34 – Il Piccolo 27/10/04 Storia Trieste – opinioni: Medaglie e nazionalismo
Medaglie e nazionalismo
di Marco Coslovich e Anna Millo
Con sentimenti di profondo disagio, di amarezza e di inquietudine per i fondamenti stessi della nostra vita pubblica, culturale e civile insieme, i firmatari di questa nota – docenti e ricercatori storici che da decenni ormai lavorano sui temi della storia di Trieste, diversi per orientamento metodologico, ma accomunati dal rigore professionale – hanno appreso la notizia che la Presidenza della Repubblica si accinge a conferire una medaglia d’oro alla memoria dei sei concittadini caduti negli scontri di piazza del 5 e 6 novembre 1953.
Circospezione e cautela avrebbero dovuto animare coloro che hanno accolto l’improvvida iniziativa. Era infatti necessario verificare con maggiore accuratezza la reale dinamica di svolgimento – mai interamente appurata – di quella luttuose giornate e considerare con più attenzione la natura degli attori coinvolti. In primo luogo l’Allied Military Government, non truppa di occupazione insediata con la forza delle armi, ma soggetto fornito di legittimità sul piano internazionale, operante in stretto collegamento con le istituzioni e il governo di due potenze democratiche come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna; in secondo luogo le Forze di Polizia della Venezia Giulia, agli ordini del governatore dell’Amg, reclutate tra i residenti della zona A del Tlt, addette alle funzioni di mantenimento dell’ordine pubblico in un territorio allora attraversato da esplosive tensioni nazionalistiche e politiche; infine i sei morti, vittime – in qualche caso anche innocenti e inconsapevoli – di una torbida violenza, scatenata da chi voleva creare un clima incontrollabile in città.
Sulle ricostruzioni offerte prima e dopo gli avvenimenti di quei giorni permangono, a cinquant’anni di distanza, incongruenze, contraddizioni, travisamenti e omissioni, mediante i quali da parte nazionalista italiana si volle interamente far ricadere le responsabilità dell’accaduto sulle forze di polizia. Valutazioni sulla natura artificiosa dei moti di piazza e informazioni sulla presenza di squadre armate del Msi attive nel fomentare i disordini sono invece reperibili in gran quantità nelle cronache dei quotidiani locali dell’epoca. Lo stesso Diego De Castro, consigliere politico del governo italiano presso l’Amg, rivela esplicitamente nelle sue memorie che «la manifestazione era organizzata da un centro: una Balilla a quattro marce nera, che io avevo visto, portava ordini ai vari gruppi di dimostranti sparsi per la città. Divenne evidente che vi doveva essere un’organizzazione che dirigeva, regolava e guidava le manifestazioni dei dimostranti». Il ministro degli Esteri inglese, Anthony Eden, nel suo commento di fronte ai Comuni, dichiarerà che l’Amg il 3 e 4 novembre aveva respinto circa tremila persone provenienti dall’Italia che tentavano in gruppi organizzati di oltrepassare il confine per raggiungere Trieste: esso non riuscì tuttavia a impedire l’infiltrazione di elementi che poi avrebbero partecipato alle dimostrazioni.
Certamente nella folla dei triestini che manifestavano pesava un senso di frustrazione per un’attesa della definizione della «questione di Trieste» che troppo a lungo si protraeva, ma vi era anche chi nell’ombra agiva per manipolare e strumentalizzare lo stato d’animo della popolazione, fomentando e incitando alla violenza. Non ci dilungheremo sul fatto che due dei caduti, Zavadil e Bassa, furono in seguito riconosciuti estranei ai moti, incolpevoli passanti. Non citeremo neanche il fatto che il luogo in cui caddero Zavadil e Bassa risulta incompatibile con la traiettoria dei proiettili sparati dal luogo in cui doveva trovarsi la polizia (e ciò fa sorgere spontaneo il dubbio della presenza di altri sparatori tra la folla).
Un solo dato vogliamo sottolineare: due delle vittime avevano quindici anni d’età. Chi era più facilmente influenzabile di un adolescente, pieno di suo giovanile e candido entusiasmo? E infatti Leonardo Manzi fu visto durante gli scontri del pomeriggio del 6 novembre «slanciarsi contro un poliziotto del nucleo mobile, strappandogli dalle mani la bomba lacrimogena che quegli si accingeva a lanciare contro la folla. Accecato dal gas, l’agente perdette il controllo e si lasciò disarmare. Il ragazzo fu visto stendersi a terra, puntare il fucile tolto all’agente contro i poliziotti che stavano arretrando ed esplodere le sei cartucce del caricatore. Contro di lui si concentrò il fuoco della polizia». (Coraggio contro furore, «Giornale di Trieste», 7 novembre 1953). Definire, come il presidente della Lega nazionale, «piombo straniero» questa azione di legittima difesa da parte della polizia ci sembra offensivo nei confronti dei più di cinquemila triestini che tra il 1947 e il 1954 fecero parte del corpo.
La mancanza di una attendibile ricostruzione compiuta ai giorni nostri si deve al fatto che gli archivi pubblici in Italia sono consultabili per legge dopo che sono trascorsi cinquant’anni dagli avvenimenti. Un sondaggio compiuto in questi ultimi mesi ha tuttavia appurato che la documenzione conservata nel locale Archivio di Stato relativa agli avvenimenti in questione non è integra, ma presenta dei vuoti – troppo sospetti per essere casuali – proprio in corrispondenza di quelle giornate, come nel caso dei mattinali della polizia al procuratore della Repubblica.
Da parte nostra ci impegneremo a fare chiarezza con gli strumenti della nostra professione, la filologia, la precisione, lo scrupolo nella ricerca della verità, valori desueti al giorno d’oggi, a quanto pare, ma in cui, nonostante tutto, ci ostiniamo a credere. Dispiace che in questa dubbia operazione sia stato coinvolto il Quirinale, con la copertura di deputati e di forze politiche di sinistra, ai quali dovrebbe stare a cuore la salvaguardia della verità e il sommo bene della convivenza dei cittadini nella pace e nella legalità. Si è voluto invece, sulle base di ragioni che non comprendiamo, strumentalizzare la verità e i morti per legittimare nazionalismo neofascista e violenza. L’Italia democratica, che anche noi amiamo, era però nata dal rifiuto di entrambi.