La regione Giulia: duemila anni di storia

Sono un istriano, papà di Parenzo, e mamma di Capodistria.
Venezia GiuliaLa mia terra, l’Istria la ho nel cuore da sempre, e da istriano mi permetto raccontarvi gli avvenimenti che si sono verificati, a nostro danno, verso la fine della II guerra mondiale

La regione Giulia si chiude con il gruppo di isole e isolette dette dalmatiche, di Cherso e Lussino, che si protende verso la Dalmazia attraversato il golfo del Quarnaro, ove mirabili città, create dalla popolazione romana prima, bizantina e veneta poi si affacciano sulla costa, dando al mare adriatico le caratteristiche di un lago interno delimitato ad est dalle catene montuose delle Alpi Giulie, dalle Alpi Dinariche e dai Velebit, ed a Ovest dalla costa peninsulare sovrastata dagli Apennini.

Le Alpi ed i Velebit preservarono il territorio, fino al VII e VIII secolo D.C. dagli orrori delle indesiderate scorrerie di barbari, goti, unni, visigoti, avari, ed in fine slavi. Città magnifiche testimoniarono e testimoniano ancora oggi, la presenza delle genti latine, vi si sviluppò l’uso di una lingua il dalmatico, simile alla lingua di Dante, sostituito poi dalla lingua della Serenissima: il Veneto. Sulla costa orientale dell’adriatico città quali Ragusa, Zara, Spalato, patria dell’imperatore Diocleziano, Traù, Sebenico, Cattaro, Fiume, Pola, Parenzo, Capodistria. Dunque le popolazioni dell’adriatico orientale stavano sviluppando una vita pacifica, attivando scambi commerciali, e continui contatti tra le due sponde, con le barchette di allora, che solcavano l’amarissimo, portavano vino, lana, olive, anfore piene di ogni ben di Dio. Ma una minaccia si andava palesando ai confini, le scorribande dei barbari di tutti i tipi, che superato il vallo danubiano cavalcavano verso il bel Paese e il mare, determinando la caduta dell’Impero romano d’Occidente e solo più tardi quello d’Oriente, l’impero Bizantino, che tanta influenza ebbe sullo sviluppo della civiltà in Adriatico. Ma le popolazioni della costa nord occidentale, per sfuggire ai barbari assassini si rifugiarono nella laguna e fondarono Venezia. Infatti dai primi insediamenti di Metamauco, di Torcello e di Rialto sorse Venezia che aumentò man mano la sua potenza ed influenza.

Intanto diversi regnanti barbari si susseguirono e prevalsero sovrapponendosi ai resti dell’Impero romano fino all’arrivo dei franchi guidati dalla dinastia carolingia e di cui in particolare Carlo Magno, Re dei Franchi fu incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero nell”800. All’Impero spettava anche il controllo delle terre circumadriatiche e in particolare, compresa la penisola Istriana, ove un certo Duca Giovanni aveva cominciato ad intrallazzare per arrichirsi, con certi predoni barbari, che allora, siamo nell’ottocento dopo Cristo, a seguito degli avari, provenendo dal Caucaso, cercavano di infiltrarsi verso il mare e le città romane depredando e uccidendo. Erano i primi slavi che si affacciavano sul territorio istriano.

Ma la popolazione si ribellò al signorotto feudale e invocò l’intervento di Carlo Magno, che emise un “PLACITO”, un editto nel 804,: che viene ricordato come il “Placito del Risano“. In base al quale gli slavi, penetrando nei territori dell’Impero, avevano la possibilità di stabilirsi solamente in “deserta loca” cioè in luoghi deserti e non abitati in modo da non dare fastidio alla popolazione autoctona residente altrimenti sarebbero stati combattuti e cacciati. In Dalmazia, questi predoni slavi, avevano già un secolo prima fatto irruzione e distrutto alcune città della costa dalmata tutto bruciando, e assassinando la popolazione civile, radendo al suolo ogni cosa. La popolazione si salvò nelle Mura di altre città della costa, lasciando l’interno in balia dei barbari che vi si insediarono. Fu così distrutta Salona e Nardona.

