocati i destini della guerra.
La Battaglia di Ragogna e lo Sfondamento di Cornino (30 ottobre – 3 novembre 1917)
Tra il 30 di ottobre ed il 3 di novembre 1917, tra Pinzano, Ragogna e Forgaria si combatté uno dei fatti d’arme più importanti della ritirata: la Battaglia di Ragogna e lo Sfondamento di Cornino.
Conquistata la cittadina di San Daniele, il 30 ottobre ben quattro divisioni imperiali conversero sui ponti di Pinzano e Cornino, le cui difese risultavano imperniate sul Monte di Ragogna e sul “Clapàt”.
La cresta di Ragogna era presidiata dalla Brigata “Bologna”, da un battaglione della Brigata “Barletta”, da pattuglie della Brigata “Lario” e di qualch’altra sparuta unità. Il Ponte di Cornino, con le alture di M. Prat e di M. Forchia, si presentavano guarnite dalla Brigata “Lombardia” e da circa 1000 uomini della “Siracusa” e della “Genova”. Al presidio di Forgaria e di Flagogna ottemperava un reggimento della “Lario” ed alcune compagnie della “Barletta”.
Tali compagini risultavano mobilitate nel controverso Corpo d’Armata Speciale che, agli ordini del Generale Di Giorgio, fu costituito tra il 26 ed il 27 ottobre allo scopo di mantenere il collegamento strategico tra il XII Corpo della Carnia e la 2^ Armata, garantendo la ritirata del “grosso”. Invero, la Grande Unità “d’emergenza”, distesa lungo il Medio Tagliamento tra Spilimbergo e Trasaghis, si trovava nella onerosa necessità di sopperire interamente alla funzione difensiva della oramai sfasciata ala sinistra della 2^ Armata.
Nonostante la palese inferiorità di uomini e mezzi (in alcuni punti gli Austro-germanici godevano di un rapporto favorevole pari a 12:1 sulle forze avversarie) e le congiunture sfavorevoli ai difensori, i quali combattevano in un clima moralmente deleterio ed in trincee molto approssimative, l’ordine dei comandi italiani era chiaro: “Resistere ad ogni costo!”.
Le truppe delle divisioni austriache 55^, 50^ e della 12^ “Slesiana”, dopo aver (50^ e 55^) vanamente attaccato il ponte di Cornino ben protetto dalle mitragliatrici piazzate sull’isolotto del Clapat e dalle poche artiglierie italiane schierate sulla destra del fiume, il 31 ottobre investirono il Monte di Ragogna, oltrepassando (la 12^ “Slesiana”) San Giacomo e (la 50^ a.u.) Muris. Contemporaneamente, la 13^ Divisione germanica scatenava un furioso bombardamento di controbatteria sulle bocche da fuoco avversarie dislocate tra i rilievi di Pinzano, avvolgendo da sud ovest la testa di ponte difensiva; l’Alpenkorps germanico, nel quale si ritrovava il Tenente E. Rommel che transitò a Pontaiba il 3 novembre 1917 al seguito delle prime avanguardie, s’impegnava verso il ponte di Bonzicco e nell’area di Aonedis.
Più volte, gli assaltatori avevano risalito i pendii sovrastanti il paese di Muris ed il Rio del Ponte ma si ritrovarono costretti al ripiegamento dai furibondi ed inaspettati contrattacchi italiani.
Alle 03:00 del 1 novembre, i mitraglieri appostati sul Clapat si sganciarono sulla riva destra del Tagliamento in piena, danneggiando l’arcata occidentale del Ponte di Cornino. Però, la carenza e la scarsa qualità dell’esplosivo non permisero la totale distruzione dell’opera.
Contemporaneamente, anche la passerella di Pontaiba, ridotto passaggio sul Tagliamento ultimato dal Genio nel 1916, era stata seriamente compromessa: l’unica via di scampo per gli eroici fanti della Brigata “Bologna” si ravvisava nel Ponte di Pinzano.
Nella mattinata del 1 novembre, La 12^ Divisione, “quella di Tolmino”, appoggiata da decine di batterie, sferrò l’attacco che voleva rivelarsi decisivo. Ma, pur giungendo a 300 m circa dal Ponte di Pinzano, l’impeto degli Slesiani venne respinto dalle Fiamme Nere dei Reparti d’Assalto e dagli uomini del 40° Reggimento di Fanteria.
In ogni caso, la gravità della situazione suggerì al Generale Sanna, comandante la 33^ Divisione e quindi l’intera fronte qui considerata, di ordinare la deflagrazione del Ponte di Pinzano. Udendo i combattimenti che divampavano tra le case di San Pietro, i genieri furono più che sollevati nel dar fuoco alle micce. Alcune fonti riportano come nella fragorosa esplosione rimanessero coinvolte le avanguardie tedesche che già stavano transitando sul ponte.
