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Sindaco di Nova Gorica: si faccia luce sulle Foibe

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Appello del sindaco sloveno sugli infoibati

Appello del sindaco di Nova Gorica al ministro degli Esteri sloveno Dimitrij Rupel in merito alle vicende avvenute a Seconda guerra mondiale conclusa


Appello del sindaco sloveno sugli infoibati, Brancati soddisfatto: «Giusto un chiarimento»

Appello del sindaco di Nova Gorica al ministro degli Esteri sloveno Dimitrij Rupel in merito alle vicende avvenute a Seconda guerra mondiale conclusa

Brulc: «Si faccia luce sui goriziani deportati»


«Dobbiamo dare una risposta agli appelli che giungono dall’Italia: è una questione etica, non politica»

«Dobbiamo poter dare una risposta ai goriziani che ci chiedono notizie sui loro parenti deportati alla fine della Seconda guerra mondiale in Jugoslavia».

Il sindaco di Nova Gorica Mirko Brulc affronta di petto uno dei problemi aperti sul confine. Il più spinoso. E lo fa in una lettera inviata al ministro degli Esteri di Lubiana Dimitrij Rupel, lettera nella quale - invitando l’uomo di governo a Nova Gorica per una visita ufficiale - affronta tutta una serie di problemi legati ai rapporti transfrontalieri. Ma soprattutto le deportazioni a guerra finita. «Alcune persone residenti nella vicina Gorizia che hanno perso i loro parenti alla fine della guerra - scrive Brulc - hanno chiesto il mio aiuto nella ricerca di informazioni in merito: sono quelle persone che alla fine della Seconda guerra mondiale furono deportate da Gorizia in Jugoslavia senza lasciare alcuna traccia.

Sono dell’opinione - aggiunge Brulc - che si tratti di una questione non politica ma etica e per questo motivo le chiedo un aiuto se e per quanto sia in suo potere».

Il tema della necessità di fare finalmente luce su una delle pagine più drammatiche della storia della città è al centro della lettera inviata da Brulc al ministro Rupel. «Se parliamo di collaborazione sul confine è eticamente importante sapere cosa è successo a quei goriziani deportati a guerra finita per poter superare le incomprensioni del passato e poter quindi guardare serenamente al futuro»: dal municipio di Nova Gorica si fa sapere che questa è, di fondo, la filosofia alla base dell’intervento del sindaco Brulc nel suo intervento ufficiale presso il Governo di Lubiana. Una lettera personale, inviata giovedì scorso, una lettera della quale copia è stata poi trasmessa - per opportuna conoscenza, come si dice in questi casi - anche al sindaco di Gorizia Vittorio Brancati.

Una lettera nella quale, peraltro, sono anche altri i temi affrontati, e sempre di sapore transfrontaliero, nella speranza che Rupel voglia discuterli in una visita ufficiale nella città d’oltre confine da mettere in calendario il prima possibile. Ecco quindi che si parla, ad esempio, dei valichi di confine secondari, sollecitando un arco di apertura oraria più largo (attualmente soltanto Salcano, oltre ai valichi internazionali di Sant ’Andrea e Casa Rossa è sempre aperto, ventiquattr’ore su ventiquattro). Ma non solo: si parla anche di Corridoio 5 e di infrastrutture viarie di collegamento, con l’auspicio che l’area della Goriska non venga tagliata fuori. E, infine, si auspica anche una maggiore collaborazione tra le polizie slovena e italiana con l’introduzione di pattuglie miste non solo sul confine ma anche all’interno delle città.

Guido Barella

***

Brancati soddisfatto: «Giusto un chiarimento»


Il sindaco di Gorizia Brancati ha accolto positivamente l’iniziativa del sindaco di Nova Gorica.

«Da diverso tempo – ha sottolineato Brancati – stiamo riflettendo assieme sulle azioni più opportune per favorire il progetto di collaborazione transfrontaliera e il superamento dell’odio e del rancore che alcuni, fortunatamente isolati gruppi, stanno continuando ad alimentare. Per quanto riguarda in particolare i drammi che hanno segnato pesantemente la città alla fine della Seconda guerra mondiale, in più occasioni ho sottolineato come, senza mai dimenticare quanto accaduto, soprattutto il tempo abbia posto le basi per sciogliere questi nodi fondamentali e dare innanzitutto una dignità e un nome preciso alle tragedie che hanno segnato le nostre terre, aprendo quindi definitivamente la strada al perdono reciproco, alla comprensione, alla riconciliazione.

