Vincitori e vinti: alcune conclusioni a margine del convegno

Osimo trent'anni dopo – VINCITORI E VINTI

Alcune riflessioni conclusive del Presidente della Lega Nazionale Paolo Sardos Albertini

Nel presentare le iniziative della Lega Nazionale e dell’Unione degli Istriani, per il trentennale di Osimo, avevamo formulato alcune domande. Ci eravamo chiesti: quale il senso di un Trattato in cui una delle parti (l’Italia) fa unicamente delle concessioni e l’altra (la Jugoslavia) porta a casa solo ed esclusivamente di benefici? E’ possibile dare un senso almeno parzialmente logico ad un atto che altrimenti meriterebbe di figurare nel Guiness dei primati, categoria dell’assurdo?

A conclusione del Convegno, dopo le testimonianze dei protagonisti, dopo le relazioni dei giuristi, ma soprattutto dopo le analisi degli storici è ora possibile tratteggiare delle risposte, forse non definitive, certo molto illuminanti.

Una prima conclusione (ed era già implicita nel taglio del Convegno): la vicenda Osimo deve trovare una analisi, una spiegazione avendo riguardo a tre diversi piani, quello locale, quello nazionale e quello internazionale.

La relazione de Leonardis ci ha chiaramente illustrato il contesto della politica internazionale nel quale il Trattato di Osimo è maturato, ci ha reso di oggettiva evidenza il ruolo degli Stati Uniti e la loro volontà , con quel Trattato, di andare a puntellare il futuro della Jugoslavia del Maresciallo Tito. In buona sostanza si trattava di regalare al dittatore di Belgrado questo successo di politica estera che compensasse una situazione interna critica e traballante.

Poi la relazione del dr. Cavera. Ha messo in evidenza le ragioni di politica interna che hanno quanto meno favorito il dire di sì alle pressioni USA. Ci troviamo infatti in piena incubazione del “compromesso storico”. Democristiani e Comunisti stanno tessendo il nuovo governo di unità nazionale che li dovrebbe vedere alleati, come ai tempi del Cln. Belinguer, reduce da Brioni, è sicuramente interprete dei desiderata di Tito, nel mentre in casa Dc gioca non poco l’occhio di attenzione con cui si guarda al comunismo jugoslavo, mitizzato quasi una sorta di “terza via” (oltre naturalmente al piacere, di sempre, di dire di sì agli Usa)

Infine, nella mirabile relazione di Roberto Spazzali, il ruolo forse marginale (ma forse anche no) svolto dalla politica locale.

Da decenni era monopolizzata dai cosiddetti “morotei”. La loro convinzione (anche esplicitata ) era che a Trieste si dovesse chiuderla una volta per tutte con la “questione istriana”; era condizione essenziale, a loro giudizio, per evitare che il continuare a parlare, nella città di San Giusto, di questo argomento continuasse ad alimentare il ruolo della destra triestina. Osimo, per costoro, era lo strumento per mettere la pietra tombale su ogni futuro discorso sull’Istria.

Un trattatato, dunque, non assurdo, bensì frutto di tre diverse motivazioni, di tre diversi disegni politici: puntellare la Jugoslavia, favorire il”compromesso storico”, cancellare dalla politica triestina la “questione Istria” per spostarne l’asse a sinistra.

Ciò chiarito, diventa allora possibile formulare una domanda e tentare una risposta.

La domanda: il Trattato di Osimo ha raggiunte le finalità che i suoi registi si proponevano?

La risposta è inequivocabile.

Si voleva puntellare la Jugoslavia del comunismo titoista? Al maresciallo di Belgrado ha pensato il Padreterno, ma è stata la Storia a cancella il suo comunismo nel fallimento colossale dell’89, nel mente la sua Jugoslavia è tragicamente naufragata nel disfacimento del ’91 e nella successiva mattanza balcanica.

Si voleva cooperare all’edificazione del “compromesso storico” a Roma? C’è stato prima Bettino Craxi a bloccare il disegno (e la Brigate Rosse a togliere dalla scena il protagonista Aldo Moro), poi anche sull’Italia sono arrivati gli effetti della sconfitta dell’URSS, lo scenario politico è del tutto cambiato e quel vecchio disegno di intesa Dc – Pci è finito nell’archivio delle velleità mancate della politica.

Ed il disegno dei Morotei triestini? Volevano che di Istria non si parlasse più ed invece è a tutti manifesto che tale tema ha continuato ad occupare l’interesse della pubblica opinione, le pagine dei giornali, le parole dei politici. E’ di macroscopica evidenza il fatto che negli anni, nei decenni dopo Osimo si sia parlato di Istria ben più di quanto fosse accaduto in precedenza.

Volevano, con questo Trattato, garantirsi su un quadro politico locale che li vedesse continuare a fare il bello ed il brutto tempo senza disturbi di tendenze destrorse? Ne è derivato invece che la scena politica triestina è stata terremotata, con risultati esattamente inversi a quelli che potevano essere auspicati dai Belci o dai Botteri. Prima la nascita della Lista per Trieste, poi addirittura la loro scomparsa politica e comunque una evoluzione tale che la città di San Giusto risulta sicuramente offrire una quadro politico spostato a destra, ben più oggi di quanto lo fosse trent’anni o sono.

Risulta dunque possibile tratteggiare un bilancio di Osimo: un fallimento colossale, una vera e propria debacle per tutti coloro che quel Trattato lo avevano voluto e sostenuto.

Un fallimento per gli Osimanti internazionali (i sostenitori della Jugoslavia), un fallimento per gli Osimanti nazionali (i sostenitori del compromesso storico), un fallimento per gli Osimanti locali (la componente morotea nelle sue diverse collocazioni partitiche).

Se, per chi lo aveva sostenuto, quel Trattato deve essere oggi abbinato a tre diverse clamorose sconfitte, per noi – che di certo non apparteniamo alla categoria degli Osimanti – c’è invece un motivo di conforto: alla faccia della Jugoslavia, alla faccio dei Moro-Berlinguer, alla faccia dei morotei di Palazzo Diana l’Istria ( e Fiume e la Dalmazia) non sono state cancellate dall’agenda della politica, non sono state relegate in un futuro sempre più sfumato e lontano, ma appartengono ancora al presente e – ne sono personalmente più che certo –continueranno ad appartenere anche al nostro futuro. Perché lo esige la Verità, lo reclama la Giustizia

Paolo Sardos Albertini