La distruzione dell’opera viaria di Pinzano, eseguita alle 11:45, precluse ogni possibilità di salvezza a coloro che stavano difendendo la trincea del M. Ragogna sulla sinistra Tagliamento: tuttavia, i fanti opposero una disperata resistenza sino al calar della sera, quando furono inesorabilmente sopraffatti.
Centinaia di soldati austro-germanici trovarono la morte, ben quattrocento cadaveri di militari italiani furono raccolti dai valligiani nei periodi successivi, poi in parte inumati nell’ora scomparso Cimitero di guerra di Ragogna (presso il Monumento ai Caduti di Ragogna, tuttora esiste una lapide eretta dal Dipartimento Cimiteriale germanico a ricordo di 37 Italiani per tragico errore bersagliati dal “fuoco amico”). I circa tremila sopravvissuti furono invece catturati dagli Austrogermanici. Sulla Piazza Vittorio Emanuele II di San Daniele, il condottiero supremo della 14 Armata imperiale, Generale Otto von Below, concesse ai guerrieri della “Bologna” ed al suo valoroso comandante Colonnello Carlo Rocca, l’Onore delle Armi. Anche la Relazione ufficiale austriaca, come tutte le fonti italiane, esalta “l’eroica difesa” sostenuta dalla fanteria sabauda tra il 30 ottobre ed il 1 novembre 1917.
Scardinato il M. Ragogna, il Principe di Schwarzenberg e i suoi Jager puntarono allo sfondamento del fronte a Cornino. In merito al nobile austriaco, grande figura storica e militare, si ricorda la rocambolesca scivolata e relativa “nuotata” nelle gelide acque del Tagliamento in piena; l’incidente, banale in tempo di guerra, poteva costargli la vita.
Tra il 1 ed i 2 novembre, con l’ausilio della spregiudicata azione delle artiglierie schierate in prima linea e sfruttando l’atteggiamento incerto dei quadri italiani, i Bosniaci del Maggiore Redl occuparono prima l’Isolotto del Clapat, quindi si slanciarono verso le sparute compagnie della Brigata Lombardia trincerate sulla riva destra del Tagliamento. Sopraffatta la pur pugnace resistenza dei fanti, nella notte sul 3 novembre gli Asburgici del “Gruppo Krauss” sbaragliarono la linea difensiva italiana, aggirando e liquidando buona parte della Brigata “Lombardia” (col. Puglioli), che con valore combatté nei pressi dei San Rocco e sull’altopiano del M. Prat. Fu infranto anche lo slancio delle poche unità appartenenti alle Brigate “Lario” e “Barletta”, le quali avevano approntato un segmento trincerato tra Pontaiba, Flagogna e Forgaria.
L’azione difensiva sul Monte di Ragogna permise alle colonne del Regio Esercito di acquistare il tempo necessario per organizzare una ritirata efficace e completare la sistemazione difensiva sul fronte del Piave – Grappa – Altipiani, scalfendo l’imbattibilità degli attaccanti che dovettero impegnarsi non poco nelle reiterate offensive descritte; tuttavia, il successo fu ridimensionato dalla decisione del Generale Cadorna, il quale espressamente volle sacrificare una brigata efficiente ed utile come la “Bologna” sull’altare del riscatto morale post Caporetto, quando era ancora possibile il disimpegno.
Lo sfondamento imperiale a Cornino, denominato la “Seconda Caporetto”, condannò all’accerchiamento le divisioni 36^ e 63^ intrappolate tra le Prealpi Carniche ed impresse agli eventi una velocità di manovra che poteva dimostrarsi perniciosa per il ripiegamento italiano.
In conclusione, furono i soldati d’Italia operanti tra Ragogna e Forgaria, ( circa 7.500 unità) che, reggendo l’urto di forze avversarie enormemente superiori per mezzi e numero (almeno 25.000 unità), offrirono al grosso del Regio Esercito l’intervallo temporale in ultima analisi dimostratosi indispensabile ai fini della riscossa del Piave.
Il progetto difensivo austro-ungarico (1917 – 1918)
Durante l’anno dell’occupazione imperiale (nov. 1917 – nov. 1918), pure l’Esercito austriaco organizzò un campo trincerato a difesa del Medio Tagliamento, settore che si sarebbe rivelato nevralgico qualora gli Italiani sfondassero la fronte del Piave.
La chiave di volta del sistema era l’insieme di fortificazioni strutturate sulle alte rive del Tagliamento, a sud di Villuzza (Ragogna), nel 1918 dai cadetti di una Scuola Tecnica del Genio. Il Comando del Corpo si trovava a Pignano, nella Villa Locatelli, non molto distante dalla locale infrastruttura militare dell’epoca.
Infine, quando il Regio Esercito sopraffece le armate austro-ungariche in seguito alla Battaglia di Vittorio Veneto (ott. – nov. 1918), la K.u.K. difesa permanente di Ragogna non oppose alcuna resistenza ai reparti italiani in avanzata.
Marco Pascoli
-Lega Nazionale, Delegazione Friuli-