«La gran parte di coloro che in tutto questo tempo hanno continuato a coltivare la memoria e il ricordo di quei drammi – ha concluso il sindaco di Gorizia – insistevano giustamente, con dignità ed equilibrio, a chiedere due cose: la verità e un luogo fisico dove ricordare i propri cari. Credo che la richiesta del sindaco Brulc metta bene in evidenza gli aspetti, appunto etici prima che politici, di tali richieste nei confronti delle quali ritengo giusto un complessivo e definitivo chiarimento storico».

da Il Piccolo 24/05/05

Anche la Provincia per la Medaglia d'Oro

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5 maggio 1945: Caduti per la libertà

Il 5 maggio 1945 di fronte ad un corteo spontaneo di migliaia di triestini inneggianti all'Italia i titini sparano sulla folla. Cinque manifestanti cadono sotto il piombo dell'invasore, altre decine rimangono ferite.


5 MAGGIO, MEDAGLIA AI MORTI

Il Presidente della Provincia di Trieste, Fabio Scoccimarro, chiede al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, un riconoscimento a Claudio Burla, Giovanna Drassich, Carlo Murra, Graziano Novelli, Mirano Sancin morti in via Imbriani il 5 maggio 1945, durante una pacifica manifestazione in conseguenza degli spari delle truppe jugoslave. Al loro sacrificio fece seguito, nell'epoca immediatamente successiva, quello di Emilio Beltramini e Alino Conestabo. L'iniziativa del Presidente Scoccimarro fa seguito a quella analoga lanciata, nei giorni scorsi, dal Presidente della Lega Nazionale, avv. Paolo Sardos Albertini.

"Ho deciso di rivolgermi direttamente - ha affermato Scoccimarro - alla sensibilità del Capo dello Stato, di cui ha dato eloquente testimonianza lo scorso anno accogliendo analoga richiesta della Lega Nazionale per il conferimento della medaglia d'oro al merito civile ai sei caduti del novembre 1953, in quanto ritengo che anche i tragici episodi che costarono la vita a questi eroici concittadini vadano inquadrati in quella fase finale del Risorgimento che si concluse nella storica giornata del 26 ottobre 1954".

Scoccimarro ha ricordato inoltre che "tutte queste persone sacrificarono la loro vita affinchè Trieste potesse veder rispettata la propria libera scelta di rimanere italiana, ma anche perchè venisse coronato quel bisogno dell'Italia intera di ritrovare l'unità nazionale con il ricongiungimento della stessa Trieste alla Patria".

(da "Il Piccolo" 18 maggio 2005)

Medaglia d'Oro ai Caduti del 5 maggio

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5 maggio 1945: Caduti per la libertà

Il 5 maggio 1945 di fronte ad un corteo spontaneo di migliaia di triestini inneggianti all'Italia i titini sparano sulla folla. Cinque manifestanti cadono sotto il piombo dell'invasore, altre decine rimangono ferite.


LA LEGA NAZIONALE SCRIVE A CIAMPI: ONORIAMO I CADUTI DI VIA IMBRIANI

L’avv. Paolo Sardos Albertini, Presidente della Lega Nazionale, si è rivolto al Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, chiedendo la concessione di un adeguato riconoscimento da parte dello Stato Italiano alla memoria dei cinque cittadini di Trieste, caduti il 5 maggio 1945, sotto il piombo jugoslavo: Claudio Burla, Giovanna Drassich, Carlo Murra, Graziano Novelli e Mirano Sancin vennero assassinati, in via Imbriani, (e decine di altri vennero feriti) perché pacificamente reclamavano , per Trieste , la libertà di essere e restare italiana.

In epoche immediatamente successive, anche Emilio Beltramini e Alino Conestabo vennero assassinati nelle strade di Trieste per la medesima motivazione. La loro memoria merita parimenti adeguato ricordo.

La Lega Nazionale si è appellata a quella sensibilità del Capo dello Stato che aveva già trovato espressione nella concessione della Medaglia d’Oro ai Caduti del novembre 1953, chiedendo che anche questi altri testimoni dell’amore per l’Italia e per la libertà possano ricevere giusto riconoscimento da parte della Nazione italiana.

