E’ scomparsa Alida Valli, italiana nata a Pola

“Sono nata e morirò italiana”

Il Piccolo 23/04/06

Alida Valli, il sorriso che incantò l’Italia

CINEMA Oltre cinquant’anni di straordinaria carriera, da «Senso» di Visconti a «Berlinguer ti voglio bene» con Benigni

Si è spenta ieri a Roma l’attrice che era nata a Pola ottantacinque anni fa

ROMA Alida Valli è morta ieri mattina a Roma. Nome d’arte di Alida Maria Altenburger, l’attrice nata a Pola nel 1921 aveva esordito sullo schermo nel 1936 con il film «I due sergenti». I funerali avranno luogo domani alle 10 in Campidoglio per volontà del sindaco di Roma Walter Veltroni. Seguirà, alle 15, una commemorazione dell’attrice alla presenza di alte cariche dello Stato.

di Callisto Cosulich

Verso la metà degli anni ’60 mi capitò di svolgere un’inchiesta sulle «Dive del Ventennio». Cosa ricordavano, cosa facevano le attrici che negli anni ’30 e in tempo di guerra avevano goduto di grande popolarità? Come avevano cavalcato i nuovi tempi? Quali si erano adattate, quali invece ne avevano sofferto, alcune fino a sparire dalla circolazione? Le intervistai tutte, con tre eccezioni: Marina Berti, che non volle essere intruppata nel gruppo; Caterina Boratto, perchè la sua vera carriera era iniziata proprio alla vigilia della mia inchiesta, grazie a Fellini che l’avev arilanciata in «Otto e mezzo»; Alida Valli per mia decisione, poichè la sua popolarità nel dopoguerra non aveva subito flessioni, semmai aveva esteso i confini grazie a «Senso» e a «Il grido», nonchè a «Il terzo uomo» e ai film americani girati quand’era sotto contratto da Selznick.

Oltretutto Alida non amava rilasciare interviste. A partire dagli anni ’60 aveva smesso totalmente di darle, sebbene la sua filmografia continuasse ad arricchirsi di nuovi film importanti, con ritmo sempre più accelerato, poichè, giunta alla soglia dei quarant’anni, non disdegnava di apparire nei cameo, purchè fossero incisivi. Insomma non aveva, come tante sue colleghe, l’ossessione di rimanere giovane per l’eternità. Non a caso l’unico consistente libro che sia stato scritto su di lei è «Il romanzo di Alida Valli» (Garzanti, 1995) che Lorenzo Pellizzari e Claudio M. Valentinetti hanno scritto basandosi essenzialmente sulle testimonianze altrui. Non a caso, nei tre volumi di «Cinecittà anni Trenta», opera postuma di Francesco Savio (Bulzoni, 1979, nella collana allora diretta da Tullio Kezich), sulle

116 interviste ai protagonisti del cosiddetto secondo cinema italiano (1930-’43), manca quella di Alida Valli. Non a caso nei tre volumi di «L’avventurosa storia del cinema italiano» raccontata dai suoi protagonisti, curata da Franca Faldini e Goffredo Fofi per Feltrinelli, le testimonianze di Alida sono soltanto cinque e si fermano per l’appunto a quella rilasciata in occasione dell’uscita de «Il grido», mentre di parla molto di lei nelle testimonianze altrui.

Di fronte a un panorama così lacunoso, così in contrasto con la popolarità dell’attrice, si potrebbe concludere che Alida fosse una donna ombrosa, che amaca circondarsi di mistero, una sorta di Greta Garbo all’italiana. Invece, vi posso garantire, che era l’esatto contrario: una creatura quanto mai comunicativa, sebbene la sua vita fosse stata costellata da tanti episodi tutt’altro che lieti. Così mi è apparsa le volte, non tante, ma tutte degne di ricordo, che ho avuto l’occasione di passare qualche ora con lei, magari per incontrare altre persone: Franciolini e Zavattini nel 1953, all’epoca del film a episodi «Siamo donne»; Guglielmo Biraghi, critico del «Messaggero» e autore teatrale, e Giancarlo Zagni, regista e compagno dell’attrice negli anni ’60, alla vigilia dell’andata in scena del dramma «Il sole e la luna», che li vedeva tutti e tre impegnati.

