Egregio Direttore,
Il recente voto al Comune di Duino Aurisina ha evidenziato un fenomeno di sicuro interesse, che merita d’essere analizzato.
E’, infatti, abbastanza evidente l’esser venuta meno la compattezza del voto sloveno, compattezza che per decenni si è concretizzata nella possibilità, per quest’elettorato, di scegliere esclusivamente tra due opzioni: il voto all’Unione Slovena oppure ai candidati sloveni delle liste dei comunisti (ex o post che fossero). Tale situazione di blocco elettorale aveva poi un completamente nel fatto che le dirigenze dei due schieramenti (quello del Tiglio e quello della Falce e Martello) operassero, di fatto, in sostanziale sintonia, almeno su tutta una serie di tematiche.
La novità che ha messo in crisi tale sistema è stata senz’altro la vicenda del fallimento della Kreditna BanKa, vissuto nell’ambito della minoranza in modo decisamente traumatico (“i nostri hanno rubato i nostri soldi”, si sentiva dire da più parti), tale da incrinare il precedente rapporto fiduciario con le rispettive dirigenze e costringere queste ultime, per recuperare credibilità nella base, a scelte più drastiche, meno consociative. Ne è derivata la vicenda di Duino Aurisina, con la rottura tra Unione Slovena e D.S. e con il seguito di pesanti polemiche che ne sono derivate.
Peraltro il fenomeno dell’uscita degli elettori sloveni dalla logica del ghetto, dell’esser possibile anche per loro tutta una gamma diversa di opzioni elettorali (come avviene per gli elettori italiani) ha probabilmente delle ragioni meno contingenti.
La realtà vera e più profonda è che i rapporti tra maggioranza italiana e minoranza slovena hanno subito un sostanziale cambiamento, per delle ragioni storiche, non contingenti.
Sono trascorsi cinquant’anni da quel novembre del ’53, quando il sacrificio di Addobbati, di Paglia e degli altri caduiti creò le premesse per il ritorno definitivo ed irrevocabile di Trieste all’Italia e dell’Italia a Trieste. Tale evento significò la definitiva archiviazione di quella che era stata una concreta minaccia sul futuro della città, la pretesa jugoslava di annessione di Trieste (Trst je nas, si legge ancora su qualche muro cittadino); ed era questa pretesa, questo pericolo ad aver incrinato, sostanzialmente, i rapporti tra le due etnie: agli occhi degli Italiani la minoranza slovena appariva una sorta di quinta colonna delle pretese annessioniste del Marescialo di Belgrado.
Con il 26 ottobre del ’54 tale minaccia era definitivamente tramontata, ma ci volle un certo lasso di tempo perché ciò fosse evidente, ce ne volle ben di più perché nel conscio o nell’inconscio delle persone venisse finalmente rimosso tale blocco mentale che identificava gli Sloveni di Trieste con coloro che volevano annettere la nostra città a Belgrado.
Nell’ambiente della minoranza vi è stato un fatto ulteriore: la fine del blocco comunista e il disfacimento della Jugoslavia. E’ chiaro che, oggi come oggi, non vi è un solo sloveno di Trieste (penso neppure il professore Samo o il cameraman Sanzin) che possa onestamente auspicare una annessione di Trieste a Lubiana. E’ un’ipotesi che oramai è fuori anche dal pensabile, quando viceversa è la Slovenia a bussare alle porte italiane per poter avere via libera verso l’Europa e la Nato.
La cancellazione della minaccia annessione, dunque, ha senz’altro rimosso un qualcosa che incrinava i rapporti tra maggioranza italiana e minoranza slovena. Tutto ciò è senz’altro positivo, ma non significa ancora che tutto sia risolto. Continua in qualche modo a pesare (anche se sempre meno) un’altra questione: la definizione dell’identità italiana di Trieste.
Per i più Trieste è città di indiscutibile identità italiana, perché tale si sente la sua stragrande maggioranza di cittadini, perché tale la hanno fatta le vicende della storia e della politica, perché sicuramente il suo riferimento è rappresentato dalla cultura e dalla civiltà italiane. Per altri, viceversa, Trieste deve o dovrebbe identificarsi in una identità mista, italo-slovena, posto che la presenza slovena avrebbe dei connotati autoctoni quanto quella italiana.
La differenza non è da poco (ogni questione di identità va sempre presa estremamente sul serio), ma la strada per risolvere il contrasto è sicuramente una sola: per la maggioranza accettare che all’identità triestina appartiene anche la presenza di una minoranza slovena, accanto alla maggioranza italiana (nonché ad altre minoranze, da non trascurare); per la componente slovena accettare che la loro presenza, meritevole di riconoscimento e di tutele, è e resta comunque quella di una minoranza.
Un autorevole esponente dell’etnia slovena mi diceva recentemente: una volta mi definivo come “cittadino italiano del gruppo etnico sloveno”; oggi dichiaro il mio essere italiano, di lingua e cultura slovena. Affermazione, la sua, che personalmente ho molto apprezzato.
Forse è proprio questa la strada per un diverso rapporto tra maggioranza italiana e minoranza slovena nelle nostre terre.
Paolo Sardos Albertini
Lettera a “Il Piccolo” – 5 giugno 2002