L’avv. Sardos ha informato di tale iniziativa della Lega Nazionale il Prefetto, il Sindaco e il Presidente della Provincia di Trieste, chiedendo un loro intervento a sostegno.

Il Giudice sportivo e l'occupazione titina

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Domenica 24 aprile i tifosi della Triestina hanno esposto uno striscione contestando i festeggiamenti del 25 aprile

Il Giudice Sportivo dott. Maurizio Laudi, assistito da Stefania Ginesio e dal Rappresentante dell'A.I.A. Elio Martina, nel corso della riunione del 3 maggio 2005, ha assunto le decisioni qui di seguito riportate:

1) SERIE B TIM Gare del 29-30 aprile e 2 maggio 2005 - Quindicesima giornata ritorno In base alle risultanze degli atti ufficiali si deliberano i provvedimenti disciplinari che seguono, con riserva dell’assunzione di altre eventuali decisioni in attesa del ricevimento degli elenchi di gara:

Gara Soc. TRIESTINA – Soc. MODENA del 23 aprile 2005 Il Giudice Sportivo;

rilevato dal rapporto del collaboratore dell’Ufficio Indagini e dal successivo supplemento che:

sostenitori della Triestina esponevano, dal 20° al 32° del primo tempo, uno striscione di rilevanti dimensioni contenente la frase “25 aprile: lutto nazionale”;

lo striscione veniva rimosso dagli stessi sostenitori, senza l’intervento delle Forze dell’ordine;

osservato che:

la frase sopra menzionata esprime un’oggettiva valenza offensiva rispetto alla celebrazione della festa della Liberazione e delle Forze della Resistenza;

la valutazione del fatto deve peraltro tenere conto della specifica realtà storica di Trieste ove nel periodo immediatamente successivo al 25 aprile 1945 vennero compiuti eccidi di inermi cittadini da parte delle Forze partigiane titoiste, sì da rendere comprensibile che la data del 25 aprile sia vissuta dalla popolazione triestina come periodo che evoca ricordi drammaticamente luttuosi;

considerato che tale elemento attenua, pur senza annullarlo, il significato offensivo di quello striscione, che non contiene, inoltre, parole direttamente insultanti nei confronti delle Forze italiane della Resistenza;

valutata anche, come ulteriore circostanza attenuante, l’iniziativa immediatamente assunta dai dirigenti della società al fine di far rimuovere lo striscione, secondo quanto risulta da documentazione inviata dalla Società medesima;

rilevato che sostenitori della Triestina hanno successivamente esposto, dal 28° al 41° del secondo tempo, uno striscione offensivo nei confronti dei sostenitori avversari.

P.Q.M.

delibera di infliggere per tutti i fatti sopra descritti alla Soc. Triestina, a titolo di responsabilità oggettiva, l’ammenda di € 5000,00, valutata anche la recidiva.

(link)

Articolo apparso su "Il Piccolo"

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34 - Il Piccolo 27/10/04 Storia Trieste - opinioni: Medaglie e nazionalismo

Medaglie e nazionalismo

di Marco Coslovich e Anna Millo

Con sentimenti di profondo disagio, di amarezza e di inquietudine per i fondamenti stessi della nostra vita pubblica, culturale e civile insieme, i firmatari di questa nota – docenti e ricercatori storici che da decenni ormai lavorano sui temi della storia di Trieste, diversi per orientamento metodologico, ma accomunati dal rigore professionale – hanno appreso la notizia che la Presidenza della Repubblica si accinge a conferire una medaglia d'oro alla memoria dei sei concittadini caduti negli scontri di piazza del 5 e 6 novembre 1953.

Circospezione e cautela avrebbero dovuto animare coloro che hanno accolto l'improvvida iniziativa. Era infatti necessario verificare con maggiore accuratezza la reale dinamica di svolgimento – mai interamente appurata – di quella luttuose giornate e considerare con più attenzione la natura degli attori coinvolti. In primo luogo l'Allied Military Government, non truppa di occupazione insediata con la forza delle armi, ma soggetto fornito di legittimità sul piano internazionale, operante in stretto collegamento con le istituzioni e il governo di due potenze democratiche come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna; in secondo luogo le Forze di Polizia della Venezia Giulia, agli ordini del governatore dell'Amg, reclutate tra i residenti della zona A del Tlt, addette alle funzioni di mantenimento dell'ordine pubblico in un territorio allora attraversato da esplosive tensioni nazionalistiche e politiche; infine i sei morti, vittime – in qualche caso anche innocenti e inconsapevoli – di una torbida violenza, scatenata da chi voleva creare un clima incontrollabile in città.