Intanto la potente flotta della Serenissima Repubblica di Venezia arrivò ad influenzare le Città tutte della costa, che proprio per la difesa delle città stesse e dei loro traffici marittimi, dai pirati saraceni e narentani che infestavano l’Adriatico, ad iniziare da Capodistria dal 932 d.c. si legarono ad essa. Fedelissime rimasero alla Serenissima Repubblica che, dando continuità alla civiltà di Roma e di Bisanzio, le difese dalle incursioni dei pirati. Intanto gli innumerevoli architetti ed artisti di queste contribuirono allo sviluppo dell’arte, e del Rinascimento italiano . In particolare, l’arte musiva sviluppatasi sotto l’esarcato di Ravenna trionfava a S. Apollinare in Classe, (Ravenna) come a Venezia ed a Parenzo, ove, la magnifica basilica Eufrasiana testimonia il continuo interscambio tra le due sponde.

Venezia, divenuta potenza marittima, controllava l’Adriatico con la sua potente flotta che teneva lontani dalle città della costa i barbari, i pirati saraceni, e i turchi. Nel 1571, essa realizzò un gruppo di cinque imbarcazioni potentissime in Arsenale, che magari voi avete visitato: le Galeazze, munite da una potenza di fuoco a 360 gradi, incredibile per l’epoca, che fu determinante nella sconfitta della flotta turca a Lepanto.

L’Istria invece, città per città, in barba al Sacro Romano Impero si affidò a Venezia con cui si legò, a doppio filo con le “promissio” di cui, alla Biblioteca Marciana a Venezia, vi è tutta la documentazione originale della prima, del ‘932 D.C. con Capodistria. Così a ruota seguirono tutte le città istriane compreso le isole dalmatiche. La potente flotta Veneziana controllava tutta la navigazione in adriatico, liberato dai pirati slavi, e Narentani ottenendo anche che tutte le città dalmate si prometessero a Venezia. Così il Doge ORSEOLO II nell’anno 1.000 divenne “dux veneticorum e dalmaticorum.” A Venezia esiste una Scuola, la Scuola Dalmata dei Santi Giuorgio e Grifone che è una testimonianza incancellabile di tutta questa magnifica storia nostra. Intanto Venezia, unico vero stato italiano, sviluppò la sua presenza e potenza in Europa dominando i traffici con l’oriente fino alla scoperta dell’America, che ne determinò l’inizio del suo declino. Tralasciamo i vari avvenimenti del periodo dell’Evo medio, ricordando solo le innumerevoli invasioni e le terribili pestilenzie che minarono la crescita demografica delle nostre terre, e determinando l’accoglimento di un maggior numero di popolazione slava nel territorio, in sostituzione di quella decimata dalla peste bubbonica, affinché continuasse per conto della Serenissima, a coltivare la terra, la vite e il grano ed avesse cura degli armenti.

Saltiamo per forza maggiore alcuni secoli e arriviamo ora all’epoca Napoleonica. Conquistata l’Italia e sconfitto gli austriaci, Napoleone si occupò della sistemazione politica del territorio e resosi conto della omogeneità delle genti che vi abitavano, fondò la Repubblica Cispadana, chiamata poi Cisalpina e successivamente Regno Italico affidandolo a suo figliastro Eugenio de Beauharnais.

