La seconda Redenzione di Trieste pone la Lega Nazionale di fronte ad una situazione per qualche verso analoga a quella verificatasi dopo il 4 novembre 1918. Di comune c’è, in entrambe la situazioni, l’avvenuto raggiungimento degli obbiettivi primari del Sodalizio: il congiungimento di Trieste alla Stato italiano e, conseguentemente, la fine della minaccia austriaca nel ’18 e lo svanire dell’incubo titino nel ’54.
Ma una qualche analogia è riscontrabile anche su un altro versante: sicuramente già con il Fascismo si era posto un problema di una diversa sensibilità centrale nell’interpretare l’identità giuliana (problema che forse è stato all’origine dello stesso scioglimento della Lega); dopo il ’54 questa problematica si ripropone, anche se in tutt’altra prospettiva: non più nei confronti del potere centrale, bensì in riferimento a quello locale.
Occorre ricordare la situazione politica triestina di allora. Il partito di maggioranza relativa (la DC ) era stato decisamente schierato, in tutto il dopoguerra, tra le forze del cosiddetto “partito italiano”; quello cioè di cui la Lega , dai tempi della sua rifondazione ad opera di don Marzari, era l’espressione e lo strumento più diretto ed esplicito. La Democrazia Cristiana aveva anzi costituito il fulcro di tale schieramento ed il tramite fondamentale per tutto il lavoro di collegamento con il Governo di Roma.
Figura simbolo di questo partito, ma al contempo di tutto il “partito italiano”, era stato Gianni Bartoli, il sindaco della seconda Redenzione. Accanto a lui, nello stesso partito, una serie di esponenti che ne condividevano obbiettivi, sensibilità e valori (Romano, Pecorari, Visintin e tanti altri).
Le vicende interne di quel partito portano però ad un drastico cambio della guardia: i cosidetti notabili (Bartoli e gli altri) vengono scalzati; al loro posto appare un nuovo gruppo dirigente, si parlerà inizialmente dei “giovani turchi”, poi dopo il Congresso di Firenze del ’59 troveranno la loro etichetta definitiva, cioè quella di “morotei”.
Saranno loro a controllare il partito (ed in breve tutta la città) per diversi decenni. Lo faranno su una linea politica per un verso di maggiore attenzione verso le sinistre, per un altro di esplicita rottura con quella che era stata la tradizione “liberal-nazionale”. Questo secondo elemento sarà vissuto con maggiore lucidità e consapevolezza da qualche esponente di spicco della nuova dirigenza: quasi un regolamento dei conti con la Storia, una sorta di nemesi in nome dei clericali e degli austriacanti, sconfitti nel ’15 proprio dalla Lega Nazionale. Sarà in questa visuale che si andrà a riproporre, a tavolino, una mittel-europa del tutto estranea dalla cultura ed al sentire della città, una nostalgia dell’Austria che farà inorridire chi l’Austria ancora può ricordarsela, sarà sempre in questa prospettiva che si vorranno dedicare studi, onori e rievocazioni alla figura di mons. Fogar, visto e proposto come figura alternativa a quella del suo successore mons. Santin. In definitiva una scelta di “liberare” Trieste da quelle sue “anomalie” che fossero riconducibili al passato liberal-nazionale (13)
Questa scelta politico culturale dei “morotei” di demonizzazione della tradizione “liberal-nazionale” andava necessariamente a collidere con quella funzione specifica rivendicata dalla Lega Nazionale di farsi custode dell’identità giuliana e quindi in primo luogo dello spirito e della tradizione rigorosamente anti asburgica dei primi venticinque anni del Sodalizio.
Quanto all’aspetto, meno culturale e più propriamente politico, dell’apertura alle sinistre, questo veniva poi a collidere con quella che era stata la vicenda del secondo dopoguerra, giacchè quelle sinistre a cui ci si rivolgeva altro non erano che componenti del cosiddetto schieramento slavo-comunista che, fino al 26 ottobre 1954, era stato visto (e non a torto) come la quinta colonna delle mire del maresciallo Tito.
A ciò si aggiunga una scelta a dir poco provocatoria: l’apertura a sinistra doveva attuarsi con l’insediamento al Comune di Trieste di un assessore slavo- titino.
Sulla vicenda Hresciak (il nome dell’assessore in questione) ci fu uno scontro durissimo, tra la Lega e la dirigenza morotea . Quest’ultima giunse a deliberare l’incompatibilità tra la presenza nella DC e nella Lega Nazionale (l’incompatibilità poi fu limitata a ruoli dirigenti). Il tutto non solo ignorando i pregressi strettissimi rapporti (da don Marzari in avanti), ma anche infischiandosene del fatto che, nella sua opposizione all’operazione Hresciak, la Lega Nazionale fosse in piena ed assolutamente esplicita sintonia con il vescovo Mons. Santin (il settimanale Vita Nuova, fu in prima linea in questa battaglia).