Sulle ricostruzioni offerte prima e dopo gli avvenimenti di quei giorni permangono, a cinquant'anni di distanza, incongruenze, contraddizioni, travisamenti e omissioni, mediante i quali da parte nazionalista italiana si volle interamente far ricadere le responsabilità dell'accaduto sulle forze di polizia. Valutazioni sulla natura artificiosa dei moti di piazza e informazioni sulla presenza di squadre armate del Msi attive nel fomentare i disordini sono invece reperibili in gran quantità nelle cronache dei quotidiani locali dell'epoca. Lo stesso Diego De Castro, consigliere politico del governo italiano presso l'Amg, rivela esplicitamente nelle sue memorie che «la manifestazione era organizzata da un centro: una Balilla a quattro marce nera, che io avevo visto, portava ordini ai vari gruppi di dimostranti sparsi per la città. Divenne evidente che vi doveva essere un'organizzazione che dirigeva, regolava e guidava le manifestazioni dei dimostranti». Il ministro degli Esteri inglese, Anthony Eden, nel suo commento di fronte ai Comuni, dichiarerà che l'Amg il 3 e 4 novembre aveva respinto circa tremila persone provenienti dall'Italia che tentavano in gruppi organizzati di oltrepassare il confine per raggiungere Trieste: esso non riuscì tuttavia a impedire l'infiltrazione di elementi che poi avrebbero partecipato alle dimostrazioni.

Certamente nella folla dei triestini che manifestavano pesava un senso di frustrazione per un'attesa della definizione della «questione di Trieste» che troppo a lungo si protraeva, ma vi era anche chi nell'ombra agiva per manipolare e strumentalizzare lo stato d'animo della popolazione, fomentando e incitando alla violenza. Non ci dilungheremo sul fatto che due dei caduti, Zavadil e Bassa, furono in seguito riconosciuti estranei ai moti, incolpevoli passanti. Non citeremo neanche il fatto che il luogo in cui caddero Zavadil e Bassa risulta incompatibile con la traiettoria dei proiettili sparati dal luogo in cui doveva trovarsi la polizia (e ciò fa sorgere spontaneo il dubbio della presenza di altri sparatori tra la folla).

Un solo dato vogliamo sottolineare: due delle vittime avevano quindici anni d'età. Chi era più facilmente influenzabile di un adolescente, pieno di suo giovanile e candido entusiasmo? E infatti Leonardo Manzi fu visto durante gli scontri del pomeriggio del 6 novembre «slanciarsi contro un poliziotto del nucleo mobile, strappandogli dalle mani la bomba lacrimogena che quegli si accingeva a lanciare contro la folla. Accecato dal gas, l'agente perdette il controllo e si lasciò disarmare. Il ragazzo fu visto stendersi a terra, puntare il fucile tolto all'agente contro i poliziotti che stavano arretrando ed esplodere le sei cartucce del caricatore. Contro di lui si concentrò il fuoco della polizia». (Coraggio contro furore, «Giornale di Trieste», 7 novembre 1953). Definire, come il presidente della Lega nazionale, «piombo straniero» questa azione di legittima difesa da parte della polizia ci sembra offensivo nei confronti dei più di cinquemila triestini che tra il 1947 e il 1954 fecero parte del corpo.

La mancanza di una attendibile ricostruzione compiuta ai giorni nostri si deve al fatto che gli archivi pubblici in Italia sono consultabili per legge dopo che sono trascorsi cinquant'anni dagli avvenimenti. Un sondaggio compiuto in questi ultimi mesi ha tuttavia appurato che la documenzione conservata nel locale Archivio di Stato relativa agli avvenimenti in questione non è integra, ma presenta dei vuoti – troppo sospetti per essere casuali – proprio in corrispondenza di quelle giornate, come nel caso dei mattinali della polizia al procuratore della Repubblica.

