Intervento del sen. Roberto Menia, socio della Lega Nazionale

Il prossimo 10 novembre ricorre il 50° del trattato di Osimo. Data nera di tradimento, in cui l’Italia cedette alla Jugoslavia di Tito, a trent’anni dalla fine della guerra, l’ex Zona B dell’Istria (Capodistria, Isola, Pirano, Umago, Buie, Cittanova e altre preziose cittadine).
Il tutto avvenne in silenzio, agirono come i ladri di Pisa. A fatto compiuto i diretti interessati (gli esuli istriani) lo vennero a sapere attraverso le notizie fatte filtrare da parte jugoslava.
Avevo 14 anni e allora andai in piazza, come tanta gioventù, come tanti triestini, come tanti esuli e figli di esuli. A casa conservo la terra di Buie d’Istria, la terra di mia madre.
L’altra sera Tv Capodistria (un tempo la Tv della Jugoslavia comunista, oggi obbediente emittente della Slovenia) ha annunciato un’ultima ora: l’Italia “restituirà” alla Slovenia la pala rinascimentale di Vettor Carpaccio (nato a Venezia a metà nel 1465 e morto a Capodistria, repubblica di Venezia, nel 1525) della “Madonna col Bambino e i Santi” conservata fino ad oggi a Padova e proveniente dalla chiesa di San Francesco di Pirano.

E come mai ciò avviene?
Il 10 e l’11 settembre prossimi il presidente della Repubblica Mattarella si recherà in visita in Slovenia e questo di fatto sarà il grazioso omaggio italiano ai vicini del Monte Tricorno.
Ovviamente, lo veniamo a sapere da loro, perché di qua del confine silenzio di tomba…
L’opera è rivendicata dagli sloveni da oltre vent’anni, assieme ad altri capolavori di GiovanBattista Tiepolo, Paolo Venezianio, Alvise Vivarini, tutti provenienti da chiese istriane: furono spostati nel 1940 a Roma per metterli al riparo dalla guerra. Si trattava, com’è evidente, di spostamento più che legittimo di patrimonio artistico nazionale all’interno del territorio nazionale, che avremmo il dovere di tutelare anche oggi.
Alle richieste slovene risposero con fermezza i precedenti governi: ritrovo tra i miei atti parlamentari una preziosa risposta che mi dette il sottosegretario agli Esteri Mantica ad una mia interrogazione alla Camera nel 2011 sulla questione: “Questo Ministero degli Affari Esteri esclude che da parte slovena possano essere avanzate rivendicazioni o pretese. Il Ministero per i beni e le attività culturali ha tra l’altro rilevato che l’attuale normativa italiana, che recepisce la normativa europea in materia, vieta l’esportazione e l’uscita definitiva delle opere d’arte dal territorio nazionale, consentendo solo esportazioni temporanee per un massimo di quattro anni”.

Vale ancora o no questa normativa…?
Se sì vale per tutti e quest’opera non può essere data alla Slovenia.
A quanto mi risulta, peraltro, si tratta di “bene soggetto a tutela dalla Soprintendenza” che deve dare l’approvazione per l’espatrio.

La soprintendenza lo ha approvato?
Nel silenzio sull’operazione, che si protrae in realtà da mesi, ho potuto appurare tante cose.
Al Comune di Trieste, che detiene nei suoi musei la collezione delle opere istriane, era stato richiesto di verificare e dichiarare la proprietà effettiva di ognuna delle stesse; il Quirinale spingeva per una soluzione amichevole del contenzioso aperto dalla Slovenia, la “Federazione delle Associazioni degli Esuli” (ma dorme o che fa?) veniva puntualmente messa al corrente di ogni passo, il Ministro della Cultura mi assicurava che nulla del patrimonio nazionale sarebbe mai uscito…
Ed ecco l’escamotage: trattativa Quirinale, Vaticano, Italia: la Pala appartiene all’ordine francescano e dunque può tornare nella Chiesa di San Francesco a Pirano.