La più bella descrizione «privata» della Valli, per così dire «in natura», l’ha forse data alberto Lattuada, ricordanod i tempi di quand’era l’aiuto di Mario Soldati sul set di «Piccolo mondo antico» (parliamo del 1941): «Una ragazza stupenda, di una bellezza incredibile; una ragazza allegra, piena di vita, piena di tutto quello che si può immaginare di più simpatico… In quel momento era fantastica, indipendente, anche nelle sue storie sentimentali. Si sentiva la sua libertà, la sua indipendenza, qualcosa che le veniva più dalla cultura austro-ungarica che da quella italiana… Una donna molto, molto simpatica, e molto compagnona: tavolate, cantante, vino.

C’era allora di moda un gioco, che si chiamava ”il capitano Papp”, per cui chi sbagliava doveva bere. Lei vinceva sempre, e faceva cadere tutti ciucchi. Dominava brillantemente la situazione, sempre». Quella di lei attrice, l’ha data la Valli stessa nella sua ultima confidenza, rilasciato al tempo del «Grido»: «Io faccio i film per due ragioni: perchè mi piace la parte e perchè credo al regista che mi dirigerà. Per il resto, più che precostituirmi un arco drammatico del personaggio, cerco di capire il più profondamente possibile l’ambiente dove la storia si svolge per essere in condizione di meglio accettare i suggerimenti del regista. Così feci anche in questo caso. Credo molto a questa preparazione che vorrei chiamare di fondo, per raggiungere qualche risultato apprezzabile, specie in un film che – per dirla con una frase cara ad Antonioni – era ”una storia ambientata” e basta…».

Rividi per l’ultima volta Alida pochi anni fa a Venezia, quando la Mostra le diede il Leone d’oro alla carriera. Alla fine della cerimonia, mi accostai a lei per congratularmi. Lei volle presentarmi a un gruppo di suoi amici, dicendo, col suo indimenticabile sorriso: «Se ciama Cosulich, el xé dei nostri». Era la prima volta che la sentii parlare in dialetto. Rimasi sorpreso, dimenticando di avere davanti a me Alida Maria Laura baronessa von Altenburger, da Pola.

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Era nata baronessa. Gli ultimi anni di carriera li ha dedicati al teatro.

«Recitare mi piace. Parlo, ma non sono io che parlo, pronuncio parole che non sono mie…»

Quell’ultimo ritorno nella sua Istria nel 1972 ma «senza passar da Pola:troppa tristezza…»

TRIESTE Quando Alida Valli annunciò il suo arrivo a Monfalcone, dieci anni fa, protagonista di una commedia di Pirandello, il piccolo teatro comunale vide lunghe code al botteghino. Tutto, assolutamente tutto, esaurito. Ma la sera, un attimo prima che il sipario si aprisse, una voce spiegò che un problema di salute costringeva la signora Valli al riposo. I suoi occhi verdeazzurri non avrebbero brillato a Monfalcone. Impossibile, in quei giorni, raggiungerla. Né al telefono né con i mazzi di fiori né con i bigliettini.

«La più grande interpretazione della Valli è la fuga…» aveva scritto qualche anno prima un critico. Schiva, riservata, Alida Valli fuggiva. Non era la paura di non essere all’altezza del suo grande passato. Voleva invece proteggersi da quel passato, continuare a essere se stessa nel presente, invecchiare, lavorare e mostrarsi ancora bella.

E quando finalmente il telefono, i mazzi di fiori, i bigliettini, sortirono l’effetto, quegli occhi verdeazzurri brillarono in un camerino di teatro, come avevano fatto cinquant’anni prima. «Io non amo fuggire, è stato davvero un male agli occhi che mi ha fatto mancare l’appuntamento a Monfalcone. Questi famosi occhi, che adesso mi danno il tormento. Lo sa che cos’è un emorragia retinica? Pensi a cosa hanno scritto su questi occhi, e a come sono malridotti, oggi».