Da parte nostra ci impegneremo a fare chiarezza con gli strumenti della nostra professione, la filologia, la precisione, lo scrupolo nella ricerca della verità, valori desueti al giorno d'oggi, a quanto pare, ma in cui, nonostante tutto, ci ostiniamo a credere. Dispiace che in questa dubbia operazione sia stato coinvolto il Quirinale, con la copertura di deputati e di forze politiche di sinistra, ai quali dovrebbe stare a cuore la salvaguardia della verità e il sommo bene della convivenza dei cittadini nella pace e nella legalità. Si è voluto invece, sulle base di ragioni che non comprendiamo, strumentalizzare la verità e i morti per legittimare nazionalismo neofascista e violenza. L'Italia democratica, che anche noi amiamo, era però nata dal rifiuto di entrambi.

Foibe, storici e puntualizzazioni sedicenti storici scrivono a Il Piccolo

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Certe volte gli storici (o sedicenti tali) hanno il vezzo di voler “puntualizzare”, a proposito o a sproposito.

E’ il caso del signor Marco Coslovich che, sulle Segnalazioni de Il Piccolo del 3 marzo 2005, rispondendo alla signora Muiesan Gasparri sul numero degli infoibati, scrive testualmente “ Pensi che la lapide del Monumento alla Foiba di Basovizza, nel 1966 riportava ‘300 metri cubi contenenti salme infoibati’, ma nel 1997 tale settore divenne di 500 metri cubi”.

Al signor Coslovich, storico, suggeriamo di approfondire le sue ricerche e le sue puntualizzazioni. Scoprirà che i lavori di copertura a Basovizza vennero benedetti il 12 novembre 1959 da padre Flaminio Rocchi e che fu appunto padre Rocchi a volere il monumento in questione. Scoprirà che fin dalla sua iniziale collocazione il monumento (lo spaccato del pozzo della miniera) recava la dicitura “ 500 metri cubi contenenti salme infoibati”. Scoprirà che, con gli anni, essendo risultata la scritta non più leggibile, il Comune di Trieste provvide a ripristinarla, riportando però erroneamente la dicitura “300 metri quadri”. Scoprirà infine che è stato il Comitato Martiri delle Foibe ad intervenire con il Comune di Trieste e ad ottenere che fosse puramente e semplicemente ripristinata quella che era la scritta iniziale, niente di più e niente di meno.

Signor Marco Coslovich (storico), stia tranquillo, nessuna manipolazione (al rialzo) del numero degli infoibati, ma una semplice e banale operazione di ripristino della verità storica: 500 metri cubi era scritto, 500 metri cubi è scritto. E resta il dato, tragico ed allucinante, di dover misurare in metri cubi il numero delle povere vittime, sacrificate nel Pozzo della Miniera di Basovizza, dalla barbara ferocia del comunismo yugoslavo.


leggi l'articolo apparso su "Il Piccolo"
leggi la lettera "Quando la storia viene gestita dai trinariciuti"
leggi l'articolo apparso su "Il Foglio"
leggi la lettera di Piero Delbello

Febbraio 2005: ritrovate 4 nuove foibe (130 i cadaveri)

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da "Il Piccolo" 19 febbraio 2005

Resi noti i risultati di un'indagine disposta lo scorso anno dal magistrato Svetislav Vujic su richiesta dei parenti delle vittime. La storia di Vinko Hlaj
Sono 130 i corpi riemersi da quattro foibe istriane
Confermato dall'Istituto di medicina legale fiumano che si tratta di persone eliminate nel dopoguerra


FIUME I resti di circa 130 persone sono stati ritrovati in quattro foibe
della Ciceria, nell'Istria nord-orientale. Lo conferma al quotidiano polese «Glas Istre», Alan Bosnar direttore dell'Istituto di medicina legale dell' università fiumana, dov'è stata completata la parte tecnica della perizia delle ossa esumate nelle foibe di Hribce, Brsljanovica, Krog e Trstenik.

«In tutte e quattro le foibe sono stati ritrovati resti di ossa umane e il loro numero si differenzia da foiba in foiba - ha spiegato Bosnar -. Grazie all'indentificazione abbiamo appurato che in queste quattro foibe carsiche hanno perso la vita circa 130 persone. Inoltre, sempre durante la perizia, siamo giunti alla conclusione che gli infoibamenti risalgono al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, ossia a cavallo tra gli anni '40 e '50».

