Per Trieste italiana, i moti del 1945-1954 – di Roberto Spazzali

Il Piccolo 05/07/06 Recensioni – Per Trieste italiana, i moti del 1945-1954 di Roberto Spazzali

Ogni stagione politica ha avuto la sua base giovanile, soprattutto studentesca, che si è fatta interprete delle aspirazioni e proiezione diretta delle tensioni. Tutto questo si è perpetrato anche a Trieste dagli anni Dieci agli anni Ottanta del secolo scorso, con una scadenza periodica di 10-15 anni, nel segno di una continuità movimentista che ha generato anche la classe dirigente di quella «middle class» che ha governato e governa tuttora le sorti cittadine. Proprio l’esperienza movimentista, tanto irrequieta quanto generosa è stata la forgia principale, anche se non tutti coloro i quali sono passati per quelle esperienze poi hanno approdato alla vita politica, all’impegno civico.

Anzi, è accaduto l’opposto: la maggioranza ha relegato nel passato quella militanza, attribuendola alle esuberanze dell’età giovanile, ed ha intrapreso cammini diversi.

Il volume «Trieste 1945-1954. Moti giovanili per Trieste italiana all’epoca del GMA», curato da Giorgio Tombesi per la collana «Civiltà del Risorgimento» (Del Bianco, euro 13,00) raccoglie la pluralità di voci e ricordi di una tavola rotonda organizzata due anni fa dal Centro culturale «Alcide De Gasperi», che aveva come punto di riferimento l’attività e l’azione – da non dimenticare! – degli studenti medi e universitari triestini nei nove anni del Governo Militare Alleato, attori e protagonisti delle grandi manifestazioni di italianità culminate nei cruenti scontri del marzo 1952 e nei tragici incidenti del novembre 1953. Importanti, quindi, i contributi di Renzo Piccini, Sergio Molesi, Claudio Boniciolli, Giorgio Cerniani, Fulvia Marchi Annese, Ugo Verza, Renzo de’ Vidovich, oltre all’inquadramento storico di Sabrina Ventre.

Non sono argomenti completamente nuovi poiché in tempi recenti se n’è occupato con esiti assai interessanti Patrick Karlsen. In quegli anni ci fu un passaggio del testimone con la generazione di poco precedente, che si era caricata sulle spalle l’onere non indifferente di restituire Trieste alla democrazia e che si era sacrificata prima nella Resistenza e nell’insurrezione armata del 30 aprile 1945, e poi fronteggiando almeno fino al 1948 gli antagonisti comunisti filojugoslavi.

Poi le cose erano progressivamente mutate: il problema non era più la minaccia di Tito, bensì la presenza angloamericana a Trieste, considerata ingombrante, e la temporaneità del Territorio Libero di Trieste a cui, per i molti benefici economici, tanti triestini vi si stavano abituando, almeno nella Zona A. Una spallata vigorosa al sistema, si pensava, avrebbe portato alla ricongiunzione della città all’Italia, sperando che ciò incidesse pure sulle sorti, in verità già segnate, sulla Zona B.

Si trattava di scegliere tra i benefici di una Tangeri dell’Adriatico, come si diceva allora, e l’erba alta in porto. Su tutto ciò molto è stato scritto e polemizzato allorchè sono stati svelati i piani militari italiani, neanche tanto segreti, per preparare giovani e giovanissimi a una resistenza estrema in caso di violazione jugoslava della Zona A. Le testimonianze di Ennio Riccesi e Fabio Matussi sono eloquenti, come quella di Claudio Boniciolli che rivela la preparazione della piazza con le squadre della «Giovane Italia» sollecitate da alcuni insegnanti di educazione fisica formatisi alla Farnesina, e quindi di non lontana origine GIL.
Non mancò il coraggio in quei ragazzi e in quelle ragazze che affrontarono gli scontri con la Polizia Civile, dovendo fare i conti con provocatori e mestatori di professione, sapendo che spesso ne sarebbero usciti soccombenti, ma dall’emulazione avrebbero tratto nuove forze per ingrossare le fila. Il simbolo concreto è il sacrificio di Pierino Addobbati.

Certo sarebbe interessante che con la stessa libertà si esprimessero anche coloro che stavano dall’altra parte, quelli che sostenevano a spada tratta la tesi jugoslava. Comunque deve essere ben chiaro che i giovani di quegli anni non stavano solo nell’ombra a meditare i piani di battaglia, ma diedero vita a significative esperienze di crescita culturale, di vita associativa, di esperienza pubblica. Ecco allora il fiorire, in quella breve ma intensa stagione, del Circolo Studenti Italiani, del Circolo Studenti Medi, del Circolo Universitario, del Movimento Amicizie Giovanili, della Giunta d’Intesa Studentesca, degli ambienti goliardici e quelli dei cattolici impegnati, accomunati in quel momento dall’Amor di Patria e poi divisi dalle successive scelte politiche. Perché fu un movimento eterogeneo, dai licei agli istituti tecnici, largamente rappresentativo il blocco sociale della Trieste italiana degli anni Cinquanta: il modello era quello della goliardia, ma di un grado inferiore, capace di interloquire con dignità e rispetto con gli insegnanti e le autorità scolastiche anche per iniziative assolutamente rivoluzionarie per l’epoca.

Merita una riflessione finale la postfazione di Giulio Cervani, che allora aveva diversi anni in più degli altri protagonisti del libro, aveva speso la sua miglior gioventù in grigioverde, era già insegnante di liceo e stava abbandonando la breve vita politica nelle file degli azionisti e dei repubblicani, senza però rinnegarne l’esperienza. Nelle sue parole c’è la piena consapevolezza della gravità del momento, del ruolo ricoperto da pochi ma significativi insegnanti, che seppero aprire la mente di quei giovani all’intelligenza dei Vivante e degli Slataper, ma soprattutto coglie con grande efficacia la difficoltà di praticare in quegli anni un discorso realistico oltre introspettivo: agli slogan di facile presa lanciati dai filo-jugoslavi si rispondeva con i luoghi comuni del mito letterario e patriottico; la Trieste «galleggiante» e «distratta» era incapace di qualsiasi progetto per il suo futuro, perché la posta in gioco, sul piano nazionale, era ritenuta prioritaria e assai più alta. E la sua conclusione è una stimolante proposta per indagare sui motivi per cui quella generazione non si affermò come classe dirigente, e un’altra, che prendeva le mosse da altri presupposti e da altri percorsi, avanzò rapidamente alla fine degli anni Cinquanta marcando il quindicennio successivo.

Roberto Spazzali