Capitale era Milano e la bandiera era il tricolore, verde, bianco e rosso, ed il suo territorio si estendeva a tutta la Venezia Giulia e alla Dalmazia fino a Ragusa di Dalmazia.
Napoleone fu poi sconfitto dagli Austriaci e dovette col trattato di Vienna cedere tutte le nostre terre all’Austria che la occupò con grande disperazione dei serenissimi abitanti veneti, che già nel 1797, con la resa della Serenissima a Napoleone, avevano manifestato l’attaccamento affettuoso a Venezia con l’indimenticabile episodio del il principe dalmata, di Cattaro, principe de Viscovich che a Perasto, vicino a Cattaro, sotterò sotto l’altare la bandiera col leone d’oro, promettendosi per sempre a Venezia con la celebre frase “Ti con Nu, Nu con TI” .
Ma forti sentimenti verso la realizzazione di una Patria unica in un unico territorio, promossero le guerre d’indipendenza che vennero dichiarate dai Savoia nel tentativo di unificare l’Italia. E venne la battaglia di Custoza e la battaglia navale di Lissa, entrambi perse dalle forze sabaude. Si progredì comunque nel disegno di unificazione liberando il veneto, ad eccezione della Venezia Tridentina e della Venezia Giulia. Gli austriaci compresero che l’Italia aspirava ad essere nazione e ad estendere il suo territorio fin dove abitava popolazione italiana. Ciò non coincideva con gli interessi di Vienna che mirava a conservare il possesso del territorio della Venezia Tridentina e Giulia, e che preferì favorire la variegata presenza multietnica slava, sobillandola contro i potenziali traditori dell’Impero, gli italiani timorosa del senso di identità ed appartenenza all’Italia della popolazione delle due Regioni Venete. Perciò ostacolarono in tutti i modi gli autoctoni istro-veneti e dalmato-veneti contrastando la formazione delle amministrazioni italofone dei comuni della Dalmazia, facendo prevalere, ove possibile le amministrazioni croate, chiudendo, le scuole italiane e abolendo la lingua italiana quale lingua ufficiale del Regno di Dalmazia (1912) e cercando di creare sentimenti avversi alla popolazione italiana, specialmente nelle città. Sobillò la popolazione slava contro gli italiani considerati poco affidabili. Praticò anche ogni forma di discriminazione verso gli italiani chiamati “regnicoli” che altro non erano che italiani dell’altra sponda residenti da decine di anni, in Istria o in Dalmazia, in buona parte veneti sposati con cittadine italo-austriache, molti fra costoro, pescatori di Chioggia e della costa, o veneti contadini dell’interno, non concedendo mai loro la cittadinanza austriaca, detta “PERTINENZA” per non accrescere, in percentuale. i votanti di sentimenti italiani.
A Trieste come in Istria, a Fiume come a Pola venivano inviati funzionari statali slavi dall’interno dell’Impero, per modificare le statistiche demografiche e i censimenti, mentre i sacerdoti slavi erano indotti a slavizzare i cognomi dei residenti autoctoni italiani.
A Zagabria, nel 1854 venne appoggiato l’illirismo del croato Ludevit Gaj, che propagandava la teoria farneticante in basa alla quale i mitici illiri, abitavano le terre circumadriatiche, prima dell’arrivo dei romani. Costui pedina del movimento politico dell’oltranzismo panslavo, sosteneva tale favola, dunque, secondo la Sua teoria, i croati avevano il diritto di prevalere e comandare nelle amministrazioni di tutta l’area e su quella del litorale, che, secondo loro era slavo, fino all’Isonzo o meglio al Tagliamento e Venezia stessa, secondo costoro, era opera degli slavi. Di conseguenza le opere della architettura realizzate da artisti istriani o dalmati erano opera dell’ingegno Slavo. L’Austria fu dunque levatrice della rivalità e dell’Odio verso tutto ciò che era italiano.

IV GUERRA D’INDIPENDENZA : I GUERRA MONDIALE
All’inizio della guerra di redenzione del 1915-918, tutti gli italiani, tranne i cittadini austriaci che furono arruolati gli altri, compreso i “regnicoli”, furono deportati in campi di detenzione ove molti vi morirono di fame, di sete, di tifo petecchiale o di denutrizione e subirono, dai secondini slavi, ogni tipo di angheria, mentre le truppe formate da uomini provenienti dall’Istria, da Fiume, dalla Dalmazia e da Trieste una volta arruolate per combattere una guerra non loro, venivano mandate sul fronte Russo, in Galizia. Tali truppe soprannominati battaglioni “demoghela” passavano il fronte, si arrendevano ai Russi per venir poi rinviati in italia, e combattere con l’esercito italiano.
Molti giuliani e dalmati volontari irredenti si sacrificarono e catturati furono impiccati, come Cesare Battisti, Nazario Sauro e come altri innumerevoli eroi della guerra di redenzione dell’Istria e della Dalmazia.

