Il nostro dramma dimenticato
RIMINI – Per loro, gli almeno 1200 profughi che si ritrovarono per caso o Scelsero la Romagna per ricominciare da zero, la pulizia etnica, le foibe, l'esodo dalla propria terra non sono soltanto uno sceneggiato visto in televisione.Dopo sessanta anni di oblio oggi si celebra per la prima volta la "Giornata del Ricordo dei martiri delle foibe e degli esuli istriani, giuliani e dalmati".
Un risarcimento alla memoria delle migliaia di persone trucidate sul confine orientale per aver scelto di essere italiane e di altri 350mila connazionali costretti all'esilio dalle terre natie di Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla repressione dei partigiani comunisti del maresciallo Tito e alla pulizia etnica. Lo scopo è restituire dignità a una tragedia dimenticata e alle storie personali e familiari di gente che però di dignità ne ha da vendere.
E sembra stupirsi dell'improvviso interesse, dopo la lunga e dolorosa dimenticanza. "E' passato troppo tempo -racconta Sergia Fumis Bondi, cacciata da Pola e rifugiatasi con il padre a Santarcangelo dopo una serie di peripezie – eppure è sempre una spina nel cuore". Era solo una bambina dagli occhi sgranati, di quelle che ora si vedono anche in televisione, nei filmati d'epoca, stipati su navi della speranza. "Non ci hanno ascoltati per tanti anni e adesso all'improvviso ci scoprono interessanti?", si domanda, amareggiata, Luciana Ricci, insegnante in pensione.
Donne cresciute e vissute a Rimini i cui racconti familiari iniziavano sempre così, tra l'indifferenza altrui: "Quando noi siamo scappati.". "Delle foibe non sapevamo molto neppure noi, sentivamo dire in casa che era sparito qualcuno…" "Ma io – racconta la signora Luciana – non mi considero testimone di niente. Avevo tre anni quando, grazie a mio padre che faceva il ferroviere, abbiamo avuto il 'privilegio' di scappare su un vagone merci. Mia madre lo aveva trasformato in un camper. Incrociavamo treni pieni di prigionieri. A Rimini, all'inizio, eravamo in tanti. Ci si cercava. C'era un ufficio per i profughi vicino a Sant'Agostino. Molti partivano. Una famiglia ci vendette, prima di emigrare in Venezuela, gli addobbi per l'albero di Natale che avevano portato con loro. Si diceva: al borgo c'è una famiglia di Pola, là una di Fiume, là una di Zara. Poi i contatti si sono allentati, dovevamo pensare a sopravvivere, a farci largo nella vita. Del nostro dramma, delle foibe, anche quando ci si incontrava non se ne parlava mai. L'argomento rimaneva in sospeso. Gli altri? Ma la gente si è mai interessata a noi? C'è stato mai qualcuno interessato ad approfondire le ragioni di quello che è accaduto?". Hanno finito per conservare nei loro album quella pagina strappata dai libri di storia.Non rinunciano alla discrezione ora solo perchè c'è una platea pronta ad ascoltare. Le storie più intime, con protagonisti dai nomi strani, rimangono tutte loro. Come quella del capitano di lungo corso arrestato per aver issato il tricolore ed evaso per ritrovarsi, con gli altri, a Rimini. "Per tutti ero la straniera – ricorda la signora Fumis Bondi – la mentalità romagnola allora non era così aperta. Dovevamo ricominciare da zero. A mangiare su un baule, quando prima avevamo la cameriera in casa. Nella mia Pola, che non è più quella dei miei ricordi, sono tornata una volta sola, per rivedere la casa. Aveva ancora lo stesso vetro rotto a una finestra". Luciana torna spesso a Fiume. "Ho ritrovato la mia casa senza che nessuno me la indicasse. Ho chiesto di poter entrare, ma la famiglia croata che vi abita non mi ha capito. Ora ci passo davanti e basta". Un'altra cosa che hanno avuto in comune, finora, è stata l'umiliazione al momento di dover fare un documento. "Nata a Pola? Allora è jugoslava". "Giravo con la legge in tasca, fa rabbia vedere la gente negli uffici che non sa, dover spiegare ogni volta che non sono nata in Serbia. "Fiume?, il computer mi dice: Italia, c'è qualcosa che non torna – mi sono sentita rispondere non più tardi di pochi giorni fa", racconta Luciana. Troppi giovani sono cresciuti senza conoscere nulla di tutto questo e dell'altra faccia dell'esodo: le foibe. Oggi, 10 febbraio, è tempo di ricordare.
Andrea Rossini
Corriere di Romagna 11/2/2005