Il ruolo del Comunismo

Abbiamo analizzato e sottoposto a critica le diverse chiavi di lettura della vicenda del “terrore titino” e nessuna sembra offrire una spiegazione completa e convincente di quanto accaduto sessanta anni or sono in queste terre.

Resta ora da analizzare e da valutare l’ultima delle possibili interpretazioni, quella cioè propriamente ideologica, che individua nel Comunismo, in quanto tale, la regia, la responsabilità di quelle violenze, di quegli eccidi di quelle vera e propria tragedia vissuta dalle Genti Giulie e riassunta dai termini “Foibe” ed “Esodo”.

Vladimir Lenin lo aveva insegnato: la costruzione di uno stato comunista richiede di essere concimata con una dose adeguata di “terrore”. Sarà questa operazione iniziale che poi porterà frutti nel futuro, negli anni e magari nei decenni, perché il “terrore” ha questa caratteristica intrinseca, di operare a lungo, lunghissimo termine nell’animo delle persone. Quello degli inizi continuerà dunque ad essere efficace e funzionale al permanere dello Stato Comunista (tutt’al più richiederà, di volta in volta, qualche adeguato richiamo).

I seguaci di Lenin, in tutte le parti del mondo, in tutti i diversi momenti storici, si sono sempre attenuti a tale insegnamento del loro maestro.

Il “terrore” da essi realizzato ha seguito degli schemi ben precisi; primo fra tutti quello di utilizzare, di “cavalcare” conflitti preesistenti, piuttosto che andarne a creare di nuovi.

Così, sempre per considerare la primavera del ’45, in Emilia e Romagna agrari e preti furono vittime della violenza di braccianti ed anticlericali. Ma le fila di quelle violenza erano chiaramente nelle mani del Partito Comunista che, proprio su quel terrore, costruì quell’egemonia politica che tutt’ora è operante.

E nel triangolo industriale, pressoché nelle stessa epoca, furono gli operai a gettare nei forni capetti e dirigenti. Anche in tali situazioni il partito comunista non andava ad inventare un conflitto ex novo, ma utilizzava per i suoi fini uno preesistente.

Ai confini orientali d’Italia il conflitto preesistente non era quello di classe o quello religioso, era piuttosto quello etnico, tra Italiani e Slavi. Ed i Comunisti provvedono a gestirlo, a “cavalcarlo”. Il tutto in piena armonia tra Comunisti di Togliatti e Comunisti di Tito.

Nelle Foibe finiscono dunque in prevalenza Italiani, ma tra gli infoibati ci sono anche Sloveni e Croati (nonché Tedeschi e Neozelandesi) e, per quanto concerne gli infoibatori , sicuramente in larga maggioranza erano Slavi, ma non mancavano tra di essi anche gli Italiani.

Certo è che nelle Foibe non venivano gettati Comunisti (Italiani o Croato o Sloveni che fossero)e che tra gli Infoibatori non c’era nessuno che fosse qualificabile come anti comunista.

E’ sempre la regia di un organismo, come il Partito Comunista, che spiega la sistematicità attraverso cui il “terrore” trova attuazione, la scientificità con la quale si punta agli uomini del CLN e comunque a chiunque possa essere di disturbo nel nuovo regime che sta nascendo. E accanto a tale lucidità quella adeguata dose di casualità irrazionale che sola riesce a far sentire tutti sotto la cappa della paura.

E’ sempre la chiave di lettura ideologica che spiega, senza difficoltà di sorta, anche la persecuzione religiosa: perfettamente congeniale a dei Comunisti, anche se Sloveni o Croati.

Nelle oltre tre ore del film “Il cuore nel pozzo” c’è un grande, grandissimo assente, c’è una sorta di buco nero nella storia: il termine Comunismo non viene mai nominato, neppure una sola volta.

Forse a dimostrazione di un fatto: per mezzo secolo è stato pressoché proibito parlare di Foibe e di Esodo, oggi finalmente si può farlo a condizione però di non menzionare chi porta la responsabilità di quella tragedia, vale a dire il Comunismo.

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Questo Convegno, promosso dalla Lega Nazionale unitamente alla Società di Studi Fiumani ed all’Unione degli Istriani, ha l’ambizione di portare un contributo al superamento anche di tale residuo tabù.

Lo fa nelle consapevolezza che non può bastare rievocare avvenimenti di sessanta anni or sono, occorre ricordare sì, ma per riuscire a capire.

La metodologia individuata è stata quella di mantenere l’unità di azione – il terrore titino – nonché l’unità di tempo – la primavera ’45 – di inserire invece la diversità dei luoghi.

Parleremo così del terrore titino, in quel momento storico, così come si è manifestato a Trieste ed a Gorizia, in Istria, a Fiume ed in Dalmazia.

Tale criterio di diversificazione geografica , nell’approccio allo stesso fenomeno storico, potrà offrirci degli strumenti per capire le risposte che stiamo cercando.

Peraltro, rivolgendoci sempre alla geografia, potrebbe venirci anche un ulteriore contributo di comprensione .

Alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia subì delle menomazioni territoriali ad Est (Venezia Giulia, Fiume, Zara) a favore dello Stato Jugoslavo e tali menomazioni furono segnate dalla tragedia delle Foibe, dell’Esodo, della rapina dei beni e così via.

Sempre in conseguenza della guerra persa l’Italia subì delle menomazioni territoriali anche ad Ovest, a favore della Francia (Briga e Tenda). Non risulta però che in tali aree vi siano stata stragi di Italiani, che siano stati costretti ad sodare, che abbiano subito l’ esproprio dei beni.

Eppure non è che la Francia fosse all’epoca meno nazionalista della Jugoslavia e sicuramente, memore della famosa “pugnalata alla schiena”, non era certamente più ben disposta verso i vicini Italiani.

La differenza tra le due situazioni era unicamente di natura ideologica: ad Ovest il nostro vicino era liberal-democratico, ad Est era Comunista.

PAOLO SARDOS ALBERTINI