Sconfitta l’Austria-Ungheria, l’Italia finalmente fu riunificata ma i firmatari del patto di Londra, condizionati da Wilson, preferirono limitare l’espansione e l’affermarsi dell’Italia quale Potenza, e le negarono la costa Dalmata, così come prevista dai patt di Londra, lasciandoci solo l’enclave italiana di Zara, l’Isola di Lagosta e quella di Pelagosa. Questa riduzione degli obiettivi della guerra fu definita Vittoria Mutilata e determinò il primo esodo degli italiani di Dalmazia, essi preferirono stabilirsi nella penisola o a Zara. Solo nel 1924 poi Fiume fu accolta finalmente nel Regno d’Italia dopo la memorabile impresa di d’Annunzio.
La vittoria comportò l’inclusione nel Regno di popolazione slava e di popolazione di lingua tedesca in alto Adige. Mi riferisco alla valle dell’Isonzo, del Vipacco e di alcune aree del Carso triestino popolate da sloveni, mentre nell’Interno dell’Istria, in alcune aree era prevalente la presenza di popolazioni croate, specialmente dedite all’agricoltura, e alla pastorizia, ma l’Istria tutta era a maggioranza italiana e il bel dialetto istro-veneto era da tutti parlato come nelle calli veneziane.
Si manifestò, tra la popolazione slava, qualche spostamento molto poco significativo, verso il Regno S.H.S., la futura Jugoslavia, poiché vecchi funzionari dell’Impero rientrarono nelle loro residenze di origine. I sovrani Karadjordievjc regnarono dunque, da Belgrado, sul Regno S.H.S che cambio nome e divenne Regno di JUGOSLAVIA.

L’Italia portò in Istria, notevoli progressi di civiltà nel mondo del lavoro, con la realizzazione dell’acquedotto istriano, del bacini carbonifero dell’Arsa, delle cave di Bauxite, della Bonifica della zona paludosa del lago d’Arsa, della nuova cantieristica di Fiume alla quale si aggiunse il Siluruficio ed il complesso petrolifero e di raffinazione delle Ronson, oltre al potenziamento della cantieristica a Trieste e Monfalcone ed il potenziamento delle linee marittime di Navigazione del LLOYD e dell’ISTRIA-TRIESTE. Fondò una delle prime linee di navigazione aerea, S.I.S.A. il 1 Aprile del 1926, con idrovolanti, che coprivano la tratta Trieste Ancona Zara, questa diventò poi, inglobando altre società, ALA LITTORIA e i vapori della linea costiera ISTRIA-Trieste collegavano le cittadine istriane facilitando le comunicazioni ed il turismo.

Intanto il trenino “La Parenzana” continuava a collegare Trieste con Parenzo fino alla sua soppressione dovuta ormai all’AFFERMARSI delle più moderne Corriere.

II GUERRA MONDIALE

Purtroppo in Germania salì al potere Adolf Hitler, che potenziò la Germania nazista in pochi anni facendone una grande potenza militarista ed espansionista e Mussolini, che in un primo momento aveva preso una posizione critica verso Hitler, mandando le divisioni italiane al Brennero in occasione dell’anessione dell’Austria al Reich tedesco, fu attratto, anche per la miopia degli alleati, nella sfera di influenza del Reich. Vedendo lo strapotere militare della Germania, l’Italia pensò “furbescamente” di mettersi dalla parte delle invincibili armate del Reich, ed entrò in guerra a fianco della Germania Nazista il 10 giugno del 1940, senza pensare che ciò avrebbe compromesso il Paese tutto ed i suoi confini orientali da poco stabilizzati.
Come noto la Jugoslavia, che in un primo tempo sembrava schierata con l’Asse, ad un certo punto cambiò posizione e Hitler che già pensava all’Operazione Barbarossa, (invasione della Russia) non desiderando avere spine nel fianco, invase la Jugoslavia avendone ragione in pochi giorni . Nel frattempo l’Italia, mosse stupidamente il suo esercito, annettendosi parte della Slovenia, in particolare la provincia di Lubiana, mentre un’altra parte della stessa veniva fagocitata dal terzo Reich. Ovviamente, facendo parte delle forze dell’Asse, l’Italia partecipò alla occupazione della Jugoslavia ed estese il suo dominio su una parte della costa dalmata, una volta abitata da italiani di cui era rimasta però una insignificante presenza. Governatore della Dalmazia “liberata” fu nominato il Governatore Bastianini. Le aree occupate dagli italiani diventarono anche rifugio di molti serbi e di molti ebrei che cercavano di sfuggire al folle disegno di sterminio e deportazione attuato dai nazisti, e da quello dei croati ustasca che tra le varie follie, obbligavano anche i serbi di religione greco ortodossa, a convertirsi al cattolicesimo, per aver salva la vita.
Gli inglesi favorevoli in un primo tempo, ai Karageordjevich appoggiarono poi i partigiani di Tito, più forte militarmente, costui fu inviato da Mosca, per guidare le bande comuniste contro i tedeschi, gli ustasca e gli italiani e per gettare un’ipoteca sulla conquista del potere per conto di Mosca. Intanto la guerra seguiva il suo corso e in Slovenia, dopo un primo periodo di relativa tranquillità, iniziarono ad infiltrarsi le bande comuniste di Tito dando luogo a pesanti reazioni dei tedeschi e delle truppe italiane che operarono rastrellamenti, fucilazioni e limitazioni della libertà personale e di movimento dei civili.