Gli anni più recenti della propria carriera Alida Valli li aveva dedicati anche al teatro. «Recitare mi piace, proprio perché sono una persona schiva.

Parlo, ma non sono io che parlo, pronuncio parole che non sono mie».

Aldo Trionfo, Sandro Sequi, Giancarlo Cobelli, Cherif erano i registi con i quali le piaceva lavorare negli ultimi decenni. Prima era stata la musa di un giovane Patrice Chéreau, per il quale aveva interpretato Lulu, lo spirito della terra. E aveva anche recitato diretta dal triestino Tolusso. E da Antonio Calenda: nel «Dio Kurt» di Moravia, al fianco di Gigi, allora Luigi, Proietti.

«Era una persona al di fuori di ogni realtà» ricorda Calenda, attuale direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. «Il mondo reale, Alida lo sublimava. E per noi tutti, allora molto giovani, fu un punto di riferimento. In una stagione di rivendicazioni, di affermazioni, di rivelazioni, fu per noi un angelo tutelare. Ne ho un ricordo dolcissimo, molto lirico, per niente tempestoso».

«Questi occhi oggi non vedono niente – spiegava ancora l’attrice, in camerino – e allora io mi affido completamente ai registi. Attraverso loro imparo a conoscere e ad amare i personaggi, man mano che li sto provando. Il teatro è bello proprio per questo, per il periodo delle prove. È là che scopro tutto, finché arriva il momento del debutto. In quel momento, uno fa quello che crede di aver imparato, si butta, come si sei buttasse a mare, da un trampolino. Si va a nuotare insomma».

Nuotare. Il mare Alida Valli l’ha sempre amato. E per lei, Maria Alida Altenburger, nata baronessa, nata a Pola, il mare era il mare Adriatico. «In Istria ci sono tornata per l’ultima volta nel 1972, e non sono andata a Pola, mi avrebbe fatto tristezza. I bagni. Sì, fare i bagni mi è sempre piaciuto. Ma la città me la ricordo appena, l’ho lasciata che avevo sei anni. È definitivamente lontana perché… perché mi ricorda mio padre. Il ricordo di mio padre è legato a Pola più che a Como, dove ha vissuto la maggior parte della sua vita, e dove è morto ancora giovane. A Pola insegnava al ginnasio, però faceva anche il critico teatrale, e mi portava all’opera, prima a Pola, poi a Verona. Mi ci sono anche persa, un’estate».

Una di quelle estati da mille lire al mese, da assenze ingiustificate, da telefoni bianchi. Una di quelle estati che l’Italia cantava «Ma l’amore no, l’amore mio non può…» e sognava di fidanzarsi con la «fidanzata d’Italia».

Quelle estati e quel tempo che il poeta triestino Claudio Grisancich ha raccontato in un lavoro teatrale che non parla di lei, ma che a lei, sentimentalmente, è dedicato: «Alida Valli che nel ’40 iera putela».

Roberto Canziani

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401 – Agenzia Ansa 23/04/06 Alida Valli : : Il cordoglio degli Esuli Venezia-Giulia-Dalmazia

Alida Valli : Il cordoglio degli Esuli Venezia-Giulia-Dalmazia

(ANSA)

– ROMA, 23 apr – ”In una intervista di una decina di l’ultimo messaggio di Alida Valli: ‘sono nata e moriro’ italiana.

Scrivetelo sulla mia tomba”’. Ricordando queste parole,’ il presidente dell’associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Lucio Toth, esprimeil cordoglio per la scomparsa di Alida Valli degli esuli istriani,fiumani e dalmati, i quali ”si inchinano alla sua memoria e si uniscono a quanti l’hanno amata e ammirata”. ”Nata e vissuta a Pola nella giovinezza – ricorda ancora Toth – Alida, come tutti noi, viveva nel ricordo e nell’amore della terra natale, distaccata dallo stato italiano nel 1947, ma non dal cuore degli italiani.Era vicina alle nostre associazioni di esuli e ci onorava spesso della sua presenza. Alla sua famiglia e alla citta’ di Roma, che l’aveva accolta come cittadina, vanno i sentimenti di un dolore comune”.

(ANSA).