Bosnar ha proseguito affermando che «prendendo in considerazione gli avvenimenti di quel periodo, si può presumere che non si sia trattato di morti dovute a cause naturali. Però, non possiamo stabilire se si tratta di traumi provocati dalle conseguenze della caduta o se la morte è sopraggiunta in precedenza. L'identificazione non ha permesso per il momento di appurarlo». Alan Bosnar ha concluso sottolineando che nelle foibe della Ciciaria non sono stati ritrovati resti di ossa che potrebbero indicare la presenza di bambini. Certo che l'indagine per essere completata ha bisogno ancora di ulteriori accertamenti sui cadaveri che sono stati riesumati, sia per determinare le cause esatte della morte, sia per determinarne l'identità. E anche di finanziamenti.

L'indagine nasce dalla richiesta fatta dai parenti di alcune delle vittime. In particolare da Vinko Hlaj che vuole giustizia per la morte dei padre Ivan eliminato nella foiba di Brsljanovica. Hlaj, in un'ampia intervista rilasciata a Elio Velan sul «Glas Istre», racconta che da anni chiedeva di poter entrare in quella foiba dove sapeva che il padre, un commerciante di vini mai stato fascista, secondo il figlio, era stato gettato. Ottenuti i permessi era penetrato nella cavità insieme agli speleologi di Delnice, trovando un paio di scarpe che, secondo lui, appartenevano al padre.

L'esempio di Hlaj è stato seguito da altri che si sono rivolti al giudice Svetislav Vujic che ha disposto, lo scorso anno, le esumazioni nelle quattro foibe con i risultati illustrati dai medici legali fiumani.
b.s.

Aprile 2005: ritrovata una fossa comune, 8 frati francescani tra le vittime dei partigiani di Tito

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da "Il Piccolo" 13 aprile 2005

Resti di 12 persone vicino al villaggio di Zagvozd
In Croazia trovata una fossa con vittime di partigiani titini: tra esse anche frati francescani


ZAGABRIA Una fossa comune con resti di 12 persone, presumibilmente vittime civili uccise nella Seconda guerra mondiale dai partigiani del maresciallo jugoslavo Josip Broz Tito, è stata trovata nei giorni scorsi da un gruppo di archeologi nel Sud della Croazia. Lo riferiscono i media croati.

Accanto agli scheletri, rinvenuti in una fossa vicino al villaggio di Zagvozd, nei pressi della città di Imotski, sono stati trovati dei rosari che insieme ai resti del vestiario inducono alla conclusione che si tratti di frati francescani.

Tutte le vittime avevano i polsi legati con un filo di metallo. Per ora si pensa che almeno otto di loro siano francescani del vicino monastero di Siroki Brijeg, in Bosnia-Erzegovina, mentre gli altri sarebbero civili la cui identità è ancora da stabilirsi.

Secondo fonti storiche, nel febbraio del 1945 i comunisti di Tito come rappresaglia contro la massiccia adesione dei croati dell’Erzegovina, la regione meridionale della Bosnia confinante con la Croazia, al movimento filo-nazista degli ustascia durante la guerra, uccisero prima 12 insegnanti del Liceo francescano di Siroki Brijeg e poi altri 10 frati. I francescani erano visti dai comunisti come i sostenitori più ferventi del regime ustascia, che voleva l'annessione della Bosnia alla Croazia. Il luogo di questa fossa comune era noto già da prima, e sin dal 1971 i francescani vi si raccoglievano per pregare.

Giorno del Ricordo: soddisfazione della Lega Nazionale

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Comunicato stampa del 12 febbraio 2004

L’avv. Paolo Sardos Albertini, Presidente della Lega Nazionale e del Comitato per i Martiri delle Foibe, ha espresso la più viva soddisfazione per l’avvenuta approvazione, da parte della Camera, della legge istitutiva della “Giornata del Ricordo”.

Si tratta di un atto estremamente importante perché con esso lo Stato Italiano pone finalmente termine ai tanti decenni di vergognoso oblio sulla tragedia delle foibe e dell’esodo.

L’auspicio è che l’iter legislativo si concluda al più presto e costituisca premessa efficace perché anche in altri ambiti – in particolar modo in quello scolastico – si compia finalmente questo atto di Verità e di Giustizia.

