Il conflitto etnico tra Slavi ed Italiani

E’ la tesi che, al momento, forse va per la maggiore, quella che ha trovato manifestazione piena anche nel recente lavoro cinematografico “Il cuore nel pozzo”, prodotto e proiettato (con enorme successo) dalla Radio Televisione Italiana.

Nelle oltre tre ore di programmazione la chiave di lettura proposta ( al di là della vicenda personale) risulta fondamentalmente una sola: Slavi contro Italiani, Italiani contro Slavi.

Ma è certo che sia stato proprio così?

In primo luogo, quanto è corretto parlare genericamente di “Slavi”? E’ lecito cioè mettere in un unico calderone sloveni e croati, serbi e macedoni, bosniaci e montenegrini?

Sono domande non del tutto peregrine ove si tenga conto di come, neppure mezzo secolo dopo quel ’45, la Jugoslavia costruita da Tito è scoppiata in un sanguinoso conflitto etnico che ha visto contrapporsi, negli eccidi e nelle violenze più inumane, quei diversi gruppi nazionali che si pretenderebbe qualificare indistintamente come “Slavi”.

E, per restare a due delle etnie più direttamente coinvolte nelle vicende che stiamo analizzando, vale a dire Sloveni e Croati, tanto poco sono omologabili se è vero, come è vero, che nell’Europa del terzo millennio l’unico confine sul quale ci si spara è proprio quello che corre tra la Repubblica di Slovenia e quella di Croazia, a Sicciole non meno che nel Golfo di Pirano.

Se la realtà delle diverse etnie slave risulta così diversificata (ed anche conflittuale), appare chiaramente inverosimile il richiamo ad un generico “orgoglio slavo” (come appare nel film della RAI) per dare spiegazione dell’operato degli infoibatori.

Tale osservazione legittima già dei dubbi sulla fondatezza della tesi del conflitto etnico: tra Italiani e Sloveni? tra Italiani e Croati? tra Italiani e Serbi? tra Italiani e le diverse altre etnie della ex-Jugoslavia? Evidentemente le variabili sono troppe da far risultare difficilmente credibile tale lettura esclusivamente etnica di queste vicende.

Vi sono però delle considerazioni che generano non dubbi, ma la certezza della infondatezza di tale tesi.

La prima e fondamentale considerazione: il “terrore titino” nella primavera del ’45 ha sicuramente provocato migliaia e migliaia di vittime tra gli Italiani della Venezia Giulia e Dalmazia, ma è innegabile che gli stessi uomini di Tito, nello stesso periodo, hanno massacrato un numero ancora maggiore di Sloveni e di Croati. A dimostrazione indiscutibile che non era quella etnica la motivazione che guidava il loro agire criminale.

E ancora: è pacifico che nell’indurre all’Esodo gli Italiani dell’Istria, specie di quella interna, specie dei piccoli centri, un ruolo importante lo ha svolto la persecuzione religiosa. In quelle piccole realtà l’avvertire che la pratica religiosa poteva costituire motivo di repressione e comunque era oggetto di controllo politica, tutto ciò venne a costituire un motivo “forte” di incertezza, di timore per cosa sarebbe successo, di motivazione per lasciare tutto e cercare scampo in Italia. E’ chiaro – per chiunque valuti con onestà i termini della questione – che è assolutamente impensabile che siano stati i Croati o gli Sloveni, in quanto tali, a mettere in atto tale strumento della persecuzione religiosa a danno degli Italiani. Se proprio avessero voluto attivare tale strumento, avrebbero costretto gli Italiani ad andare a Messa tre volte al giorno, piuttosto che ostacolare il loro accesso alle Chiese.

E poi le violenza contro il Vescovo, quelle contro sacerdoti, le uccisioni di questi ultimi (si pensi per tutti al martirio del Servo di Dio don Bonifacio), tutto ciò appare assolutamente non compatibile con il tasso di religiosità – notoriamente più che elevato – dei popoli Croato e Sloveno

E’ la conferma che non era la croaticità o la slovenità a muovere le mani assassine degli infoibatori. E, di contro, non era quindi esclusivamente l’italianità a segnare il sacrificio degli infoibati.

Infine un’ultima considerazione, forse di minor rilievo, eppure non priva di significato. Il potere jugoslavo, il sistema titino si proponeva con un organismo politico, l’Unione Antifascista Italo Slovena – UAIS, e lo slogan sbandierato ad ogni piè sospinto era quelle della “fratellanza” italo – slovena”. Vale a dire che – almeno per quanto riguardava il loro auto presentarsi – gli uomini di Tito non proclamavano in alcun modo l’orgoglio slavo contro l’arroganza italiana, bensì l’armonia e la collaborazione tra le due etnie.

La conclusione di questa fase della nostra analisi sembra possa essere questa: una lettura dl “terrore titino” in chiave esclusivamente etnica non po’ in alcun modo soddisfare, perché troppi sono i dati che con essa contrastano e che rimandano necessariamente ad una spiegazione altra e diversa.

Certo, un conflitto tra Slavi e Italiani c’era stato e c’era, un conflitto che aveva una origine ben precisa: la politica cinica e criminale degli Asburgo che, dopo il 1866, alimenta un contrasto drammatico tra delle popolazioni che, per secoli, ai tempi di Venezia avevano vissuto in pace ed armonia.

Gli Asburgo fecero nascere tale conflitto quale strumento per contenere e contrastare il gruppo etnico italiano, recalcitrante e contestatore. La scelta della dinastia di Vienna, in nome del “divide et impera”, servì a loro ben poco, visto che hanno fatto la fine a tutti ben nota. In compenso, alle popolazioni di queste terre, costò enormemente in termini di violenze, di odii, di morte.

Un conflitto etnico dunque c’era stato, prima e dopo la prima guerra mondiale, il conflitto fu continuato ed amplificato durante il fascismo e sicuramente era ben presente negli animi, sia degli Italiani che degli Sloveni e dei Croati, anche nella primavera del ’45.

Ma il suo ruolo fu solo quello di comprimario, di strumento usato, con scientificità e lucidità, da altro soggetto ed ad altro livello.