FOIBE & ESODO
I PUNTI FERMI DELLA LEGA NAZIONALE
Grazie alla legge Menia ( n.92/2004) è innegabile che il Giorno del Ricordo sta progressivamente smantellando la «cappa di silenzio» che, per tanti decenni, era gravata sulla tragedia delle Foibe dell'Esodo.
Persistono ancora i «negazionisti» secondo cui niente è successo ed i “giustificazionismi” a detta dei quali era giusto infoibare e costringere all'esodo perché erano le colpe del fascismo che andavano espiate. C'è poi la terza categoria, quella che il Ministro Salvini bene ha bollato come gli assertori del “Si, però…”. Sono coloro che adducono mille motivazioni, parlando di conflitti etnici, di scontri ideologici, di radici storiche e quant'altro pur di non attribuire a chi di dovere le responsabilità di quanto accaduto, pur di non riconoscere che si è trattato di “crimini comunisti".
Per uscire da tutti questi equivoci è giunto dunque il momento di fissare alcuni «punti fermi» che diano un aiuto decisivo a «conoscere per capire» la tragedia della Foibe e dell'Esodo.
FOIBE – Le vittime
Primavera del '45, a guerra finita , migliaia di Italiani vengono trucidati (nelle foibe carsiche, nelle acque di Dalmazia, nei lager di reclusione). Nello stesso periodo vengono assassinati anche decine di migliaia di Sloveni e centinaia di migliaia di Croati . Per buona parte delle vittime slovene e croate manca ancora la possibilità di collocare un croce sui luoghi del loro eccidio.
Il Sacrario di Basovizza, già simbolo di tutte le vittime italiane, ben potrebbe diventare luogo di memoria anche delle altre vittime, ancora senza croce. Non si tratta di venire a chiedere scusa, ma di trovarsi insieme a ricordare, a onorare tutte le vittime di questa stessa tragedia.
FOIBE – Gli autori
Italiani, Sloveni, Croati, tutti vengono assassinati, in quella primavera di sangue, ad opera degli uomini di Tito, i partigiani comunisti jugoslavi.
Spesso gli assassini operavano con in mano le liste nere approntate dall'OZNA. Sempre con una logica ben precisa: togliere di mezzo i cosiddetti “nemici del popolo”, categoria molto ampia, che includeva sia ex nemici (fascisti, domobranci, ustascia), sia persone comunque scomode in vista del futuro assetto politico (così componenti del CLN, ma anche professionisti, borghesi, ecc.), sia soprattutto tante, tantissime persone che niente avevano da rimproverarsi, ma la cui scomparsa era fondamentale perché nessuno potesse sentirsi tranquillo ed al sicuro dal “terrore” titoista.
E tra queste come dimenticare le innumerevoli donne che hanno anch'esse pagato con la vita la sola colpa di essere moglie, madri, figlie di cosiddetti “nemici del popolo”.
FOIBE – Una logica perversa
Tutte tali stragi rispondevano ad una logica ben precisa: Tito stava costruendo, con lo strumento della guerra rivoluzionaria, il suo nuovo stato, la Jugoslavia comunista. E la “Rivoluzione” passa necessariamente attraverso il tragico percorso del “terrore”. Così è stato per la rivoluzione sovietica realizzata da Lenin e da Stalin, così sarà più avanti per la rivoluzione cinese di Mao Tse Tung (sarà lui a dichiarare che “la rivoluzione non è un pranzo di gala”).
Così è stato appunto per la rivoluzione titoista.
Il terrore, distribuito adeguatamente agli inizi del nuovo stato comunista, sarà poi idoneo a dare frutti, per decenni e decenni.
Tutto al più, ogni tanto, richiederà qualche dose di richiamo.
Tito, nel '47, dichiara al suo fido Gijlas che quella fase può ritenersi conclusa. Poi, però, dopo il '48, dopo rottura con Stalin, riprenderà lo strumento terrore, questa volta nei confronti dei cominformisti rimasti fedeli a Mosca. Mancano contabilità di quella tragica vicenda, basti solo ricordare il nome di Goli Otok, l'isola carcere ove la crudeltà è stata superiore ai lager nazisti ed ai gulag staliniani.
Finita poi anche quella vicenda, a metà degli anni '50 con il riavvicinamento a Kruscev, il terrore ricomparirà ancora negli anni '70, questa volta vittime saranno i professori e gli studenti dell'Università di Zagabria, finiti a centinaia nelle galere titoiste.
Ripeto: era proprio il “terrore” in quanto tale l'obbiettivo di Tito in quella primavera di sangue del 1945.
Obiettivo pienamente raggiunto: si pensi al fatto che ormai negli anni duemila ricercatori che interpellavano testimoni per ricostruire il sacrificio di don Bonifacio o di Norma Cossetto si siano trovati di fronte le esitazioni, le amnesie, le dichiarate paure di chi ancora portava nell'animo le cicatrici di quel “terrore”, pur così lontano nel tempo.
Perché il “terrore” è una bruttissima bestia, estremamente longeva nell'animo di chi lo ha subito.
ESODO – La logica
Stalin aveva dato istruzioni ben precise: la guerra (quella mondiale) era in primo luogo una “guerra di classe” e, conseguentemente, ogni conquista territoriale era “conquista di classe” che andava difesa con ogni mezzo.
