PRESENTATO A TRIESTE IL LIBRO DI AUTORI SLOVENI SUI MASSACRI DEL 1945

Una lunga marcia della morte
Pagine di storia raccontate solo dopo 60 anni di silenzio

TRIESTE – Quante pagine di storia ancora ignoriamo perché mai scritte e raccontate? E quante di queste, seppur conosciute, vengono taciute per politiche d’opportunità? Può un eccidio di migliaia di persone attraversare ben 60 anni di colpevole silenzio storiografico per attendere di venire rivelato dal preciso benché amatoriale impegno di ricerca di una semplice associazione civile di volontari?

La storia solitamente la scrivono i vincitori che determinano il discrimine tra vittime e perseguitati. Ma a tanti decenni di distanza, così come il giornalista Giampaolo Pansa ha fatto per le esecuzioni dei fascisti o presunti tali del 1945 nell’Alta Italia, altre testimonianze si fanno strada. Spesso, nel corso della guerra e, purtroppo, negli anni successivi, le vendette incrociate sono state la regola, vittime e carnefici si sono scambiati i ruoli dipendentemente dalla sovranità sui territori e dalla politica, anche internazionale, del momento.

Ecco che 35.000 persone – domobrani, collaborazionisti e famiglie al seguito – assassinate in Slovenia nel ‘45 nei modi più truci ed efferati (anche a mannaiate o con coltelli e maceti) dai partigiani titini, trovano ora testimonianza storica e un momento di pietà.

Erano colonne di sbandati e sconfitti in marcia verso le postazioni degli Alleati che venivano riconsegnati, dopo il tentativo di riparare in Austria, agli stessi partigiani. Solo ora, nel 2005, ritrovano la dignità del riconoscimento di un martirio subito pur senza poter ricevere una degna sepoltura – visto che impossibile sarebbe dare identità a resti umani rinvenuti nelle centinaia di fosse comuni disseminate in tutta la Slovenia.

“Slovenia 1941-1948-1952. Anche noi siamo morti per la Patria – Tudi mi smo umrli za domovino” è il lavoro documentato, ora tradotto anche in italiano (mentre inizia anche la traduzione in lingua inglese) di quanto è emerso dalle indagini e dalle testimonianze raccolte dall’Associazione slovena per la Sistemazione dei Sepolcri tenuti nascosti durante il lavoro di mappatura dei “luoghi celati” dove trovarono orribile morte non solo ufficiali e sottoufficiali (presumibili prigionieri di guerra), ma anche famiglie intere di civili bollate come anticomuniste e, quindi, “traditori da liquidare”.

Agghiaccianti i pochi passi letti e commentati da Fausto Biloslavo che, in una gremita sala della Lega Nazionale d’Istria Fiume Dalmazia di Trieste, ha presentato la traduzione italiana del libro succitato alla presenza di due dei quattro autori del volume, e di Guido Deconi, promotore della traduzione italiana e della pubblicazione dell’opera.

La pulizia etnica – è stato detto durante la serata – di ispirazione ideologico-politica venne annunciata nel febbraio del ’43 (“…chi non dimostrerà interesse per il comunismo, verrà eliminato”) per raggiungere l’apice della ferocia nel maggio di due anni dopo: i prigionieri (soldati o civili che fossero, di svariate nazionalità) venivano, dopo la cattura, prima costretti spesso a insensati pellegrinaggi – i cosiddetti “percorsi della morte” – da un campo di prigionia all’altro, per poi, dopo aver vanamente sperato nella salvezza, finire uccisi nel più barbaro dei modi.

Ai prigionieri tedeschi era riservato il compito di raccogliere nei boschi le membra delle vittime massacrate per poi finire comunque uccisi o buttati nelle fosse comuni loro stessi.

Tanti i documenti, le foto e le testimonianze raccolte nel libro con lo scopo di dare almeno il riconoscimento del ricordo a quella che fino al 1989 veniva sotto voce chiamata la “generazione scomparsa”, ma di cui non era consentito parlare: troviamo così segnate su una mappa artigianale decine di fosse comuni risalenti al periodo della guerra (‘41-‘45), moltissime foibe e numerosissime fosse utilizzate nel primo dopoguerra, dal 1.mo maggio del ’45 in poi, fino, sembrerebbe, alla fine del ’49, anno in cui veniva varata la Costituzione jugoslava.

L’invito conclusivo del padrone di casa, l’avv. Paolo Sardos Albertini, in qualità di Presidente del Comitato per le Onoranze agli Infoibati a Basovizza, a condividere con i cittadini d’oltreconfine le commemorazioni delle vittime italiane e slovene di una stessa strategia, quella del regime, sembra voler auspicare al recupero di una memoria a lungo e da più parti negata verso il riconoscimento della verità.

Emilia Marino