Le dure verità

di Giampaolo Valdevit, a commento dell’intervista a Gino Paoli
Il Piccolo 22 dicembre 2005

Ha del tutto ragione Gino Paoli nell’attribuire alla sinistra, ovvero al Pci e ai suoi eredi, la responsabilità politica e morale per la vicenda delle foibe. Un discorso così schietto non l’ho sentito mai fare, soprattutto da parte di chi, come Gino Paoli, dice di essere stato di sinistra e di voler continuare a essere di sinistra. Sia pur osservando la vicenda da un’angolatura particolare, cioè la storia della sua famiglia monfalconese, è da riconoscere che egli ha colto perfettamente nel segno.

Le tragedie che si sono abbattute sulle nostre terre nel settembre 1943 e, più marcatamente, nel maggio 1945, portano infatti il marchio del comunismo: di quello jugoslavo e sloveno in particolare, dominato dalla pura e semplice volontà di conquista territoriale alla luce del principio: arraffiamo tutto quello che si può (Churchill l’aveva definita a caldo proprio in tal modo, land grabbing). Su ciò troneggiava comunque la stella rossa, fatto che permise ai comunisti italiani del nord-est di dimenticare Togliatti e di passare armi e bagagli dalla parte di Tito.

Quanto al leader del Pci, egli se ne ebbe un po’ a male ma non tanto: realista e cinico qual era, sapeva benissimo di non essere in grado di controllare i comunisti italiani di queste parti, per cui fece buon viso a cattivo gioco.
Da Stalin cercò anche di ottenere un intervento risolutivo, ma questi badava alla sostanza dei fatti e Tito lo rassicurava asserendo di avere il controllo del territorio.
A Stalin questo bastava per dirgli: vai pure avanti. Si è anche raccontato a lungo che Togliatti riconobbe l’italianità di Trieste, ma si è dimenticato di aggiungere che fu un riconoscimento platonico, cui non fece seguito niente di concreto.
In definitiva la storia delle foibe è un capitolo della storia del comunismo, di quello sloveno come di quello italiano, come del resto dimostrano i paralleli atti di violenza che si manifestarono pressoché in tutta l’Europa Orientale al momento della conquista del potere comunista.

Per inciso, in termini comparativi qui la violenza fu più aspra (cioè fece più morti) a dimostrazione del fatto che fra i comunisti dell’Europa Orientale Tito amò distinguersi per estremismo, cosa che, a un certo punto dette fastidio persino a Stalin, che nel 1948 non potè fare a meno di scomunicarlo. Da uomo di sinistra, come si è definito, Gino Paoli ha invitato la sinistra a un’assunzione di responsabilità. Al pari del suo giudizio sulla vicenda delle foibe, anche l’appello è del tutto condivisibile; ma temo che stenterà a essere accolto.
Perché? Per il motivo che gli eredi del Pci hanno già una loro verità ufficiale sui fatti accuratamente riverniciata e, com’è noto, le verità ufficiali sono dure a morire.

Al riguardo più di uno, a Trieste e non solo qui, ha riconosciuto loro il merito di avere aperto pagine che erano rimaste chiuse nel loro libro di storia, cioè di avere riconosciuto la tragedia dell’esodo e i silenzi della dirigenza comunista di allora, nonché il valore dell’amor di patria, a lungo esso pure ignorato quando non bollato in termini negativi.
Ma in questa revisione del passato si sono fermati a metà strada e non c’è segno alcuno che intendano andare avanti. Cos’hanno fatto dunque gli eredi del Pci circa il nostro passato? Hanno detto: il passato altrui (l’esodo, il trattato di pace punitivo, la passione nazionale) appartiene anche a noi tant’è che hanno sostenuto in pompa magna la celebrazione della Giornata della memoria l’11 febbraio e nell’ottobre dello scorso anno hanno salutato, a braccetto con Alleanza nazionale, l’anniversario del ritorno dell’Italia a Trieste come trionfo della passione e dell’orgoglio nazionale, santificando inoltre i morti del novembre 1953.

Giampaolo Valdevit