L'esodo fu pulizia etnica perpetrata ai danni del popolo istriano anche attraverso lo strumento della persecuzione religiosa e don Bonifacio ne è un esempio emblematico.
La storia del giovane curato di Villa Gardossi, in Istria, che i titini massacrarono di botte e poi fecero sparire in una foiba.
Don Francesco, la sera dell’11 settembre 1946, tornava verso casa percorrendo un sentiero in salita. Nel pomeriggio, in una frazione della zona, aveva ordinato la legna per scaldare il focolare domestico durante i rigori dell’inverno. Più tardi era salito a Grisignana per trovare conforto nell’amicizia che lo legava a un confratello, monsignor Luigi Rocco, e per ricevere l’assoluzione. Sulla via del ritorno il sacerdote venne fermato da due uomini della guardia popolare. Un contadino che era nei campi si avvicinò ai sicari e chiese loro di lasciar andare il suo prete, ma fu allontanato brutalmente e minacciato perché non dicesse nulla di ciò che aveva visto. Poco dopo le guardie sparirono nel bosco. Il sacerdote fu spogliato e deriso, ma egli, a bassa voce, cominciò a pregare. Si rivolse al Signore e chiese perdono anche per i suoi aggressori. Accecati dalla rabbia, i due cominciarono a colpirlo con pugni e calci: don Francesco si accasciò tenendo il viso tra le mani, ma non smise di mormorare le sue invocazioni. I suoi carnefici tentarono di zittirlo scagliandogli una grossa pietra in volto, ma il curato, con un filo di voce, pregava ancora. Altre pietre lo finirono. Da allora non si seppe più nulla di lui. Il suo corpo, dopo l’atroce esecuzione, scomparve. Quasi certamente fu gettato in una foiba.
Don Francesco Bonifacio fu ucciso a trentaquattro anni, ma rimase nel cuore e nella memoria di chi ebbe la fortuna di incontrarlo.
(tratto da "Foibe: 60 anni di silenzi")
La figura di don Francesco Bonifacio, il suo martirio ad opera del Comunismo, costituiscono un simbolo importante di tutta la tragica vicenda di Foibe e di Esodo e stanno a confermare come lo strumento della persecuzione religiosa abbia svolto un ruolo rilevante nella "politica del terrore" realizzata dal regime jugoslavo.
La prima notizia della uccisione di don Francesco risale al 21 settembre 1946 ed è vergata dal Vescovo Mons. Antonio Santin: "Fino ad oggi nulla si sa di lui. Le autorità (quelle degli occupanti jugoslavi) fingono di ignorare ogni cosa. La popolazione dice che è stato ucciso". Secondo alcune testimonianze il suo corpo, mai ritrovato, sarebbe stato gettato nella foiba di Grisignana.
Era stato mons. Santin ad iniziare, ancora nel 1957, il processo di beatificazione di don Bonifacio, come martire della Fede. Sembra che finalmente, nonostante le diverse resistenze politiche, l'iter della causa stia concludendosi. Sarà un segno importante, per tutto il mondo giuliano dalmata, il riconoscimento del martirio di questo giovane sacerdote (era nato a Pirano nel 1912) che aveva dedicato tutto il suo fervore apostolico alla sua missione sacerdotale e, specialmente, al lavoro con i giovani. E che proprio per queste ragioni venne martirizzato dal comunisti jugoslavi del maresciallo Tito.
Ben venga se anche sui muri di altre città italiane comparirà il nome di "don Francesco Bonifacio, sacerdote istriano e martire per la fede". Ben venga se da qualsiasi muro di qualsiasi città italiana scomparirà il nome del responsabile del suo martirio, il maresciallo Tito, detto l'Infoibatore.