La Slovenia ha istituito per il 15 settembre di ogni anno la festa nazionale per il “ritorno” del Litorale Adriatico” (in pratica la penisola istriana) alla madreapatria slovena.
E’ facile intravedere in tale festa una risposta alla nostra giornata della memoria del 10 febbraio. Altro che Unione Europea. E pensare che l’ Italia si è assunta pure l’onere della difesa dello spazio aereo sloveno. Questa strana festa è passata sotto silenzio e con la completa indifferenza nel nostro Paese e in Friuli.
Gli sloveni sarebbero stati più precisi se avessero inteso celebrare la loro “ricorrenza” il 10 novembre quando in quel giorno del 1975 fu firmato dal governo Moro l’infame trattato di Osimo che graziosamente regalava la Zona B alla Yugoslavia di Tito(sottolineo Yugoslavia e non Slovenia). E di serie B nell’Unione Europea rimaniamo dato che non importa niente a nessuno del tanto decantato corridoio 5 di Illyana memoria, di restituzione ai legittimi proprietari o eredi di beni immobili confiscati con la violenza e la pulizia etnica.
Istria e Dalmazia: non più nostre dalla fine della seconda Guerra Mondiale. Ho trascorso 15 giorni di una meravigliosa vacanza in Dalmazia quest’estate, precisamente nell’isola di Brac, fronte a Spalato e che noi chiamavamo Brazza. Acque cristalline, trasparenti, colori intensi, terreno sassoso, carsico, ricco di piante mediterranee e cespugli selvatici di lavanda. Profumi antichi.
Terre latine, venete, italiane da sempre, fin dai tempi di Roma. Neanche l’Austria che inventò il tristemente noto litorale adriatico riuscì ad assoggettarle, a snaturarle. Tutte le cittadine giuliano-dalmate e le isole assomigliano ad altrettante piccole venezie e le tracce di Roma si trovano in ogni dove, spesso semi abbandonate e poco o punto valorizzate. Inoltre, accanto a costruzioni aggraziate di italiana eredità,alle volte, si possono notare degli orrendi alveari di tipo sovietico.
Tito, con l’aiuto russo e con il beneplacito dei comunisti italiani, si prese la nostra Istria e la nostra Dalmazia, rubandoci la nostra storia e la nostra cultura, rimpiazzandole con quelle della barbarie sovietica. Tutto era italiano e tutto fu calpestato e oltraggiato. Non dobbiamo e non possiamo dimenticare l’orrore delle foibe, la prostrazione e l’esodo di quelle nostre genti, cacciate ed esiliate in Patria e nel mondo e non dimentichiamoci che nel 1946 e 47 quando approdavano a Venezia o in altre città venivano accolti , spesso e volentieri, da “comitati organizzati” al grido di “fascisti” perchè rifiutavano il paradiso di Tito. Non basta ricordare l’eccidio e l’exodus degli ebrei.
Quando l’Unione Sovietica è crollata su se stessa, sulla sua grande utopia e la ancora sua più grande mistificante miseria, le nazioni vassalle, nel bene e nel male si ripresero la loro antica libertà e ritornarono stati(con fatica perchè non abituati da decenni a governarsi e pensare da soli, tanto ci pensava lo stato). Anche la Slovenia e la Croazia sono oggi libere e indipendenti. Tutto il mondo ha riconosciuto loro tali diritti. Ci sono poi state delle guerre nei Balcani e anche noi italiani abbiamo dato e stiamo dando abbondantemente e generosamente il nostro contributo di pacificatori. Io credo che l’Istria e la Dalmazia posseggano il DNA di italianità pagato con il sangue e le pulizie etniche. La Slovenia e la Croazia sono ora talmente democratiche da meritarsi di far parte dell’ Unione Europea (eppure in qualche parte della Croazia ho visto non pochi manifesti inneggianti e riportanti una bella foto a colori del desaparecido Generale Gotovina, ricercato dal tribunale dell’Aia per crimini contro l’umanità perpetrati ai tempi della guerra in Bosnia Herzegovina).
Certo è insperabile pensare di riavere indietro le nostre sacrosante Terre, sempre “irredente”, ma le proprietà strappate con l’odio, si!..Altrimenti non si è buoni conviventi dell’Europa e l’Europa lo deve sapere e, se del caso, farsene carico( o solo gli italiani devono portar acqua al mulino ?). Queste profonde ferite vanno sanate, non dimenticate. Queste cattolicissime repubbliche devono restituire qualcosa all’Italia con una apertura mentale più democratica e più cristiana.
Intanto quell'”amarissimo” adriatico ci incanta e ci invita sovente a visitarlo, ad accarezzarlo. Quel mare che mostra ancora le gloriose e amate insegne del Leone di San Marco, ripeto, parla latino, veneto e italiano, non slavo
Rispettiamoci e facciamoci rispettare un pochino di più.
Andrea SANTAROSSA
tratto da Il Piave