Sarà peraltro importante non dimenticare le responsabilità storiche, morali e politiche di chi è stato l’artefice sia delle foibe che dell’esodo: è doverosa la pietà per le vittime ma è altrettanto doverosa la condanna per i boia.

Un particolare ringraziamento è stato espresso dall’avv. Sardos nei confronti dell’on. Roberto Menia, promotore e primo firmatario di tale legge, nonché di apprezzamento per quanti in uno schieramento bipartisan hanno dato il loro appoggio.

Foibe, sì della Camera al Giorno del Ricordo

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Un giorno per ricordare quei diciassettemila italiani ingoiati dalla terra e dall'odio che si scatenò, a guerra finita, tra i partigiani titini e gli italiani dell'Istria e del Friuli Venezia Giulia.

Foibe, sì della Camera al 'giorno del ricordo'
Il 10 febbraio diventerà il giorno per ricordare gli infoibati. Spaccatura nella sinistra italiana: hanno votato contro Rifondazione e Pdci

Un giorno, il 10 febbraio, per ricordare quei diciassettemila italiani ingoiati dalla terra e dall'odio che si scatenò, a guerra finita, tra i partigiani titini e gli italiani dell'Istria e del Friuli Venezia Giulia. Oggi con il sì dell'Aula della Camera alla proposta di legge è stata istituito, per il 10 febbraio, il 'Giorno del ricordo' per le vittime delle foibe, e concede un riconoscimento ai familiari degli infoibati in Istria.

Il provvedimento passa ora all'esame del Senato. I voti a favore sono stati 502, 15 quelli contrari, mentre 4 deputati si sono astenuti. In particolare, hanno votato contro i deputati di Rifondazione comunista e del Pdci.

Il provvedimento approvato oggi a Montecitorio istituisce il "Giorno del Ricordo", che sarà celebrato il 10 febbraio di ogni anno "al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, l'esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati nel secondo dopoguerra e la più complessa vicenda del confine orientale. In questa giornata saranno organizzate "iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso le scuole di ogni ordine e grado", oltre a convegni, incontri e dibattiti "in modo tale da conservare la memoria di quelle vicende".

Ai familiari delle vittime delle foibe nella Venezia-Giulia verrà consegnata un'insegna in acciaio brunito e smalto con la scritta "La Repubblica italiana ricorda". La targa verrà consegnata non solo ai familiari degli 'infoibati', ma anche a quelli di tutti coloro i quali, dall'8 settembre del 1943 al 10 febbraio del 1947, sono scomparsi per mano delle truppe di Tito in Istria, in Dalmazia e nelle province dell'attuale confine italiano con la Croazia.

Nessuno sa con precisione quante siano state le vittime delle foibe perché nessuno allora tenne quella tragica contabilità, ma anche perché in molti comuni i partigiani di Tito distrussero le anagrafi per occultare il numero dei loro misfatti. Secondo una pubblicazione citata nella relazione alla proposta di legge, gli 'infoibati' sarebbero stati circa diciassettemila.

"Tutti - si legge nella relazione - soppressi perché italiani; tutti con il loro sacrificio hanno ancora una volta cementato la storia dell'Istria e della Dalmazia e quella dell'Italia". L'individuazione dei destinatari della targa competerà ad una speciale commissione di nove membri costituita presso la presidenza del Consiglio di cui faranno parte i capi servizio degli uffici storici degli stati maggiori dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, due rappresentanti del comitato per le onoranze ai caduti delle foibe, un esperto designato dall'Istituto regionale per la cultura istriana di Trieste, un esperto designato dalla Federazione delle associazioni degli esuli dell'Istria di Fiume e della Dalmazia, e un funzionario del ministero dell'Interno. Tutta la documentazione raccolta verrà poi devoluta all'Archivio centrale di Stato.

Tra gli applausi di tutta l'aula di Montecitorio, il presidente della Camera Pierferdinando Casini ha voluto esprimere la propria soddisfazione: "Oggi è stato compiuto un atto di riconciliazione nazionale, di verità e di giustizia, una testimonianza di amore verso tanti italiani per troppo tempo dimenticati".

articolo tratto da Vivacity del 11 febbraio 2004

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