Oltre alle pubblicazioni di molti storici, che hanno fatto conoscere al mondo le tragiche vicende sull’argomento, nonché la giornata del 10 febbraio, ufficializzata come data del ricordo, per le migliaia di vittime gettate nelle foibe, resta il fatto, che solo da pochi anni si conoscono certi particolari più oscuri. E’ proprio su questi punti che c’è bisogno di aprire le pagine della storia.
Tra le tante foibe sparse nell’altipiano carsico, e le voragini più note, Basovizza in primis, vi sono altre minori, non di minor importanza, e mai rese note ufficialmente, nemmeno nell’archivio delle grotte, che nascondono altri crimini efferati. Con questi eccidi, i comunisti specie locali in accordo coi titini, poterono risolvere la presunta “vendetta” di chi sa quali immani crimini commessi da civili, attraverso una epurazione nella zona tra Gorizia, Monfalcone e Trieste, durata mesi, sotto il silenzio degli alleati, il caos postbellico, e mancanza totale di testimoni, di giornali e tv come oggi.
Ciò dimostrerebbe come mai rimanga una profonda omertà reciproca, molto ben retribuita dalle fila comuniste italiane. Da una ricerca che avevo condotto e iniziato anni fa, sono emersi come supponevo alcuni determinanti particolari. Taluni dettagli vennero confermati da alcuni ex-partigiani, che hanno rinnegato la loro appartenenza al comunismo, e, coincidenti per numero e localizzazione, alle più piccole Foibe segnalate da De Castro. Egli infatti, nel suo libro Il problema di Trieste del 1953, citava alcune specifiche aree del carso tra goriziano e triestino ancora inesplorate. In particolare erano emersi da ulteriori ricerche condotte da gruppi speleologici e da altri amatori fuori regione Fvg, di cui si sono avuti contatti… (evento raro data l’omertà su vicende di terrore) circa nuovi ritrovamenti in località Volci, e vicino una trincea presso il San Michele, come pure in località Gabria. Dopo aver ucciso le vittime a decine, vennero fatte brillare e crollare alcune foibe profonde anche 100 metri, ostruendo difficoltosamente o per sempre il passaggio verso il fondale. Questo intorno la zona di Doberdò, cittadina dove anche lo stesso Mussolini si ferì in guerra. Questa zona come sappiamo è una terra arida, sempre teatro di scontri sanguinosi, con centinaia di migliaia di morti. Qui si scoprono nuovi crimini, sanguinosi eccidi a fine guerra peggio ancora di Porzus, eseguiti con rastrellamenti nelle varie città, ed effettuati anche dal IX corpus di Tito, nonché da altri gruppi sia comunisti, che altre bande partigiane improvvisate, dirette molto spesso dal comando jugoslavo, con i suoi intenti di “riconversione” e pulizia. E’ paradossale che, con tanta arroganza i gruppi comunisti ancora oggi, ex partigiani e filo-titini, si inneggino quali antifascisti, quando le violenze ed eccidi furono loro a farle e senza giustificazione. Essi sono sicuri ormai di rimanere impuniti nella storia, anche quando l’intero territorio del carso, è disseminato di ulteriori centinaia di foibe, più o meno grandi, che contengono almeno il doppio dei morti, ma elencati in poche migliaia. Cifre contenute, spesso esposte da tesi deliranti, da tanti presunti finti, falsi professorini catto-comunisti… che ancora predicano da tante cattedre universitarie, come è stato ordinato di raccontare. Ma la storia dovrà essere riscritta.
Se la maggior parte dei cittadini italiani non sapeva nulla, specie le nuove generazioni, lo si deve appunto all’omertà dovuta dagli stessi comunisti, rei di aver commesso atrocità, e di pagare il silenzio ai complici sloveni titini, che da 60 anni fanno silenzio, specie a nordest. Quell’episodio delle pulizie tra rossi e bianchi italiani a Porzus è solo un esempio. Ma vediamo altri particolari.
La scusa “giustificazionista” dei loro massacri, non regge, per tanto orrore a fine conflitto. Infatti tutto quello che di fascista o nazista operò ai danni di sloveni venne effettuato non barbaramente, e in periodo bellico, ripeto in periodo bellico, perciò ammissibile, e, svolto solo in parte dal generale Roatta. Non dimentichiamo certo le responsabilità degli alleati dei fascisti, come i croati Ustascia di Pavelic.