Le sorti avverse della guerra portarono all’armistizio dell’otto settembre, in realtà firmato il 3 settembre a Cassibile dal generale Castellano. Una prima stesura detta corta, delle condizioni di resa dell’Italia non prevedevano lo smembramento del territorio metropolitano, e dunque dell’Istria
Nei Balcani 300.000 uomini dell’esercito furono lasciati senza ordini e gli ufficiali in più alto grado se la squagliarono abbandonando armamenti e riserve di ogni tipo che furono preda delle bande di Tito che con questo inaspettato aiuto, si consolidarono negli armamenti e negli equipaggiamenti.
I 50.000 uomini presenti in Venezia Giulia del XXXIII corpo d’armata e combattenti del V e del VI Corpo più le forze della base navale di Pola lasciarono le caserme e malgrado l’ordine dei comandi di mantenere i presidi e di resistere ai tedeschi e di preservare il territorio per non compromettere l’appartenenza nazionale del territorio.

Un malessere diffuso, la paura, l’incertezza del futuro coinvolge ben presto la popolazione istriana; nel litorale cominciano ad operare due partiti comunisti, quello italiano (P.C.I.) e quello sloveno( P.C.J). Le forze del partito comunista italiano tendevano a contrastare, anche se non ancora militarmente le forze tedesche che intanto si apprestavano prendere posizione nell’Adriatisch Kunsterland, o zona di operazioni militari del litorale adriatico, mentre i partigiani sloveni erano pronti all’insurrezione armata. Perciò i primi gruppi partigiani italiani costituitisi operavano sotto comando sloveno. Diversa era la situazione nell’area istro-quarnerina della Venezia Giulia meridionale ove non sembra fossero già organizzati gruppi di resistenza italiana o croata.
Ma i serbi-monarchici di Mjhajlovic, i nazisti ustascia di Ante Pavelic e i comunisti delL’A.V.N.O.I. (Consiglio Antifascista di Liberazione popolare della Jugoslavia), massimo organo rappresentativo della Jugoslavia comunista, erano accomunati da una volontà ancestrale, quella dello sciovinismo panslavo, che muoveva le popolazioni slave verso il mare, sogno che sembrava finalmente attuabile. Gli slavi, croati, sloveni, serbi, abitanti delle montagne qualunque fosse la fede politica, considerava loro irrinunciabile diritto impossessarsi dell’Istria e di tutta la Dalmazia. All’indomani dell’armistizio le prime bande slavo-comuniste dello Z.A.V.N.O.H. (Consiglio Territoriale antifascista di liberazione popolare della Croazia) si precipitano in Istria e occupano in pochi giorni gran parte dei comuni dell’ ISTRIA interna, e della costa, potendo contare sull’aiuto della parte di popolazione croata che si dichiarava favorevole a tale penetrazione.