Tito, all'epoca il più convinto tra i discepoli di Stalin, aveva ben chiaro che le conquiste territoriali della Jugoslavia comunista non dovevano poter esser messe in discussione, al di là di ogni motivazione storica o nazionale che fosse.
L'Istria e quant'altro fosse stato conquistato (Trieste, l'Isontino, il Friuli) dovevano quindi essere “preservati” dal rischio che, a cessazione del conflitto, i nuovi confini potessero essere ridiscussi in nome delle nazionalità.
Lo strumento era semplice: la pulizia etnica delle possibili aree a rischio.
Anche su questo tema valeva il modello Stalin: a fine guerra in Europa ci sono stati milioni di cittadini a subire la “pulizia etnica” (i Sudeti, Polacchi, Ungheresi, eccetera) ad opera appunto di Stalin ed a sigillo dei nuovi assetti confinari.
Gjlas nel '91, sulla rivista Panorama di Fiume, lo ha confessato: “Nel 1945 io e Kardelj fummo mandati da Tito in Istria. Era nostro compito indurre tutti gli Italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto!”
ESODO – Le conseguenze
La misura cautelare della “pulizia etnica” ha così trovato applicazione sugli Italiani dell'Istria.
Con tempistiche diverse, alla fine Capodistria, Isola, Pirano, ma anche Rovigno, Cittanova, Pola, tutte queste realtà della penisola istriana hanno subito l'operazione “pulizia” che doveva garantire per il futuro le conquiste territoriali del comunismo jugoslavo di Tito.
E centinaia di migliaia di Italiani dell'Istria hanno così lasciato le proprie case, le proprie attività, i propri morti per affrontare la durissima realtà dei campi profughi, talvolta anche le ingiurie da parte dei comunisti italiani (erano fascisti che abbandonavano il paradiso di Tito), comunque lo sradicamento da tutto il vissuto loro e dei loro antenati.
Condannati a vita, loro e i loro discendenti, alla pena dell'Esilio!
ESODO – Due anomalie
Un caso diverso è stato quello di ZARA, diverso nelle modalità, ma non nella logica e nelle conseguenza.
Si trattava di una città la cui composizione, la cui storia erano macroscopicamente targata Italia.
Il rischio, agli occhi di Tito, era che – sia pure all'interno di una Dalmazia solidamente jugoslava – qualcuno ipotizzasse una sorta di enclave per la citta zaratina (sul tipo di Danzica, dopo il primo conflitto), rischio che il Maresciallo pensò bene di prevenire: ottenne dagli Alleati un bombardamento su quella città paragonabile solo a quello su Dresda.
E il risultato fu una città ridotta in macerie e i suoi abitanti costretti sulla strada dell'esilio.
Per Tito il problema era risolto: Zara, possibile enclave italiana, semplicemente non esisteva più.
L'altra anomalia ha riguardato la città di FIUME.
Proprio William Klinger (e l'amico Fulvio Varljen) mi aveva fornito un dato che al momento mi aveva lasciato perplesso: in sede di applicazione del Trattato di Pace c'erano state oltre cinquemila famiglie che, dichiarandosi italiane, avevano optato a favore del nostro paese, ma si erano viste rifiutare l'opzione ed erano quindi rimaste imprigionate nella Jugoslavia comunista di Tito.
Mi sono chiesto: perché mentre Gjlas e Kardelj, con pressioni di ogni tipo, cacciavano per ordine di Tito gli Italiani dall'Istria, questi Italiani di Fiume dovevano invece restare, coatti, nella loro città?
La risposta sta proprio nelle logica della pulizia etnica a tutela dei confini. Tito riteneva che Fiume comunque non rischiasse di essergli sottratta ed allora subentrava l'altro principio in vigore negli stati del socialismo reale: i cittadini non hanno diritto di scappare dal paradiso comunista in cui si trovano.
Un principio che ispirerà più tardi il Muro di Berlino, un principio che ha motivato il “NO” alla volontà di Italia di quelle oltre cinquemila famiglie quarnerine. E sono così rimasti prigionieri.
FOIBE & ESODO – considerazioni finali
E' stato William Klinger ad evidenziarmelo.
La tragedia delle foibe e dell'esodo andava affrontata – per essere realmente capita – non nella prospettiva delle vittime, ma in quella del suo autore e regista: Josip Broz.
Ed il Maresciallo di Belgrado non era certo un raddrizzatore di torti storici, un esecutore di vendette o quant'altro immaginano i negazionisti ed i teorici del "sì, ma…" .
Tito era un rivoluzionario a tutto tondo, a lui stava a cuore non il passato, ma il futuro, quello della sua rivoluzione con la quale voleva dar vita al suo impero balcanico, costruito attorno al fulcro del Comunismo.
Foibe ed Esodo erano funzionali alla realizzazione ed alla difesa di questo progetto e quindi Tito le ha ordinate.
Il sacrificio di tante vite umane, le sofferenze di tantissime persone, tutto questo ovviamente per lui, per il rivoluzionario Tito non poteva, non doveva contare.
Era la "Rivoluzione" (quella che non è un pranzo di gala) e questo doveva bastare.
Paolo Sardos Albertini