Il 10 febbraio, “Giorno del ricordo”, al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati.

Ci sono diversi modi per contrastare una scomodo verità. Quello più facile ed immediato utilizza lo strumento del silenzio: per cancellare il ricordo di ciò che non deve essere ricordato, per impedire che i diretti testimoni parlino di ciò che sanno, per ottenere che gli altri, specie le giovani generazioni, vengano a conoscere quanto accaduto.
Il peso di questa condanna, del “silenzio storico”, ha gravato per quasi mezzo secolo su una fetta di storia d’Italia. Il dramma di centinaio di migliaia di nostri connazionali (trecentocinquantamila, per chi ama queste tristi contabilità) costretti ad abbandonare case e beni, attività e cimiteri, costretti ad affrontare la via crucìs dell’esilio; la tragedia di decine di migliaia di italiani brutalmente assassinati nelle Foibe carsiche; l’angoscia e la disperazione dei tanti loro cari cui è stato negato finanche il poter accogliere nella pietà le salme dei propri genitori, dei propri fratelli, dei propri figli. Tutto ciò, avvenuto al confine orientale d’Italia, in quelle terre che portano il nome di Istria, Fiume e Dalmazia, è stato per quasi mezzo secolo rimosso dalla conoscenza dell’Italia ufficiale; i libri di scuola hanno ignorato tali vicende; le celebrazioni ufficiali, così copiose e solenni su altri temi, hanno rigorosamente cancellato ogni ricordo di esodo e foibe. E le nuove generazioni (tranne casi isolati, di chi aveva fonti familiari di testimonianza) hanno subito, rigorosamente, la violenza di essere tenute nell’ignoranza di un qualcosa che rappresenta pur sempre un tassello, non irrilevante, della storia nazionale.

Poi, dopo quasi mezzo secolo da quelle vicende, è successo un fatto nuovo, clamoroso e non previsto da molti: il fallimento dichiarato del Comunismo ed il crollo, per implosione, del suo impero mondiale.

Solo dopo il fatale 1989, solo quando la Jugoslavia (edificata dal comunista Tito) si è decomposta in un panorama di balcanica barbarie, solo allora il mondo dei mass media, la pubblica opinione, il cittadino comune, la solennità dei ministri nelle cerimonie ufficiali hanno scoperto che le foibe non erano solamente un curioso fenomeno geologico e che la “pulizia etnica”, che oggi tutto il mondo condanna quando applicata tra i belligeranti della ex Jugoslavia, aveva avuto un suo preciso antecedente ad opera del comunista Maresciallo Tito e a danno di centinaio di migliaia di italiani. Qualcuno, tra gli spiriti più attenti e curiosi, si sarà chiesto perfino quale fine avessero fatto quelle terre d’Italia Orientale, quelle città che portavano i nomi di Capodistria, di Pola, di Fiume, di Zara, di Ragusa. Terre e città che per millenni erano state parte integrante della storia, della cultura, della civiltà di Roma e di Venezia, ma che sugli atlanti geografici (anche del Touring italiano, anche di illustri e rigorose case editrici nazionali) apparivano cancellate, perché al loro posto erano comparsi nomi nuovi ed esotici, quelli di Koper, di Pula, di Rijeka, di Zadar, di Dubrovnik.

Il silenzio di mezzo secolo, sull’esodo e sulle foibe, ha cominciato dunque molto timidamente ad essere incrinato, ma le resistenze continuano a farsi sentire ed il mare di ignoranza da colmare è tuttora, a dir poco, immenso. Negli anziani, negli adulti si tratta forse di far emergere un qualcosa di cancellato e di rimosso, ma ai giovani occorre fornire un’informazione totale: quella informazione che ancor oggi (nonostante le promesse dei mendaci Ministri della Pubblica Istruzione) latita totalmente dai libri di testo che i ragazzi si trovano tra le mani.

Una adeguata conoscenza di quanto accaduto sarà lo premessa migliore per il passaggio ulteriore. Capire il perché ditali vicende, individuare anche i responsabili di tali crimini, condannare – con gli strumenti delta giustizia storica – gli autori dei misfatti.

Il tutto per impedire che la vicenda delle foibe e dell’esodo, dopo la condanna a cinquant’anni di oblio, debba ora subire l’iniquità delta manipolazione e del travisamento storico. Un generico ricordo dei fatti, senza colpe e colpevoli di sorta, significherebbe aggiungere le beffe al danno. Perché il crimine delle foibe e la tragedia dell’esodo hanno avuto un regista ben preciso. Noi vogliamo capire chi sia stato a gestire sia gli anni di sangue che i decenni di oblio e chi a tutt’oggi continui ad ostacolare il percorso della verità e della giustizia.

Paolo Sardos Albertini

dalla prefazione a
“Il Rumore del silenzio” – 2001