Ma la Germania non sta a guardare e nell’Agosto del 43 occupa il territorio di Lubiana, il 9 settembre è a Trieste, il 12 a Pola, e a Fiume. Intanto il 10 settembre la cancelleria del Reich costituisce l'”Adriatshes Kusteland” o zona di Operazioni del Litorale Adriatico a commissario di tale zona viene nominato il Dott: Fridrich Reiner, luogotenente del Reich in Carinzia. l’Obiettivo è evidente, controllare una zona nevralgica per le operazioni nei Balcani e nel Mediterraneo e rinverdire qualche memoria asburgica. Il territorio rimane però sotto la amministrazione italiana della R.S.I., anche se condizionata dal Dott. Reiner Conflitti di competenza, si manifestano come pure l’avversione verso gli italiani delle truppe della RSI da parte dei tedeschi, e in particolare, nei confronti dei bersaglieri e della X MAS che erano vigili e pronti a difendere le frontiere. Dall’otto settembre l’Istria visse uno dei momenti più drammatici della sua storia in presenza di due occupazioni straniere: da una parte i tedeschi molto mal disposti verso gli italiani, per il cambiamento di fronte di Badoglio dall’altra le bande slavo comuniste. Il Comando Slavo a Pisino, il 13 settembre dichiarava decaduto ogni accordo con l’Italia, ed il venti emanò un decreto con il quale la Croazia, nell’ambito della futura Jugoslavia si annetteva Zara, la Dalmazia, le isole del Quarnero, Fiume e l’Istria. Tale dichiarazione fu chiamata dagli slavi “Dichiarazione di Pisino”. Il 16 settembre l’O.F., “l’Osvobodilna-Fronta” o Fronte di liberazione sloveno, annette tutto il litorale, spostando il confine a Ovest dell’Isonzo, includendo nella futura Jugoslavia tutto il territorio, senza chiedere se ciò fosse giusto o sbagliato e se la popolazione civile fosse d’accordo o meno. Da Pisino, i nuovi padroni impartiscono l’ordine di considerare tutte le leggi italiane decadute e di eliminare qualsiasi opposizione o resistenza a tale disegno a qualsiasi costo, anche eliminando fisicamente la popolazione italiana, bruciano l’anagrafe dei comuni ed i catasti comunali, per evitare qualsiasi possibile riscontrabile presenza di cittadini italiani e DELLE LORO proprietà. La pulizia etnica era così iniziata, ed il disegno criminale ebbe subito inizio con la prima ondata di infoibamenti, di annegamenti ed eliminazione di qualsiasi opposizione reale o supposta al disegno di annessione, tendente ad eliminare come primo obiettivo, la popolazione italiana autoctona, impossessandosi di tutto, a mò di esproprio proletario. La popolazione civile, anche se presa tra due fuochi, con innumerevoli i civili caduti perché coinvolti per caso nei combattimenti, subì la occupazione tedesca che in pochi giorni, col supporto di truppe corazzate, fece scappare precipitosamente le bande slave, restituendo il vivere civile alle popolazioni atterrite.
I pompieri di Pola, sotto il comando del maresciallo Hazarich, cercarono di capire la ragione della scomparsa di una moltitudine di cittadini, dopo l’8 settembre del 1943, e su indicazioni di qualcuno che aveva visto o scoprì la triste realtà delle FOIBE, le corriere della morte avevano portato moltitudini di innocenti, nelle carceri del Castello di Pisino, qui torturati , e poi precipitati nelle foibe di Vines e Surani o di altre località.

In questa prima ondata di follia criminale sparirono centinaia di persone i cui corpi furono in parte recuperati dai pompieri di Pola, e di cui fu possibile il riconoscimento e la celebrazione dei funerali. La tecnica utilizzata era la seguente secondo la relazione del Capitano L.. Ermacora e le testimonianze di Don Francesco Dapiran, pubblicate dal Ministero degli Esteri ed indicata dal Senatore Lucio Toth in un suo recente scritto : Gli arrestati , legate le mani con il filo di ferro che penetrava nella carne sanguinante, caricati su camion venivano portati Pisino, centro operativo dei partigiani, e imprigionati. Nelle prigioni il trattamento era disumano, essi non avevano neanche la possibilità di restare seduti, tanto erano pigiati . Come vitto avevano una volta al giorno un poco di brodaglia, per bisogni corporali un recipiente in un angolo il cui fetore era insopportabile. La notte era attesa con terrore, i partigiani si presentavano nelle carceri con elenchi di nomi. I Chiamati, legate le mani col filo di ferro, venivano caricati sui camions per ignota destinazione, Le foibe. I prigionieri legati con il filo spinato, a due a due, raggiungevano, l’orlo della foiba, Il primo della fila si prendeva una pallottola in testa e trascinava nell’abisso l’altro ancora vivo. A Lindaro in una cava di Bauxite don Dapiran racconta, a 500 metri da villa Bassotti, i pompieri di Pisino, prontamente chiamati, estrassero 30 cadaveri, tutti evirati e con le mani legate dietro la schiena, e con evidenti segni di tortura, un orrore indescrivibile, per le madri, i figli e le mogli chiamate a riconoscere il loro caro, spesso sfigurato dalle torture. Così circa oltre 10.000 italiani furono eliminati o nelle foibe o per annegamento in mare.