Ben altro fecero gli sloveni, una pulizia etnica sotto il comando titino, con la complicità dei comunisti italiani, una tesi incentrata sul conflitto etnico, con gli Slavi, intenti a prendersi le nostre terre.
I titini massacrarono, infoibarono, terrorizzarono, con falsa e ingiusta reazione a quanto… mai fatto dagli italiani, tutti come fascisti a danno delle popolazioni slave della Venezia Giulia.
Dopo i tragici 40 giorni dell’occupazione di Trieste, quando il 12 giugno 1945 i titini lasciarono la città, gli italiani che avevano visto migliaia di connazionali assassinati in poche settimane, avrebbero dovuto scatenarsi nella caccia allo Slavo, dare vita a veri e propri pogrom nei confronti degli sloveni presenti nel territorio di Trieste, bruciare i loro negozi, distruggere le insegne, assaltarne le case.
E invece niente di tutto questo ebbe a succedere. Non ci sono documenti sul fatto che italiani e/o fascisti avevano commesso violenze a danno degli slavi.
Nel ‘45 era solo il nascente stato comunista jugoslavo che infoibava e terrorizzava popolazioni intere. Il tutto senza più alcuna motivazione bellico-militare, perché la guerra era oramai finita da tempo. Foibe e terrore erano realizzati, da organi statuali, non per delle supposte e sterili motivazioni di vendetta, bensì per delle ragioni diverse e con obbiettivi razionali, come la pulizia etnica e l’insediamento territoriale.
E’ in tale impostazione che vengono quindi evocati a loro controdifesa, veri o presunti crimini degli Italiani. Si citano dossier falsi e improvvisati dal maresciallo Tito, (infatti mai rinvenuti in seconda copia) per contrastare le accuse nei suoi confronti, si scoprono invece campi di detenzione di sloveni e croati in Italia durante e a fine guerra, dove morirono altri 150.000 persone.
Tra queste migliaia di trucidati, compaiono tanto coloro che furono giustiziati entro pochi giorni dall’arresto e gettati nelle foibe, quanto i nomi di quelli che perirono di stenti nei campi di concentramento appositamente allestiti per i prigionieri di guerra, come Borovnica, presso Lubiana, o nelle prigioni e i campi destinati a civili. Oggi, prima ancora che la Slovenia entrasse in europa nel 2004, si cercava anche un’intesa sulla memoria storica, oltre che l’indennizzo. Mai ottenuti né l’una né l’altro.
Tutte trattative con ripetuti fallimenti, non ultime quelle inutili dell’ex ministro degli Esteri Fini. Tra le varie proposte e intenti, la dichiarazione della storica Nemec, usata come capro espiatorio nella ricerca, negli archivi segreti dell’Ozna e all’Eur. La ricercatrice fu minacciata più volte. Non ha avuto accesso a due siti fondamentali. Infatti la Nemec, fu “silurata” tre ore dopo la consegna del suo dossier a Lubiana. La rimozione fu motivata in stile KGB, ossia i suoi titoli accademici erano ritenuti insufficienti alla carica: naturalmente oggi… dopo 12 anni di servizio.
Nataša Nemec, fece anche uno studio sui deportati dal goriziano, a guerra finita, che comprendeva l’elenco di 1.048 nomi. Non ha potuto nemmeno più tornare nel suo ufficio a Salcano: è stata cambiata la serratura della porta, e là, in quelle stanze, ha lasciato tutti i documenti sui quali ha costruito il proprio lavoro di ricerca sul tema dei deportati iniziato 12 anni fa.
La Nemec raccontava che gli elenchi delle persone da prelevare erano stati compilati dall’Ozna (polizia segreta di Tito), e che aveva tra i suoi confidenti sloveni ma anche italiani.
In quegli elenchi c’erano i nomi e anche le caratteristiche somatiche e gli indirizzi precisi dei civili, da prelevare a migliaia.
La ricercatrice storica cercava l’intera seconda sezione degli archivi, che copriva il periodo tra il settembre 1944 e il primo maggio 1945. Tutto quello che riguardava il periodo successivo non c’era più, sparito nel nulla.
Dov’era finito? Quei documenti, redatti in duplice copia, una per la conservazione e una per la consultazione, sono stati distrutti o esistono ancora? E dove? A Belgrado o a Sarajevo, dove aveva sede la centrale dell’Ozna? O a Zagabria? O in qualche archivio segreto di Lubiana? Il mistero continua…
articolo apparso sul quotidiano Rinascita