Alla fine la linea morotea passò e, per la Lega Nazionale, la sconfitta fu esplicita e pesantissima. Si ritrovò in larga misura isolata, inchiodata dalle accuse di estremismo politico (con possibilità di riferirsi ai soli partiti di destra) e di anacronismo storico-culturale, nel suo richiamarsi a quella identità giuliana di cui era stata interprete fin dal 1891.
La politica morotea, nel suo lucido progetto, dopo la vittoria sul liberal-nazionalismo nella vicenda Hreshiak, volle completare il quadro, proseguire nella “normalizzazione” della realtà triestina: far scomparire dalla scena politica anche quel tema dell’Istria, che continuava ad essere fonte di nostalgie, motivo di rimpianti, occasione per ripensare ad una Trieste, ad una Venezia Giulia più consone ai Gianni Bartoli che ai Guido Botteri (14)
Lo strumento per questa operazione, definibile come il voler porre la pietra tombale sulla questione Istria, doveva essere il Trattato di Osimo. Con tale atto ogni questione veniva chiusa e definita; in primis quella della cessione della sovranità sulla Zona B alla Jugoslavia (15).
Apparentemente la situazione politica e di pubblica opinione della città appariva non presentare rischi, per tale operazione dei morotei. Poi si verificò l’imprevisto: una scelta editoriale de Il Piccolo, l’animarsi della associazioni degli esuli e, con esse, delle Lega Nazionale, ma soprattutto quella vampata di passione, quella fiammata di rabbia che improvvisamente animò tanta parte dei Triestini: Osimo diventò sinonimo di vergogna e di ignominia, la classe politica che lo aveva sostenuto (bollata con l’infamante titolo di “osimante”) si trovò travolta dal verdetto delle urne che portò una sorta di sconvolgimento tellurico, dopo il quale niente fu come prima. Iniziò, con tale atto, quella nuova fase politica che vide la Lista per Trieste come protagonista.
La Lista non solo fu immediata interlocutrice della Lega Nazionale, ma si dichiarò esplicitamente continuatrice ed erede di quella tradizione “liberal-nazionale” di cui, per tutto il periodo del sistema moroteo, la Lega Nazionale era stata pressoché l’unica custode e tutrice.(16)
La vicenda Osimo, i riaprirsi del sistema politico triestino, l’offuscamento del “sistema moroteo” costituirono per la Lega Nazionale una sorta di bilanciamento, di compensazione di quella che era stata la durissima sconfitta sul caso Hresciak.
Il collegamento con le forze politiche, e quindi con la pubblica opinione, prese dunque un corso diverso.
Due esempi possono dare la misura di tutto ciò: negli anni successivi la Lega Nazionale ebbe diversi dirigenti e addirittura un Vice Presidente (il sen. Arduino Agnelli) provenienti da quel partito (il PSI) che era stato quello di appartenenza di Hreshiak; ancora, quella DC che aveva dichiarata l’incompatibiltà con la Lega Nazionale si trovò a candidare alla Camera (quale indipendente) lo stesso presidente in carica della Lega.
Il tutto a dimostrazione palese di come le condizioni di isolamento del dopo Hreshiak fossero decisamente superate e cancellate.
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In tale nuova situazione, nella quale la Lega ha recuperato il suo ruolo di interprete di almeno parte della identità giuliana, quali gli ambiti, quali i compiti di sua spettanza? Riaffermare, senza alterigia, ma senza complessi, tutto la sua lunga tradizione, il suo esser stata interprete dell’identità vera di queste genti, il suo ricordare le vicende che hanno lasciato un segno vivo nella storia di queste terre.(17)
In conclusione, l’impegno di continuare a ribadire ed a testimoniare il fondamento di quella scelta che sta alla base dell’identità delle genti giulie: libertà e nazione italiana.
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E si arriva così al 1989, al tracollo del Comunismo, ed al successivo sconvolgimento di tanti scenari.
C’è la decomposizione (nel sangue e negli orrori) della Jugoslavia, la nascita di nuovi stati (Slovenia e Croazia) ed il loro percorso europeo; per la situazione politica italiana c’è lo sconquasso di mani pulite, il nuovo assetto bipolare, il crescente coinvolgimento, del nostro paese, nei vincoli della dimensione europea.
Tutto ciò per la Lega Nazionale ha significato sicuramente l’apertura di nuove prospettive (ad esempio è ancora tutta da articolare la scelta di “portare l’italianità in terra d’Istria, di Fiume e di Dalmazia”), ma anche la rottura di predenti steccati (esponenti di quello che fu il Comunismo sono oramai pacifici e proficui interlocutori della Lega e fu una Giunta regionale guidata da un ex comunista – il Presidente Travanut – ad intervenire in maniera significativa per fronteggiare passate difficoltà finanziarie del Sodalizio(18)
Al di là di tutto questo c’è una tematica di fondo che sempre più è destinata a coinvolgere la Lega Nazionale, nel futuro che si prospetta.