Tra le vittime ricordiamo la studentessa universitaria Norma Cossetto alla memoria della quale il Presidente Carlo Azeglio Ciampi ha consegnato alla sorella, salvatasi, una medaglia d’oro al valore civile. Norma, catturata dai partigiani slavi, fu martirizzata, violentata a turno da 17 criminali, pugnalata, e buttata in foiba ancora viva.

Ma ulteriori lutti ed orrori si preparavano, la imminente fine delle operazioni militari ai confini si avvicinava e la popolazione civile non poteva dimenticare gli infoibamenti e le deportazioni senza ritorno del settembre 1943, fatti che evidenziavano la bestialità e l’orrore dei comportamenti dello slavo invasore che applicava la pulizia etnica ai danni della popolazione italiana.

Anche le forze partigiane della brigata Osoppo, dette brigata bianca, furono bersaglio dei comunisti al servizio del IX Corpus sloveno ed eliminati nell’agguato di Malga Porzus. La Osoppo era contrastata nelle sue azioni anche dalla Garibaldi e dalla Ippolito Nievo, forze comuniste alle dipendenze del IX CORPUS SLOVENO, e che appoggiavano le mire slave sulla Venezia Giulia. L’angoscia della popolazione, livida sotto un destino incerto e rosso di sangue, il più delle volte innocente, si compie tra rastrellamenti, delazioni, vendette, torture, infoibamenti, affogamenti, fucilazioni, stupri, violenze di ogni genere e giustizia sommaria contro tutti coloro che apparivano colpevoli di essere o di sentirsi italiani. Ma il terrore faceva parte di un piano di espansione territoriale, lo sciovinismo slavo si era organizzato in maniera da utilizzare anche l’ideale del proletariato comunista ai fini di conquista della Venezia Giulia. Ciò è stato dichiarato anche da Milovan Gilas e da Kardelj che su ordine di Tito organizzarono il terrore proprio per provocare la fuga degli italiani e snazionalizzare un territorio di oltre 8.000 chilometri quadrati appartenente all’Italia.
Alcuni italiani pur di assicurare più territorio che possibile all’internazionale comunista al servizio di Mosca, si prestarono al giochino, e gonzi come i polli di Renzo, invitarono ad accogliere le bande assassine slave come liberatrici.

Chi non voleva aderire alla Repubblica Federativa Comunista di Jugoslavia e voleva andarsene doveva lasciare tutto e portarsi 5 kg di indumenti e 5.000 lire. Il resto veniva confiscato e passato alla proprietà sociale o a qualche gerarca dei nuovi padroni. Solo varcata la frontiera si aveva la certezza di essere fuori dal pericolo di essere ripescati dall’OZNA, la polizia segreta di Tito, che tutto controllava e di fare una brutta fine tra sofferenze atroci. Spesso una raffica di mitra interrompeva la corsa verso la libertà, ma ugualmente la gente scappava, magari di notte con una barchetta a remi per raggiungere la costa italiana del veneto o della Romagna e molti vi giungevano morti di fatica o di stenti o di sete. Disperazione e speranza guidava la nostra gente, spesso mal accolta, maltrattata od ignorata. Anche la cristianissima Democrazia Cristiana di De Gasperi e Scelba, considerava evidentemente nazionalisti pericolosi gli esuli, e organizzò la loro dispersione nei campi profughi sparsi in tutta italia e nelle isole, o li allontanò dall’Italia, (almeno 80.000), a mezzo dell’I.R.O. che li portava emigranti senza Patria, in Australia, Nuova Zelanda, Brasile , sud America, Canadà, ma solo al prezzo di dichiarasi apolidi, loro che tutto avevano lasciato per rimanere italiani.
350.000 italiani esodarono dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia dopo la firma del Trattato di Pace del 1947, firmato da 21 stati belligeranti. Il trattato prevedeva che i beni dei residenti italiani nel territorio ceduto in forza al trattato di Parigi, rimanessero di loro proprietà, ad eccezione dei beni pubblici, con la proibizione di vendita degli stessi o di cessione in compensazione alla Jugoslavia. Gli italiani autoctoni, erano e rimanevano i soli legittimi proprietari.

La relazione che Gianantonio Godeas, delegato della Lega Nazionale in Lombardia, ha tenuto nella sala consigliare del Comune di Trucazzano domenica 19 febbraio 2006