Bene, per il cinquantesimo compleanno di Osimo, “restituiamo” Carpaccio agli sloveni. Complimenti!
A proposito di restituzioni, tanto per farmi del male, sono andato a riguardarmi vecchie cose di trent’anni fa, quand’ero un giovane deputato.
La Slovenia ambiva ad entrare nell’Unione Europea, vi fu lo stop del Ministro Antonio Martino (che ricordo con affetto) sulla questione dei beni “abbandonati”.
Allora, nella sola Slovenia si stimavano 2000 beni degli esuli nazionalizzati dalla Jugoslavia ancora disponibili, non occupati o impiegati, per cui si discuteva di un’ ipotetica restituzione… poi diventarono 1500, poi 800, poi 400, 250…. Zero.
Neppure un mattone ci fu restituito.
Ma entrarono con la banda nell’UE col lodo Solana e il via libera del governo Prodi: noi esuli e figli di esuli avevamo il “diritto” di prelazione per ricomprare quanto ci era stato rubato e veniva messo sul mercato.

Che vergogna…
Nel 2004 l’ingresso ufficiale della Slovenia nell’Unione Europea. Speravamo cambiassero…
Nello stesso 2004 il Parlamento Italiano approvò la legge che istituiva il 10 febbraio (firma del trattato di pace del ’47) come Giorno del Ricordo, la cosa più bella che io abbia fatto nel mio percorso politico: una riparazione morale e patriottica, storica, per gli esuli giuliano-dalmati e i loro figli, non certo materiale.
A noi non verrà mai più restituito nulla.
Per sfregio gli sloveni, l’anno successivo, istituirono il 15 settembre (data di entrata in vigore del trattato di pace) come “Giorno del ritorno del litorale alla madrepatria”: per litorale intendono Capodistria (la città di Nazario Sauro), Pirano (di Giuseppe Tartini) e Isola (di Pasquale Besenghi). E lo celebrano ancora.
In realtà anche qui imbrogliano perché la Zona B, come detto, divenne Jugoslavia solo col trattato di Osimo, entrato in vigore il 3 aprile 1977.

Nel 2020 si tenne lo “storico” abbraccio tra Mattarella e Pahor a Basovizza.
Quello che non raccontano è che la Slovenia pretese che l’atto di omaggio del suo presidente agli infoibati (500 metri cubi di cadaveri di innocenti nella foiba, recte “pozzo della miniera”) fosse preceduto da quello comune dei due presidenti ai 4 fucilati su sentenza del tribunale speciale del 1930: peccato che i quattro fossero colpevoli e rei confessi di diversi omicidi e attentati ed appartenevano al Tigr (acronimo di Trst, Istra, Gorica, Rieka) organizzazione terroristica che giurava di staccare Trieste, Istria, Gorizia e Fiume dall’Italia per conto della Jugoslavia.
E poi l’apoteosi di Gorizia – Nova Gorica capitali della cultura, lo scorso 8 febbraio. Tutti felici, sotto il Monte Sabotino, dove per l’occasione avevano ripulito, cementato, murato e imbiancato per bene la scritta di 100 metri e passa per 40 “TITO”. In faccia a Gorizia.
Perché si veda bene e non si dimentichi.
Ma nessuno ha visto nulla quel giorno. Chissà….
E a noi che restituiranno mai?
Le nostre case, i nostri ricordi?
I pianti delle nostre madri?
La storia che ci hanno cancellato?
E adesso ditemi pure che sono vecchi rancori, piccole insignificanti questioni superate dal presente, che esiste la ragion di Stato, che a nessuno gliene importa niente fuori che a noi irrilevanti figli di una storia strappata.
E ditemi anche che sono l’ultimo giapponese.
Ma non mi togliete la dignità di dire quel che penso, soprattutto se dico la verità.

Roberto Menia