Diego Redivo lo indica chiaramente, a conclusione del suo lavoro: il tema della nazione.
La fine del Comunismo ha sicuramente palesato come, al di là delle ideologie, il dato nazionale abbia dimostrato una vitalità forte e sia destinato a pesare nella realtà politica, presente e futura del continente europeo.
Contrariamente a passate previsioni, quella delle nazioni appare inoltre una realtà capace di sopravvivere anche all’eclissi degli stati nazionali: la nazione è viva e vitale, anche senza il supporto di uno Stato che con essa si identifichi
L’identità nazionale, il sentirsi parte di una realtà più ampia che superi i limiti della geografia e della storia, continua ad essere avvertita come un elemento irrinunciabile della nostra stessa identità personale.
Negli Stati Uniti il cittadino del Texas sente l’orgoglio della sua appartenenza texana e, proprio grazie a questo orgoglio, sente quello dell’essere cittadino USA. L’Europa, quella che ha casa a Bruxelles, manca tutt’ora di un’anima anche perché incapace di essere nazione. Potrà colmare tale vuoto solo se ciascuno porterà, in quella casa, il proprio essere italiano o francese, polacco o spagnolo. Se così non sarà Bruxelles resterà abitata – come lo è tutt’ora – solo da ottusi burocrati e da miopi banchieri.
Tutto questo per dire una sola cosa: il tema della nazione è uno di quelli che, come pochi altri, appartiene sia al presente che al futuro e con il quale ciascuno sarà chiamato a confrontarsi.
E per la Lega Nazionale proporre, approfondire, divulgare il tema “NAZIONE – IDENTITA’” significherà semplicemente restare fedele ad uno di quei binomi in cui vanno ravvisate le sue ragioni fondanti, uno dei filoni della sua sostanziale continuità: da quando venne costituita, in quel lontano 1891, che appartiene ormai a tre secoli or sono, fino ai giorni nostri, ormai incardinati nel nuovo millennio
Paolo Sardos Albertini
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(13) Forse espressione di tale stato d’animo lo slogan con cui la DC morotea triestina affrontò una campagna elettorale: “TRIESTE NON E’ UN’ISOLA”. Episodio significatvo se si pensa che non molto tempo dopo proprio nella realtà triestina esploderà il fenomeno del “municipalismo”.
(14) Il dr. Guido Botteri, già dirigente della RAI, rappresenta una figura di spicco del gruppo moroteo, per un certo periodo anche Segretario del partito, comunque intellettuale di ampio respiro storico culturale e politico estremamente lucido: anche nell’individuare la Lega Nazionale come il nemico “liberal-nazionale” da abbattere. Qualcuno osservò che le sue origini trentine, e non giuliane, possono forse dare regione di questo voler vendicare i clericali autriacanti, sconfitti nel 1915. Ma queste sono valutazioni personali che meritano minima attenzione .
(15) E’ curioso che quegli stessi ambienti che hanno voluto e difeso Osimo avessero in precedenza sostenuto a spada tratta che tale cessione già sarebbe stata attuata con il Memorandum di Londra del ’54. Ma se così fosse stato che bisogno c’era del Trattato di Osimo?
(16) I collegamenti personali tra dirigenza della Lista e dirigenza della Lega sono stati innumerevoli. Bastino solo due nomi: il compianto Alfieri Seri, che della Lega fu anche presidente, ed il battagliero Gianfranco Gambasssini la cui fedeltà quale dirigente della Lega costituì sempre motivo di esempio
(17) Rientra in ciò l’azione svolta per far emergere la tragedia “rimossa” delle Foibe. Attraverso lo strumento del “Comitato Martiri delle Foibe” venne progressivamente realizzato un coinvolgimento delle istituzioni – fino al Capo dello Stato – nelle cerimonie al Sacrario di Basovizza. Il tutto ha trovato coronamento in quella “ giornata della memoria”, recentemente istituita dal Parlamento nazionale, su proposta dal triestino Roberto Menia, non a caso un vero e proprio “figlio della Lega”. Analogo impegno, di conservazione della memoria storico-patriotica, la Lega lo esplicò cu altri temi: il martirio di Guglielmo Oberdan, l’annuale omaggio agli studenti del Liceo Dante Alighieri, caduti per la patria, il ricordo dei Triestini trucidati dal piombo titino nel ‘45 in via Imbriani e, non ultimo, quelli dei caduti del 5 e 6 novembre 1953, dei quali per non pochi anni solo la Lega Nazionale parve conservare memoria.
(18) Delle volte c’è da restare ammirati per quella sorta di senso dell’umorismo che la Storia sembra manifestare: la riduzione dei contributi pubblici ai tempi di Mussolini giocò non poco nello scioglimento della Lega; di contro un intervento significativo di un Presidente Regionale ex Pci rese di fatto possibile il sopravvivere della Lega stessa.